Procedono gli incontri a livello internazionale per portare la Libia alle attese elezioni, previste a dicembre, ma che, vista la situazione sempre più divisa del paese, non è per niente sicuro si possano tenere. Per questo ieri a Parigi si è tenuto un nuovo summit, presieduto da quella sorta di “triplice alleanza” fra Francia, Germania e Italia che si è presa l’incarico di sostenere il paese nordafricano nel suo percorso verso l’unificazione e la democratizzazione. Presenti molti attori internazionali, da Tunisia, Niger, Ciad che confinano con la Libia, alla vice presidente americana Kamala Harris e a diversi paesi arabi. Mancano Russia e Turchia, e non è un caso, come ci ha spiegato in questa intervista Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei paesi mediterranei nell’Università di Macerata ed esperta di Libia: “Sono le due potenze che ancora mantengono truppe sul territorio libico ed entrambe, ma forse la Russia di più, hanno interesse a mantenere la situazione in bilico e a far sì che non si arrivi al voto, per non perdere i vantaggi acquisiti in questi anni, vantaggi che significano per Mosca uno sbocco sicuro nel Mediterraneo e per la Turchia affari economici grazie alla tratta dei migranti, come fa già adesso”. Il vertice si è concluso con un documento che pone condizioni precise, soprattutto “sanzioni delle Nazioni Unite per chi prova a boicottare il voto. Per scoraggiare quanti tentano di ostacolare il processo elettorale e la transizione politica”.
Inaugurando questa conferenza, il presidente francese Macron ha detto che lo scopo è “tenere la barra dritta per arrivare alle elezioni, perché ci sono forze che vogliono far deragliare il percorso”. Quali sono queste forze?
Ci sono forze che non trarrebbero vantaggio da una ipotetica stabilizzazione in seguito a un percorso elettorale. Ad esempio, diverse milizie che con queste elezioni perderebbero il loro ruolo predominante. Credo però che Macron si riferisse ad attori esterni come Turchia e Russia, che vogliono restare nel paese e, quindi – visto che una delle precondizioni essenziali per queste elezioni è smilitarizzare la Libia dalla presenza di mercenari – è chiaro che hanno interesse a mantenere lo status quo.
Erdogan e Putin, che in Libia hanno un grande peso, non hanno preso parte alla conferenza. Che significato assume la loro assenza?
L’assenza dei due, che non erano presenti neppure alla conferenza di Tripoli dello scorso 21 ottobre, denota appunto che hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo, che potrebbe invece essere rivisto con le elezioni.
Perché?
Perché la Turchia potrebbe perdere la possibilità di avere basi e posizioni strategiche nell’ovest e in prospettiva futura anche di fare affari controllando i flussi migratori. mentre la Russia ancor di più, perché l’assistenza militare fornita ad Haftar non era solo per aiutarlo a vincere, quanto soprattutto per garantirsi un approdo sul Mediterraneo. Ai russi più che ai turchi conviene che non cambi l’attuale situazione.
Il caso della ministra degli Esteri Najla Al-Mangoush, prima sospesa dalle sue funzioni e sottoposta a divieto di viaggio per “violazioni amministrative” e poi reintegrata dal premier Abdul-Hamid Dbeibah, è un lampante esempio della divisione della Libia, è così?
All’interno del paese vige una palese spaccatura fra est e ovest, che si palesa anche in questo frangente elettorale. Da un lato, abbiamo Tripoli, la regione ovest, che è più popolosa, il cui candidato può essere favorito proprio dal fattore demografico. Dall’altro, abbiamo un est che è più combattivo, un est in cui Haftar ha dismesso la divisa per candidarsi e che sta cercando attori esterni, come Israele. Il figlio del generale si è recato là per cercare l’appoggio di questo paese, che gioca un ruolo nevralgico nel Mediterraneo. Con gli Emirati arabi Israele ha firmato il famoso Patto di Abramo, quindi ci sono tante fazioni interne, e le divisioni potrebbero essere una delle maggiori criticità anche dopo il risultato elettorale.
Nel giorno dell’apertura dei registri per le candidature, il capo dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al Mishri, ha invitato la popolazione a boicottare il voto, alla luce della candidatura di “criminali”, come il comandante dell’Esercito Nazionale Libico, Khalifa Haftar. Altro esempio di possibile fallimento delle elezioni?
E’ un esempio di quanto dicevamo prima. Al Mishri è anche uno dei personaggi dell’ovest più vicini alla Turchia, e quindi alla Fratellanza musulmana. Preferirebbe non ci fossero elezioni piuttosto che una vittoria dell’acerrimo nemico Haftar.
E’ in corso una crisi diplomatica tra Francia e Algeria, che ha portato quest’ultima a boicottare la conferenza: quanto influisce Algeri sul quadro del Nord Africa?
L’Algeria è un vicino di casa della Libia e la sua presenza e la sua mediazione sarebbero fondamentali. Il fatto che la Francia abbia degli attriti ha contribuito ad allontanarla e ora il rischio è che potrebbe allontanarla anche da possibili dialoghi futuri sulla stabilizzazione della Libia. Va anche detto che la Francia ha piazzato dei pattugliatori marittimi a Cipro con l’obbiettivo di stringere rapporti con la Grecia in chiave anti-turca. Questo potrebbe rendere la Turchia ancora più ostica nell’accettare altri vertici per la pace.
Italia, Francia e Germania hanno guidato la conferenza: c’è una unità effettiva e reale dei tre paesi sul caso Libia?
Per ora questa alleanza dà l’impressione di avere un minimo comun denominatore. Cioè creare quanto più possibile una massa critica per fermare ambizioni turche e russe. Italia e Francia non hanno mai avuto interessi comuni in Libia, in questo momento l’obbiettivo è stare insieme per tentare di contrapporsi ai due paesi presenti nel paese.
Qual è il reale valore del vertice Draghi-Macron e come il dossier Libia si colloca nel quadro del misterioso “trattato del Quirinale”?
La questione libica è il tassello di una strategia finalizzata a contenere altre potenze internazionali. E’ una strategia che ha come perno il Sahel, in cui la Francia è indebolita e ha bisogno dell’Italia. Per noi potrebbe essere importante collaborare nel Sahel, a patto di non farsi fagocitare dai francesi. Questo trattato ha come obiettivo di creare una leadership condivisa europea più forte e potrà funzionare, oltre che nel dossier libico, quando si potrà realizzare il progetto di una reale difesa europea comune e sull’immigrazione con un nuovo piano di asili.
Il documento prodotto dalla conferenza contiene tre punti. Partiamo dal primo, che riguarda eventuali sanzioni dell’Onu a “quanti tentano di ostacolare il processo elettorale e la transizione politica’’.
I punti emersi sono una mappa ineccepibile, ma questa mappa andrebbe poi calata nella realtà libica e qui sorgono i problemi e le difficoltà. Il tema delle sanzioni l’Unione europea lo ha spesso applicato o minacciato in tanti casi, ma la minaccia di sanzioni non ha mai sortito alcun risultato. Basti pensare alle sanzioni dell’Onu per far rispettare l’embargo di armi in Libia.
Il secondo punto chiede il ritiro dei miliziani stranieri presenti in Libia. E’ fattibile?
E’ da più di un anno che si parla di ritiro delle forze straniere e non è mai avvenuto. L’assenza di Russia e Turchia al tavolo dell’incontro di ieri ci fa capire che restano seri dubbi che ciò possa avvenire adesso.
Infine, l’impegno delle fazioni libiche ad accettare l’esito del voto: “Tutti in Libia devono rispettare i risultati elettorali e non ostacolarli”.
Per avere la garanzia che tutte le fazioni libiche accettino il risultato elettorale avrebbero dovuto essere presenti tutti i rappresentanti delle più importanti fazioni. Possiamo solo basarci sui precedenti e sappiamo che le elezioni in Libia non hanno mai retto e hanno portato solo a escalation di violenza.
In estrema sintesi, quindi?
Tante parole già dette per certi versi scontate, parole dette da soggetti che non sono protagonisti della crisi libica, né da un punto di vista interno né da quello internazionale. Il rischio è che questo documento rimanga un elenco di buoni propositi, ma difficilmente applicabile in una realtà dove regnano il caos, le divisioni e l’influenza di potenze straniere.
(Paolo Vites)
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