Un gesto che potrebbe scatenare ritorsioni pesanti da parte della Turchia quello messo in atto dal generale Haftar. Una nave di proprietà di un armatore turco battente bandiera giamaicana è stata fermata e messa sotto sequestro dalle forze libiche della Cirenaica “perché entrata in una zona di operazioni militari” nella regione di Ras al-Hilal. Si sa che navi turche, fintamente usate per il trasporto merci, in realtà hanno rifornito a lungo le forze di Tripoli, di cui Ankara è alleata. Il sequestro ha ovviamente mandato su tutte le furie Erdogan, che ha minacciato “gravi conseguenze” se l’imbarcazione, a bordo della quale ci sono 17 marinai, non verrà immediatamente rilasciata. Aerei militari turchi hanno già sorvolato le zone di Sirte e Jutra, sulla linea del cessate il fuoco fra le forze di Tripoli e quelle del generale Haftar. “A meno di uno scatto insensato di Erdogan – afferma il generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista  – la Turchia non è in grado di compiere un’azione militare così distante dalle sue basi. L’azione di Haftar è mirata a mostrare i muscoli a Erdogan in un momento in cui Francia, Emirati Arabi ed Egitto fanno sempre più pressione sulla Turchia”.



Il sequestro della nave turca rientra nella stessa ottica del sequestro dei pescatori italiani? Cosa intende fare Haftar con questo tipo di azioni?

Quest’ultima azione sta a significare che Haftar si sente un po’ più forte e comincia a mostrare i muscoli alla Turchia, che invece appoggia Tripoli. Per quanto riguarda i nostri pescatori, invece, ritengo sia una cosa differente. Haftar con quel sequestro ha voluto dimostrare ai libici di essere un patriota che difende quegli scafisti condannati dagli italiani. L’azione contro la nave turca è una sfida alla Turchia, Haftar fa sapere che è pronto a combattere di nuovo, cosa che era prevedibile anche perché Emirati Arabi ed Egitto stanno irrigidendo la loro posizione contro la Turchia, sostenuti dalla Francia.



La Francia? In che senso?

La Francia ha una base militare negli Emirati e fornisce armi all’Egitto. Recentemente Macron e al Sisi si sono incontrati e quest’ultimo ha fatto dire al presidente francese che le esportazioni di armi all’Egitto continueranno indipendentemente da tutta la questione dei diritti civili.

Il che significa che l’Italia nei casi Regeni e Patrick Zaky è lasciata sola?

Sì, come sempre d’altronde: gli interessi economici e geopolitici ci escludono da ogni trattativa e presa di posizione.

Tornando ai nostri pescatori sotto sequestro, l’Italia è alleata di Tripoli, esclude il movente militare?



No, non ce lo vedo, perché l’Europa è talmente divisa da non mettersi d’accordo sul rispetto dei diritti civili in Polonia e Ungheria, figuriamoci in Libia e in Egitto. Una spedizione militare in Libia, poi, richiederebbe uno sforzo militare piuttosto ingente.

Lei dice che Haftar ha ripreso forze, in realtà sembrava ormai messo in un angolo: questi sequestri non le sembrano i gesti di un uomo disperato che cerca di farsi notare a tutti i costi?

Bisogna vedere come è la situazione, cosa che è difficile fare dall’esterno. Bisogna capire fino a che punto, cioè, i componenti del suo esercito gli obbediscono e fino a che punto Emirati, Francia e Russia lo sostengono veramente. Il sostegno è sicuro, non c’è dubbio, e la forza di Haftar consiste proprio in questi sostegni.

Esclude l’intervento militare turco per ottenere la liberazione della nave sequestrata?

Se Erdogan cedesse a una scarica adrenalinica, potrebbe succedere, ma dal punto di vista strategico, facendo l’esame dei rapporti di forza, a parte qualche aereo che sorvola la Libia, i turchi non sono in condizioni di effettuare un’operazione così distante dalle loro basi.

Supponiamo lo facciano, a quel punto la tregua in atto finirebbe?

La tregua poggia su basi estremamente friabili da sempre, qualunque gesto potrebbe far riprendere le ostilità. Dipende dalle milizie delle due parti. Solo un accordo serio fra Russia e Turchia o Russia ed Egitto potrebbe portare a una pace duratura. Anche il convegno di Ginevra, in cui le parti stanno cercando di discutere, al momento non offre alcuna garanzia.