Come era prevedibile, il vertice tenutosi a Tunisi fra le varie fazioni che incarnano oggi la Libia non ha prodotto alcunché di positivo. Il dialogo si è infranto sulla persona che dovrà essere nominata primo ministro del futuro governo di accordo nazionale, perché ogni parte in gioco lo vuole come espressione della propria territorialità. “Perché succede questo?” si chiede in questa intervista il generale Giuseppe Morabito, membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (Igsda) e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation. “Perché il futuro primo ministro sarà colui che terrà in mano tutte le ricchezze energetiche della Libia, e dovrà essere un uomo capace di distribuirle in modo equo alle varie entità. Fino a quando non si trova questa persona, sarà impossibile giungere a un accordo di unità nazionale”. In questo vuoto di potere ecco farsi nuovamente avanti il presidente turco Erdogan, che si è recato in visita ufficiale a Tripoli dal suo sodale Serraj, “per riaffermare il controllo turco su quello che è il centro del potere e della ricchezza libica, Tripoli”.
Il vertice di Tunisi non ha trovato alcun accordo e subito Erdogan si è recato in visita ufficiale a Tripoli. Che significato assume questa visita? Vuole riaffermare il controllo turco sulle articolazioni dello Stato libico?
Il fallimento del vertice di Tunisi è stato determinato dall’impossibilità di trovare una figura politica in grado di esercitare il ruolo di capo del futuro governo nazionale libico, perché ogni fazione vuole questo ruolo.
Cosa c’è in gioco?
Il primo ministro controllerà la Banca di Libia e l’Agenzia del petrolio, e deciderà come distribuire i proventi dell’energia. La battaglia in Libia non è per il controllo del territorio, ma per le fonti di energia. Il fallimento del vertice di Tunisi può essere stato politico o religioso, ma chi prende il potere distribuisce la ricchezza assunta fra le varie etnie. Dovrà distribuire le ricchezze in modo equo: se non trovano questa persona, non ci sarà mai un accordo di unità nazionale.
A fronte di questo ennesimo stallo, Erdogan si è recato in visita ufficiale dal suo fedele alleato, Serraj. Che significato ha questa visita?
Riaffermare il controllo turco è la parola giusta. Dire progetto coloniale non è esatto, ma il progetto è di espansione anche in Libia come area di interesse turco. Lo schema di Erdogan si ripropone sempre uguale: mandare i mercenari, inviare la tecnologia e vincere la guerra. È successo anche in Azerbaijan. Erdogan va a prendersi i dividendi, i cordoni della borsa continua ad averli Serraj, che per il momento è il suo alleato più forte a Tripoli, dove ci sono i grandi centri di potere.
È un messaggio anche per l’Italia e l’Europa?
L’Italia rischia di rimetterci. In Libia abbiamo un ospedale militare che non ci converrebbe spostare lontano dall’aeroporto come potrebbero chiedere i turchi, perché qualora insorgessero nuovi problemi sarà difficile portare rapidamente in salvo il personale.
Quindi? Cosa ci conviene fare in questo scenario?
Dobbiamo cercare di tenere un buon rapporto con la Turchia anche per non creare ulteriori problemi all’Eni. Ricordiamoci, poi, i nostri pescatori tenuti ancora in ostaggio ma si sa, con Erdogan tutto questo è molto, molto difficile.