Partiamo da due fatti di cronaca di politica estera strettamente legati e relativi alla questione libica.
Dalle agenzie di stampa internazionali sappiamo che il presidente della Turchia Erdogan, nel corso dell’incontro bilaterale con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha invitato la comunità internazionale ad esercitare pressioni su Haftar affinché rispetti la tregua stabilita durante la Conferenza di Berlino sulla Libia del 19 gennaio. Al di là dell’appoggio prevedibile – sottolineato dalla Merkel durante l’incontro con Erdogan – da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alle disposizioni poste in essere a Berlino (come la necessità di sostenere il presidente del Consiglio presidenziale del governo tripolino e il premier Fayez al Serraj) gli aspetti interessanti, sotto il profilo geopolitico, sono certamente altri.
In primo luogo il fatto che Erdogan abbia confermato che continuerà a sostenere dal punto di vista militare al Serraj anche attraverso la formazione e l’addestramento delle truppe tripoline, e in secondo luogo il fatto che il presidente turco abbia sostanzialmente fatto presente alla cancelliere tedesca non solo la necessità che l’Unione Europea finanzi la Turchia con due lotti da 3 miliardi di euro ciascuno per la situazione di rifugiati presenti in Siria, ma anche quella di creare una sorta di zona cuscinetto nel nord della Siria per consentire ai rifugiati siriani di potersi fermare seppure in modo provvisorio.
Difficile negare, alla luce di queste esplicite dichiarazioni, come la politica estera turca sia stata fino a questo momento improntata ad una precisa progettualità geopolitica sia in merito alla questione siriana, sia in merito alla questione libica sia infine in relazione alla questione dei rifugiati. Come già avevamo avuto modo di scrivere in un articolo precedente, proprio in questa ottica dobbiamo leggere la progressiva militarizzazione del conflitto libico da parte della Turchia come dimostra d’altronde la presenza di diverse centinaia di miliziani turchi appartenenti alla brigata Sultan Murad.
A tale proposito, al di là delle dichiarazioni di cortesia diplomatica, appare evidente come Erdogan tenga in pugno l’Ue – servendosi della Germania – sulla questione dell’immigrazione.
Passiamo adesso al secondo fatto di politica estera. Il responsabile della compagnia petrolifera nazionale libica – nota con l’acronimo di Noc – ha lanciato un preciso monito attraverso un’intervista al Financial Times alla comunità internazionale, sostenendo che la produzione di greggio libico rischia di subire uno dei crolli più pericolosi degli ultimi 10 anni, situazione questa che potrebbe determinare delle vere e proprie crisi a livello economico sia sul piano regionale che sul piano internazionale. Non dimentichiamoci che queste dichiarazioni sono la conseguenza delle scelte politiche poste in essere dalle milizie libiche appoggiate dal generale Haftar.
Ma ancora più significativo è il dato che Haftar avrebbe chiesto e ottenuto da Mohamed Dagolo – il numero due della giunta militare sudanese – il sostegno di un migliaio di paramilitari sudanesi delle Forze di sostegno rapido grazie alla mediazione di una compagnia privata emiratina.
Raffrontando tutti questi dati desunti da fonti aperte si possono fare alcune riflessioni. In primo luogo la centralità del petrolio libico a livello della stabilità economica internazionale (e soprattutto per il nostro paese); in secondo luogo il fallimento, allo stato attuale, del vertice di Berlino; in terzo luogo come al di là delle chiacchiere e delle passerelle, sia ancora in corso una conflitto per affermare la propria proiezione di potenza da parte di Haftar e al Serraj e quindi da parte dei paesi arabi ed europei che li sostengono e li supportano sia sul piano politico che sul piano militare.
Infine, tutto ciò dimostra come la partita libica sia inestricabilmente legata alla spartizione delle quote petrolifere.