La guerra tra Russia e Ucraina mette sotto pressione l’intera economia. Lo stop agli scambi commerciali con i due Paesi sta infiammando i prezzi di materie prime ed energia, con pesanti ripercussioni per tutto il sistema industriale. Ma non solo. Il fuoco incrociato tra Occidente e Putin chiama infatti pesantemente in causa anche il settore logistico, che oggi vive una fase di grande difficoltà, come spiega Cris Palman, Presidente e Ad Number1 International, vettore nato da un progetto di Number1 Logistics Group, società leader in Italia nel settore della logistica con un fatturato di oltre 300 milioni di euro, con l’obiettivo dichiarato di assicurare a livello globale l’intera gestione della catena di fornitura nei suoi diversi aspetti, da quelli logistici a quelli doganali, da quelli amministrativi a quelli commerciali. 



Quale impatto ha il conflitto, e in particolare avranno le sanzioni economiche imposte alla Russia, sull’import/export del nostro Paese e dell’Europa?

Nell’immediato ci si deve confrontare con un blocco sostanzialmente totale degli scambi tanto con Kiev quanto con Mosca. Sono ferme sia le esportazioni, che nel caso dell’Italia toccano soprattutto il mercato russo, sia le importazioni, con pesanti riflessi non solo sul fronte energetico – da Mosca arriva il 40% del nostro fabbisogno di gas -, ma anche su quello delle materie prime, considerato che l’Ucraina è un forte produttore di grano e legname. E non solo. Nel caso della Russia, infatti, l’uscita dallo Swift porta problemi anche sul fronte dei pagamenti della merce già consegnata, dal momento che di norma occorrono 90 giorni dalla rimessa per perfezionare il saldo. E ancora porta criticità anche in chiave prospettica, perché l’industria ha e avrà difficoltà a mettere in produzione gli ordini in arrivo dalla Russia. E questo combinato disposto per la logistica, e in particolare per quella europea, significa non poter improvvisamente contare su uno dei propri mercati d’elezione. E non è tutto. Anche un’altra spinosa questione rischia infatti di mettere sotto pressione il sistema dei trasporti: molti vettori, soprattutto con sede nel Nord est europeo, contano nel proprio organico autisti provenienti dall’Ucraina. Si arriva a incidenze del 15-20%. Ed è chiaro che su questi lavoratori non si potrà fare grande affidamento. Il punto è però che nel mercato, già da tempo, la domanda è superiore all’offerta. In altri termini, ancora prima del conflitto mancava forza lavoro disposta a salire sui camion. Difficilmente quindi si può pensare che il personale ucraino sarà sostituito con rapidità. E a questo va aggiunta la fiammata del costo dei carburanti. I grandi vettori, in verità, hanno sottovalutato il fenomeno, quando un anno fa sono emerse le prime avvisaglie. Oggi il conto è salato. E soprattutto lo scenario non consente di ipotizzare programmi a lungo termine, perché non sappiamo a quali livelli potrebbe arrivare l’escalation di prezzi cui stiamo assistendo. Il che naturalmente, per chi fa impresa, rappresenta un grosso problema. 



E guardando sempre a una prospettiva di medio-lungo periodo, ci sono altre incognite?

La guerra rischia di produrre importanti riflessi anche sul rapporto commerciale tra Europa e Cina. Nell’ultimo decennio infatti Pechino ha stanziato ingenti investimenti per realizzare e rafforzare la via ferroviaria costruita sulla strada della seta. Una via che quindi passa per lunga parte in territorio russo, nel quale però molte categorie merceologiche, come per esempio l’alimentare, potrebbero essere sottoposte a divieto di transito. Sarebbe quindi messo fuori gioco un canale che negli ultimi anni era diventato sempre più competitivo rispetto alle rotte navali, sia sotto il profilo dei tempi di consegna, sia sul fronte della sostenibilità ambientale, sia infine su quello dei costi, considerato che il trasporto marittimo è stato al centro di incrementi di prezzi esponenziali, spinti dal caro-energia. 



Nelle scorse ore è stato deciso il blocco dello spazio aereo alla Russia. Molte navi sono ferme nel Mar D’Azov, dove il porto di Mariupol è sotto assedio. Quali riflessi avranno questi eventi sui trasporti commerciali?

In realtà, il porto di Mariupol, così come quello di Odessa, servono prevalentemente il mercato russo e quindi il loro blocco non dovrebbe incidere in modo significativo sul funzionamento globale del sistema di trasporto marittimo. Le grandi compagnie navali stanno già studiando rotte alternative, che con buona probabilità nel caso delle imbarcazioni più grandi prenderanno la via transpacifica, mentre per quelle di minor cabotaggio privilegeranno il percorso che porta dalla Cina verso l’Europa. Più critico è invece lo scenario se ci si sposta dal mare ai cieli. A livello generale, il divieto di sorvolo sulla Russia imporrà di correggere molte rotte e implicherà maggiori consumi, ma al momento le compagnie aeree sembrano riuscire a gestire la complessità. Non così è però per quanto riguarda i trasporti di impianti di grandi dimensioni. Nel mondo solo due compagnie sono in grado di mettere a disposizione aerei capaci di grandissimi carichi, ovvero gli Antonov. Ma una è ucraina, l’altra è russa. È dunque probabile che questi trasporti dovranno rinunciare alla via aerea, fino a quando non sarà risolta la crisi. 

Il prezzo del gas è balzato del 60%, il petrolio è volato oltre i 100 dollari al barile. Come incide la questione energetica sulla logistica? E quali possono essere le vie per superare la fiammata?

Il caro carburante è per la logistica un grandissimo problema. Che in Italia pesa ancora di più: nel nostro Paese infatti la grandissima parte dei trasporti corre su gomma. Bisogna del resto considerare che l’Italia sconta la mancanza di infrastrutture, sia tecnologiche sia strutturali, sul fronte del cargo ferroviario. Si pensi che solo il 13% delle merci viaggia su rotaia, contro una media europea che raggiunge il 20%. Una nota dolente, certamente frutto di un territorio la cui conformazione orografica non è sempre favorevole al treno. Ma vero è anche che una maggiore pianificazione della supply chain potrebbe far superare le possibili maggiori criticità presentate nella consegna dell’ultimo miglio dalla rotaia rispetto alla gomma. Con indubbi vantaggi sul fronte energetico. Puntare sul treno insomma potrebbe essere una buona idea, almeno nelle strategie di lungo respiro. Sul breve termine, invece, un aiuto a superare il caro-petrolio potrebbe venire dallo sblocco burocratico di 20 impianti destinati alla produzione di energia rinnovabile al momento fermi. Impianti che potrebbero assicurare un notevole miglioramento del quadro attuale. Certo, senza il nucleare l’autosufficienza energetica dell’Italia è difficilmente raggiungibile, ma la messa in operatività di questi centri potrebbe fare la differenza. E che il loro apporto non sarebbe risibile lo conferma anche Legambiente: secondo l’associazione, infatti, se entrasse in campo solo la metà delle rinnovabili oggi sulla carta, l’Italia raggiungerebbe gli obiettivi di sostenibilità energetica ambientale posti dall’Europa.

(Chiara Bandini)

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