Il fatto che le attuali elezioni regionali abbiano permesso di registrare una tenuta della roccaforte toscana, esattamente come era accaduto a gennaio per quella emiliana, non ha impedito l’affermarsi al Centro-Nord di un’opposizione arrivata ad impensierire realmente le giunte regionali già insediate, compromettendo oramai in modo irrimediabile le rendite di posizione ed i voti di tradizione. Se nelle regionali del 2015 la coalizione di centro-destra aveva infatti ottenuto appena il 20% in Toscana e, nel 2014, solo il 29,75% in Emilia-Romagna, le consultazioni di gennaio e di settembre 2020 hanno fatto invece registrare percentuali ben diverse per l’opposizione, rispettivamente il 40,4 ed il 43,6%. E che ciò riveli un declino costante del centro-sinistra e della sua forza trainante, il Partito democratico, è confermato dalla impossibilità per quest’area di scalfire il centro-destra là dove è insediato: nel Veneto di Zaia e nella Liguria di Toti l’opposizione di centro-sinistra è irrilevante ed è questa sua debolezza crescente che spiega il passaggio di testimone avvenuto nelle Marche.



In quest’ottica si comprende l’ulteriore battuta di arresto per il Movimento 5 Stelle. In Toscana, alle regionali del maggio 2015, il movimento raggiungeva il 15% mentre oggi ottiene solo il 7%. In Emilia-Romagna raggiungeva il 13,27% nel 2014 mentre a gennaio di quest’anno ha registrato solamente il 4,74%. In Veneto dal 10,41% del 2015 scende al 3,3%. In Campania ed in Puglia, dove l’elettorato di Beppe Grillo poteva contare su candidati di provata esperienza, M5s scende comunque dal 17,02% all’11,5% nel primo caso e dal 17,19% all’11,3% nel secondo. Questi dati sono tanto più importanti quanto più non fanno che confermare la riduzione principale che questo movimento ha già subito nel suo primo anno di governo, quando è passato dal 32,69% ottenuto alla Camera nelle elezioni politiche del 2018, al 17,07% delle europee del 2019.



Se nel medio periodo la meteora dei pentastellati non è affatto l’unico esempio di un panorama politico profondamente scosso da una forte instabilità delle rappresentanze di partito (è stato il caso di Forza Italia, così come quello, forse ancora più sconvolgente, di Scelta Civica) vale la pena tuttavia di guardare più a fondo.

Il partito di Beppe Grillo, come è noto, ha costruito il consenso a partire dalla critica radicale all’Italia dei partiti. Il suo “assalto” al nostro “palazzo d’inverno” è stato coronato da un folgorante successo ed un terzo dell’Italia ha acclamato la rivolta grillina: è bene non dimenticarlo. È stata la manifestazione di un malessere profondo, di un distacco oramai infinito verso una politica personalistica, fatta più di abilità di corridoio che di competenze reali ed ancor meno di passioni ideali.



Questo malessere che, a suo tempo, premiò la formazione dei 5 Stelle, si è affermato parallelamente alla crescente incapacità delle leadership di partito di muoversi nel nuovo universo istituzionale, dove l’Italia appariva nel consesso europeo come il paese dell’assistenzialismo e delle rendite di posizione. Quest’Italia perdente e mesta che approdava a Bruxelles, si rivelava incapace di estendere quei trend di sviluppo che continuavano a caratterizzare interi settori produttivi ma che, oramai in modo manifesto, non bastavano più a bilanciare l’oceano di inefficienza nel quale il nostro Paese si è andato sempre più impantanando.

Tra la crisi civico-morale e l’inefficacia strutturale delle diverse maggioranze che si erano alternate a Montecitorio e che era stata ampiamente denunciata dal governo Monti, non c’è dubbio che sia stata la prima ad alimentare il consenso intorno al movimento di Beppe Grillo. Che lo si voglia o no, per un determinato periodo, è stata l’indignazione morale a guidare una larga maggioranza dell’elettorato. Questa ha trovato nel movimento dei 5 Stelle l’immagine di un rovesciamento radicale dei “politici di professione” a favore della “politica come servizio”, esercitata provvisoriamente da cittadini competenti, pronti a ritornare nella società civile alla fine del primo mandato.

È proprio il primato assoluto di una simile idealità rispetto al problema dell’inefficacia che aiuta a comprendere la crisi di questo partito una volta messo nelle stanze dei bottoni, posto quindi dinanzi alla complessità dei problemi ed al ginepraio delle competenze. Una volta aperta la valigia delle capacità grilline, assieme alla pluralità delle idee (a volte estemporanee) è emersa la chiara assenza di una competenza tecnica capace di vagliarle e di filtrarle. Il naufragio romano – per citare qui un esempio eclatante – assieme ad un indiscusso impegno ideale del sindaco, ha mostrato inevitabilmente l’insufficienza di un movimento che non sa avvalersi di quei laboratori di tecnici profondamente competenti che si rivelano sempre più fondamentali.

Ma se queste elezioni regionali hanno premiato, almeno in prima battuta, chi ritiene di saper garantire la stabilità del buon governo (ed in qualche caso ne ha dato certamente prova), la dinamica politica sembra ancora persa nella nebbia. Il terremoto grillino ha di fatto sollevato il polverone dell’antipolitica al quale poche, se non addirittura nessuna, tra le formazioni in competizione reale, sono riuscite ad opporsi. L’assenso alla riduzione dei parlamentari ha costituito, da questo punto di vista, un indicatore abbastanza evidente della debolezza di istituzioni che sanno dare sempre meno le spiegazioni di ciò che sono: il terremoto grillino non ha impedito infatti che il suo progetto-bandiera avesse comunque successo, proprio grazie al timore degli altri partiti di apparire “difensori della casta”.

Il problema dell’inefficacia strutturale delle nostre compagini di governo è rimasto pertanto completamente irrisolto. La messe di danaro che è attualmente messa a disposizione dalle autorità europee richiede competenze, ma anche prospettive di medio termine per le quali l’accademia grillina sembra essere poco adatta. Ma dove sono le altre? Dove sono le proposte e i contenuti da discutere? Dove sono i tavoli di confronto? La tempesta Covid, paradossalmente, ha anteposto un’emergenza ancora più immediata, ma fino a quando il nostro Paese può vivere sostituendo una emergenza con quella successiva? Fino a quando può tracciare nuovi progetti quando quelli precedenti sono rimasti impantanati?

La crisi, o se si preferisce, la perdita dello slancio della prima ora registrata dal movimento di Beppe Grillo si spiega in realtà con l’ampiezza dei problemi che tutti siamo chiamati ad affrontare. L’antipolitica è frenata dalla consapevolezza degli impegni che si stanno manifestando ed è proprio quest’ultima a costituire sempre di più il criterio dominante che l’attuale consultazione amministrativa ha, di fatto, rivelato. La tempesta non può essere che imminente e si manifesterà non appena la pandemia Covid sarà superata.