Ieri mattina il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, nel corso di una missione lampo a Tripoli ha incontrato il presidente libico Fayez al-Serraj e il ministro degli Interni Fathi Bishaga. Al centro dei colloqui, come dar seguito alla conferenza di Berlino così da rendere più stabile la tregua, la ripresa dei negoziati politici e il Memorandum di sostegno al governo libico per frenare il traffico dei migranti. Di Maio ha voluto ribadire il ruolo centrale che l’Italia intende giocare, in virtù della sua profonda conoscenza sul terreno, ma per Mauro Indelicato, giornalista esperto di Libia che segue il dossier immigrazione per IlGiornale.it, “è da valutare quanto di concreto ci possa essere nelle parole di Di Maio e, soprattutto, quante reali chance abbia il nostro paese di recuperare terreno”. Intanto, secondo Indelicato, dopo l’invio dei miliziani turchi il rischio terrorismo dalle coste libiche resta molto alto: “L’Osservatorio siriano dei diritti umani ha dichiarato nei giorni scorsi che alcune decine di jihadisti arrivati da Idlib potrebbero essersi imbarcati già verso l’Italia e l’Europa”.



“Continuiamo a lavorare per il rispetto dell’embargo sulle armi e per portare le parti a un cessate il fuoco permanente”: così ha scritto sulla sua pagina Facebook il ministro Di Maio dopo aver incontrato Serraj a Tripoli. Sull’embargo e sul cessate il fuoco come si presenta oggi la situazione?

Si tratta di due elementi che costituiscono i capisaldi del documento finale della conferenza di Berlino, ma in entrambi i casi si può parlare di un palese insuccesso tanto dell’appuntamento tedesco quanto, più in generale, della diplomazia europea.



Perché?

Né l’embargo sulle armi, né il cessate il fuoco sono mai entrati realmente in vigore in questi giorni. Al contrario, dalla Turchia sono arrivati rifornimenti e miliziani islamisti siriani a sostegno di al Serraj, mentre dall’altro lato il generale Haftar non ha mai smesso di usare l’aviazione contro obiettivi nemici. Non è dunque cambiato nulla da gennaio a oggi: in Libia si è continuato a combattere e non si è mai smesso di registrare l’ingresso di nuove armi.

L’Italia in questi mesi ha commesso diversi errori e ha perso peso nella questione libica, come ha dimostrato anche la recente conferenza di Berlino, ma Di Maio ha ribadito che “ora è il momento di dare un segnale diverso” e che “l’Italia sarà determinante in ogni scelta europea”. Che cosa significano concretamente queste parole?



L’intenzione del governo italiano è quella di far pesare il proprio radicamento territoriale in Libia, la propria conoscenza del territorio e, in tal modo, essere il paese europeo in grado di togliere dalla marginalità diplomatica il Vecchio continente. La visita di Di Maio a Tripoli va in questa direzione. Si parla anche di un prossimo incontro del ministro anche con Haftar mentre, contemporaneamente, dal Cremlino fanno sapere che il premier Giuseppe Conte ha telefonato a Putin proprio per parlare del dossier libico. Dunque, forse il nostro ministro degli Esteri ha voluto indicare, con quelle dichiarazioni, la possibilità che l’Italia attui un’offensiva diplomatica volta a tornare in gioco in Libia. È da valutare però quanto di concreto ci possa essere nelle parole di Di Maio e, soprattutto, quante reali chance abbia il nostro paese di recuperare terreno.

Resta alto anche l’allarme terrorismo?

Molto alto. Occorre considerare, del resto, che di fronte alle nostre coste stanno giungendo, dalla provincia siriana di Idlib, migliaia di islamisti. Come detto in precedenza, la Turchia in funzione anti-Haftar sta portando a Tripoli diversi miliziani siriani e si tratta di combattenti che in questi anni hanno imposto la sharia nei territori da loro controllati, hanno ucciso cristiani e si sono macchiati di gravi crimini. Avere sigle islamiste a pochi chilometri dai nostri confini non è certo rassicurante. Per di più l’Osservatorio siriano dei diritti umani ha dichiarato nei giorni scorsi che alcune decine di jihadisti arrivati da Idlib potrebbero essersi imbarcati già verso l’Italia e l’Europa.

Serraj da parte sua ha chiesto alla comunità internazionale di fermare le interferenze straniere negative. Riferimento più o meno esplicito a chi?

Il premier libico ha volutamente evitato ogni riferimento particolare, altrimenti avrebbe dovuto condannare se stesso, visto che è stato lui a sottoscrivere con la Turchia un accordo che sta consentendo ad Ankara di portare miliziani e armi in Libia. Il discorso di al Serraj credo sia generale e volto a richiamare l’attenzione sul sostegno dato da numerosi attori stranieri al generale Haftar. Quest’ultimo è sostenuto dalla Russia, che ha inviato a settembre diversi contractors della Wagner, così come dall’Egitto, ma soprattutto dagli Emirati Arabi Uniti. Ed è forse principalmente contro gli emiratini che al Serraj ha voluto richiamare l’attenzione.

Di Maio e Serraj hanno parlato anche del Memorandum di sostegno alla Libia per frenare il traffico di migranti che tante polemiche ha sollevato in Italia. Sono in vista cambiamenti?

Sì. Infatti già nella giornata di domenica l’Italia ha ufficialmente inviato le richieste di modifica del Memorandum alla Libia. L’accordo, com’è bene ricordare, è stato firmato nel 2017 e rinnovato per altri tre anni lo scorso 2 febbraio. L’Italia, però, adesso ha chiesto cambiamenti soprattutto in relazione all’aspetto dei diritti umani e delle condizioni dei migranti; la Libia, dal canto suo, ha fatto presente di aver bisogno di maggiore sostegno e dunque di più soldi per rendere operative le modifiche. Dunque, tra i due governi sono in corso intense contrattazioni volte ad arrivare a definitive modifiche sul Memorandum che, per la parte libica, potrebbero tradursi anche in maggiori fondi da ricevere dalla controparte italiana.

Intanto la Gran Bretagna ha annunciato che è pronta a presentare al Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione basata sull’accordo di Berlino, che potrebbe essere concordata con la Russia. Che ne pensa?

Sarà interessante, nelle prossime settimane, seguire le mosse della Gran Bretagna, in quanto Londra adesso aspira, dopo l’uscita dall’Ue, ad avere un proprio ruolo e una propria autonomia in politica estera. La Libia, in tal senso, potrebbe rappresentare un importante banco di prova e il premier Johnson vorrebbe investire molto su questo dossier. L’iniziativa britannica al Consiglio di sicurezza Onu ha come principale scopo proprio quello di mettere in atto le prime politiche post-Brexit e portare a casa un primo risultato, ossia rendere vincolanti i princìpi cardine del documento approvato a Berlino.

(Marco Tedesco)