Nonostante la nascita, lo scorso marzo, di un governo di unità nazionale che deve condurre la Libia alle prime elezioni nazionali del post Gheddafi, il Parlamento ha due sedi, una a Tripoli e una a Tobruk. La cosa riflette lo stato di sostanziale divisione effettiva del paese nordafricano: la parte occidentale, quella un tempo riconosciuta dall’Onu (e dall’Italia) come unica rappresentante nazionale, e quella orientale, in mano alle milizie del generale Haftar.



Così, come ci ha spiegato in questa intervista Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver e IlGiornale.it, esperto di geopolitica e migrazioni, “non è una sorpresa che quella parte di Parlamento con sede a Tobruk abbia votato la sfiducia al primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, certificando in questo modo la divisione ancora in atto nel paese”. Una divisione resa tale dalle interferenze delle molte potenze internazionali presenti sul suolo libico, ci ha detto ancora, “dalla Francia alla Russia, dalla Turchia agli Emirati arabi e naturalmente anche l’Italia, che per interessi economici e strategici impediscono al popolo libico di trovare una propria strada indipendente per l’unità e la rappacificazione nazionale”.



Questo voto di sfiducia giunge a sorpresa o era qualcosa di previsto?

Non è una sorpresa, perché certifica una definitiva spaccatura tra Tripoli e Tobruk. Una spaccatura che, come sappiamo già, c’era in quanto la Libia è divisa in due regioni controllate da gruppi differenti, milizie di Misurata da una parte e milizie del generale Haftar dall’altra. Politicamente si sperava che il nuovo governo potesse portare una parvenza di unità, ma questo voto di sfiducia, non a caso dal ramo del Parlamento di Tobruk, certifica una spaccatura indelebile in vista del voto di dicembre. La situazione si fa preoccupante e incandescente.



Una sfiducia dichiarata nulla. Potrà inficiare in qualche modo le elezioni di dicembre?

Indubbiamente, in vista del voto di dicembre, quanto accaduto è un campanello di allarme. La Libia difficilmente avrà un governo in grado di rappresentare tutte le istanze del paese, il voto paradossalmente potrebbe acuire questa spaccatura.

Perché?

Perché il rischio forte è che le due parti, che non si parlano fra loro, diano vita a due risultati differenti, due scenari politici opposti e questo sarebbe il via libera a una nuova fase di tensione.

Intende dire che, qualsiasi risultato venga fuori, la Libia risulterà più divisa di prima?

Esatto. Oltre al fatto che c’è da chiedersi se il voto si terrà realmente.

In questo quadro la presenza di paesi stranieri, che continuano a insistere sul suolo libico, quanto interferisce sullo scenario e sulle elezioni?

È chiaro che la Libia dalla caduta di Gheddafi è un paese nel mezzo della tempesta internazionale. Al suo interno annovera tanti attori internazionali, dalla Francia alla Russia, e poi ci siamo anche noi, un folto gruppo che opera attivamente. Questo lede parecchio qualsiasi governo a prescindere da chi possa prendere il potere a Tripoli o da chi controlla il paese. La presenza costante e massiccia di attori internazionali lega le mani alle autorità locali, impedisce ai libici di trovare più facilmente degli accordi, una strada interna per giungere a una pacificazione.

Questi attori internazionali interferiscono sul processo di unificazione?

Certo, perché la Libia è un paese strategico per motivi economici, ma anche perché confina con il Sahel, dove sono presenti molte missioni internazionali impegnate contro le organizzazioni islamiste. La Libia è importante, nessuno vuole fare un passo indietro e quindi nessuno lascia mano libera ai libici per trovare una via interna.

Dopo questo episodio quale sarà l’agenda politica dell’Italia?

Per l’Italia il voto di ieri è una brutta notizia, avevamo puntato molto su questo governo. Ricordiamoci che questo governo era stato votato quasi all’unanimità dai rappresentanti parlamentari. L’Italia contava sulla sua stabilità per avviare consultazioni, per avviare accordi in grado di tutelare i nostri interessi. Il fatto che adesso questo governo non abbia la fiducia è per l’Italia una pessima notizia e rischiamo di restare profondamente disorientati.

Lei ha scritto della possibilità che il figlio di Gheddafi, Saif, possa candidarsi alle elezioni. Che chance ha e quale delle potenze stranieri presenti in Libia lo sostiene?

Saif era il predestinato a prendere il posto del padre già prima della sua caduta. È molto vicino alla Russia, esiste un carteggio con Putin dove i due si consultano, è protetto dalle milizie vicine ad Haftar, il quale a sua volta è vicino alla Russia. Tuttavia di recente è stato liberato l’altro figlio, Saadi Gheddafi, molto probabilmente con la mediazione della Turchia. Si dice, infatti, che sia volato in Turchia, anche se la famiglia smentisce. È probabile che la famiglia Gheddafi sia sostenuta dai principali attori presenti in Libia, Russia e Turchia. È ben nota la popolarità dei Gheddafi tra i libici che, se non rimpiangono, almeno ricordano la sicurezza che avevano con il padre. Di conseguenza gli attori internazionali cercano di avvicinarsi alla famiglia. Chiunque vuole mettere il cappello sulla Libia tratta anche con i Gheddafi.

Quanto pesa l’economia del petrolio?

Pesa molto. Ricordiamo una caratteristica importante del petrolio libico, che ha una qualità che lo rende molto semplice nella lavorazione, infatti servono pochi soldi per raffinarlo. Così anche il trasporto: essendo la Libia vicina all’Europa anche quelle spese sono vantaggiose. Gli interessi energetici sono fortissimi, ma ci sono anche tanti giacimenti inesplorati su cui tutti cercano di arrivare. Questo determina molteplici interessi, quelle interferenze internazionali che stanno complicando non poco la normalizzazione del paese.

(Paolo Vites) 

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