Haftar che mette gli occhi su Gadames, dove, tra l’altro, ci sono giacimenti di gas contesi con l’Algeria per mai chiarite questioni di confine. Altre milizie che si scontrano a Tripoli, causando alcuni morti. La situazione della Libia sembra tornata una polveriera. Una brutta notizia per gli italiani, che hanno molti interessi da salvaguardare nel Paese, in particolare con l’Eni. L’accerchiamento dell’area che fa capo al governo internazionalmente riconosciuto di Dbeibah da parte dei soldati guidati da Saddam Haftar e l’appoggio dato dai russi a questa iniziativa potrebbe far ripiombare il Paese nell’instabilità più cupa. Ma proprio l’Eni, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, ha investito per lo sviluppo dei giacimenti di petrolio e di gas, quest’ultimo visto come alternativa al gas russo e algerino, dato che Algeri ha stretti rapporti commerciali con Mosca. Insomma, la Libia per l’Italia è un Paese strategico dal punto di vista dell’energia: non possiamo permetterci che lì aumenti l’influenza di Putin. Ma l’operazione Ghadames di Haftar va proprio in questa direzione.
Haftar sta muovendo le sue truppe, Tripoli deve temere un attacco?
È ancora presto per dirlo. L’azione è guidata da Saddam Haftar, figlio di Khalifa, che vuole mettersi in vista e oscurare la figura debole di Dbeibah, capo del governo di Tripoli. Le truppe si stanno dirigendo a Ghadames, vicino al confine con Algeria e Tunisia. Il primo obiettivo è interrompere i rapporti del Sud libico con le autorità della Tripolitania. Il secondo riguarda i russi, che supportano l’azione: vendono grano e armi all’Algeria e vorrebbero piazzare la loro bandierina anche sulla Tunisia. Dobbiamo preoccuparci di un’espansione di queste forze, che potrebbero puntare alla Tripolitania muovendo dal Sud, come era successo nel 2019, quando era intervenuta la Turchia per fronteggiare Haftar.
Che riflessi può avere una nuova guerra civile sui nostri interessi in Libia?
L’Italia ha stipulato importanti accordi con la Libia nell’ambito del piano Mattei, per il settore energetico, ma anche per l’agricoltura e la formazione. Non solo con Dbeibah. Abbiamo anche riallacciato, come era necessario, il rapporto con Haftar, dando il nostro sostegno per la ricostruzione di Derna, colpita dall’alluvione. L’azione di questi giorni potrebbe portare caos nel Paese e riflettersi sugli interessi italiani, persino per quanto riguarda il supporto alla Guardia Costiera libica. Le ripercussioni riguarderebbero pure il tema dei migranti: se Haftar dovesse prendere piede nel Paese, bisognerebbe vedere che ruolo svolgerà la Russia, che ha già condizionato in passato la scelta di far partire o meno le persone intenzionate a raggiungere l’Italia e l’Europa.
Parlare di Italia in Libia è parlare di Eni. Quali impianti e quali attività ha oggi nel Paese?
L’Eni ha moltissimi impianti nel Paese; nel 2024 la Libia è stata il primo fornitore di greggio verso l’Italia. Ci sono molti progetti offshore, al largo delle acque libiche, dove è più facile lavorare vista la situazione sul terreno. L’impianto più importante è il gasdotto GreenStream che parte da Mellitah e arriva fino a Gela. L’Eni, che è molto stimata in Libia, in ottica futura sta puntando molto sull’avviamento di questo gasdotto, per portare sempre più gas in Italia, visti i problemi di approvvigionamento dopo la guerra Russia-Ucraina. Un importante giacimento di idrocarburi è quello onshore di Al Wafa, che si trova a qualche chilometro da Tripoli, uno dei giacimenti che sono stati più spesso oggetto di interventi delle milizie per attirare su di loro l’attenzione di Eni.
Oltre alle attività già in essere, quali progetti sono in cantiere e a che punto sono?
L’Eni ha stipulato recentemente con Dbeibah e anche con la NOC, l’autorità petrolifera libica, un accordo di 8 miliardi (ma ora si parla anche di cifre superiori) per aumentare gli impianti di stoccaggio a Mellitah, per progetti di decarbonizzazione, accordi sulle rinnovabili, l’aumento della fornitura di pezzi di ricambio e per la formazione del personale libico. L’Eni e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni hanno firmato un’intesa per aumentare l’occupazione in Libia: l’approccio dell’azienda italiana mira a far crescere la produzione di greggio e gas, ma con un occhio di riguardo alla crescita del Paese.
Per l’Italia la Libia è un Paese strategico?
Nel 2023 l’Italia è riuscita a estrarre in Libia 169 mila barili al giorno. Se la situazione dovesse degenerare, l’attività dell’Eni potrebbe essere messa in crisi. Di recente c’è stato uno screzio fra la Spagna e Saddam Haftar e quest’ultimo ha ordinato il blocco del giacimento petrolifero di El Sharara, gestito da una joint venture tra la spagnola Repsol e la NOC. Un segnale di quanto sia delicata la situazione.
Che peso hanno le attività dell’Eni in Libia sull’economia del nostro Paese?
Hanno un peso importantissimo vista la crisi russo-ucraina e le sanzioni contro Mosca. Attraverso il Transmed, gasdotto che passando dalla Tunisia porta gas in Italia, abbiamo ripreso importanti rapporti con l’Algeria. Quest’ultima, però, commercia con la Russia, quindi gli accordi con Algeri, da cui importiamo il 41% del nostro gas, non possono essere considerati totalmente stabili. Anche per questo le attività in Libia di Eni sono molto importanti per il nostro Paese. Il gasdotto di Mellitah porta il gas direttamente in Italia; se implementato, potrebbe risolvere molti dei problemi di gas che abbiamo.
Per fare questo, però, c’è bisogno di un Paese sicuro.
La precondizione è che la Libia sia il più stabile possibile. Altrimenti qualsiasi progetto all’interno del piano Mattei diventa di difficile realizzazione. La Libia, invece, rischia di cadere sempre di più nelle mani della Russia: l’Africa Corps, l’ex Wagner, è presente nel porto di Tobruk e influenza le dinamiche libiche.
Quali sono gli interessi dei russi?
Hanno interesse a insediarsi nell’area di Ghadames, dove si sono dirette le truppe di Haftar, per portare armi nel Sahel, soprattutto in Mali, perché lì hanno avuto problemi di sicurezza.
Dietro l’iniziativa di Haftar ci sono anche le controversie per la gestione delle risorse energetiche del Paese?
Uno dei problemi fondamentali è che la gestione dei proventi di molto del petrolio estratto in Cirenaica da aziende locali finisce poi nelle mani della NOC, che è a Tripoli, quindi al governo di Dbeibah. Una circostanza che non è mai andata giù a Haftar e ai suoi figli e che potrebbe averli spinti ad agire. Fondamentale rimane, comunque, anche il tema della Russia.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.