Il risalto dato da Repubblica e dalle tv alle problematiche sollevate dalla vicenda del ministro dell’Istruzione Fioramonti ha di fatto oscurato questioni ben più significative sul Partito dei 5 Stelle. Molti mezzi di comunicazione politici e non, continuano, ancora, a inseguire e/o incalzare i pentastellati sul terreno della purezza morale. La Repubblica ha certamente una tradizione significativa, in tal senso, anche a livello teologico. Basti pensare alle passate interviste di Scalfari a papa Francesco segnate da una pericolosa labilità, “devotamente disegnata”, tra io e tu, tra wishful thinking del giornalista e verità dogmatica, tra nuova teologia interreligiosa da salotto e tradizione vivente. E certamente molti intellettuali radical chic, nascosti in studio in attesa delle terrazze estive, pensano che la battaglia della/per la purezza possa salvare il paese e il loro posto al sole. Guardano perciò con delusione/inquietudine il Saint Just odierno incapace di affrontare la propria ghigliottina, senza obbedire alla legge morale superiore.
Ma tutte le discussioni, su un ministero ormai da tempo considerato non strategico da tutti i partiti per la crescita dei giovani e della nazione, hanno messo letteralmente da parte la questione sollevata da Gianluigi Paragone. Il giornalista-senatore ha messo in luce un io in rivolta à la Camus, capace/desideroso di affrancarsi dal dominio del “noi” e dalle decisioni preconfezionate. Il suo caso è stato, però, tacitato, perché in grado di sottolineare il vulnus del giovane partito, ora ben istituzionalizzato.
Emerge, infatti, sempre più sommessamente ma chiaramente, una tripartizione nella leadership che desta preoccupazione per le inevitabili ricadute a tutti i livelli. V’è innanzitutto Beppe Grillo, il capo al di sopra della piattaforma Rousseau (autore di un proprio blog), poi Casaleggio jr, capo della piattaforma e infine Di Maio, capo nella/dalla piattaforma. Queste tre figure hanno una posizione diversa non sempre allineabile o associabile rispetto alla piattaforma sovrana. E propria tale “sovranità” è stata affermata con l’espulsione di Paragone, che ingenuamente aveva proposto un referendum sulla piattaforma aperto a tutti i militanti. Ma come fa, d’altro canto, un super-organismo puro e intatto ad accettare l’ingresso di un pensiero impuro come quello di un voto proposto da un pericoloso dissidente, al suo interno, addirittura, nel cuore stesso del sistema?
La piattaforma, espressione della Volontà generale, che risiede in effetti in un numero limitato di iscritti, che cedono i loro dati al proprietario, è espressione di Gaia. La figura di Asimov della celebre Fondazione ripresa da Casaleggio senior, in certa misura rielaborata, è forma di un panteismo immanentistico che vive senza un centro e senza uno scopo, salvo la manutenzione diretta e pensata ad hoc dai responsabili della comunicazione. Eppure alla piattaforma, in qualche modo, sfugge, forse, il capo al di sopra, che sebbene non eletto dal popolo italiano – esso sì sovrano – incontra, forse in un eccesso di trascendenza dal resto del partito, l’ambasciatore di Pechino, ponendosi al di qua e prima delle linee e dell’agenda della politica estera italiana.
Ma l’incontro tra Grillo e il Partito comunista cinese non è un caso, né frutto di una spericolata azione politica. Le menti segnate dalla dimensione della purezza ideologica, da sempre, si incontrano e fanno etici affari, in vista del bene nazionale/internazionale. In effetti, l’utopia panteistica e de-umanistica dell’Asimov de La Fondazione e la Società armoniosa, basata sulla negazione dei diritti di coloro che sono “armonizzati”, grazie a triadi mafiose a Hong Kong e laogai, all’interno hanno in comune la negazione del Nome del Padre.
Il tentativo di brevettare il nome di Dio da parte di Grillo, in passato, a tal proposito, non è stata una semplice boutade, ma un atto inerente alla sua ideologia ferma al secolo scorso, con tutto il prevedibile pacchetto antiecclesiastico e d’altro canto il controllo ossessivo e pervasivo del Partito comunista cinese nei confronti delle religioni risponde alla ideologica linea novecentesca anti-teistica e nichilista. Inoltre, la distribuzione di grilli essiccati, dopo lo show del comico del 2016 a Torino, ricorda il nesso inscindibile tra bestia e sovrano, ben studiato dal filosofo francese Jacques Derrida.
Indica inoltre un importante passaggio del capo sulla piattaforma: da “cavaliere della virtù” di hegeliana memoria legato al vaffa–day alla narcisistica comunicazione di sé ai dirigenti del partito assimilati a un grillo morto, simbolica immagine di un io che deve morire a sé e alla presenza politica in prima persona. Il macabro grillo essiccato è inoltre segno di una politica che si vuole morta e assegnata a dei non–io pronti a obbedire in un corpo unico al capo diventato finalmente oggetto di culto.
La riaffermazione della piazza intesa come mistica proprietà, in tale ottica, mette, però, tra parentesi l’idea di una rete ad essa superiore, essendo quest’ultima segnata da un mero naturalismo informatico. La piazza guidata da un capo gerarchicamente/misticamente superiore collide, perciò, inevitabilmente, con l’idea di referendum continui e candidati prescelti su piattaforma. Siamo sicuri che un anonimo cittadino, magari entomofobo, si nutrirebbe di un grillo morto, sia pure per uno stipendio da parlamentare, legato al dire sempre sì? E anche la liceità di talune dichiarazioni e/o interviste televisive, ora, non più soggette a scomunica costituisce una contraddizione lancinante rispetto a tutte le numerose espulsioni fatte in passato, per l’uso di un mezzo antiquato e corruttore dei costumi come la tv, non accettabile né dalla piazza, né dalla rete.
Le contraddizioni tuttavia riguardano anche la piattaforma Rousseau: lo strano incontro, con il successivo problematico e pericoloso accordo per la sicurezza nazionale sul 5G, mette in fondo alla rete un problema. I fautori del valore salvifico della rete di Gaia onnipervasiva possono accettare che in Cina la rete non sia libera e certi termini siano censurati ab origine?
Anche a partire da questa domanda si gioca il futuro del partito. Può un soggetto politico moderno della società occidentale accettare la negazione della libertà? Alcuni segnali fanno pensare che un folto gruppo interno, irretito come un antico reziario prossimo alla sconfitta, accetti fideisticamente la logica della rete come intrinsecamente e necessariamente buona, meglio ancora se eterodiretta. Insomma Gaia, anche al di fuori dell’Occidente, ha bisogno di aiutini e spintarelle o spintoni, prima che riesca ad autoregolarsi e camminare con le sue gambe.
In tal senso, si ri-colloca l’autocritica del decoroso e dignitoso padre di Di Maio, autore di un messaggio in diretta Facebook sui propri errori. Tale drammatico gesto, con la pre-scelta del mezzo di comunicazione moralmente appropriato, si pone nell’ottica della messa da parte dei padri di ottocentesca e russa memoria, giunta prima al tentativo di uccidere i padri altrui mediaticamente (padre di Renzi, padre di Boschi, ecc.) e pronta poi anche a guardare asetticamente/cinicamente, in modo esemplare, al padre del proprio capo politico, messo in rete, per un bene comune in grado di assorbire e neutralizzare il grido dell’io, in vista delle magnifiche sorti e progressive.
La sovraesposizione del padre del capo politico è stata, certamente, fatta in nome e per conto della trasparenza. Nel mondo reticolare e/o tentacolare futuro di Gaia, infatti, come nel bel film The Circle (2017) non vi sarà più spazio per il segreto e finalmente la divisione tra privato/pubblico sarà superata per il bene pubblico. Ma questa scenografica ideologia è perdente fin dall’inizio e non solo per la negazione del diritto alla propria intimità ferita e per il giusto pudore rispetto ai propri atti. Già Dostoevskij, infatti, scrittore profetico, intravedeva nel Palazzo di Cristallo, con il mito della trasparenza, la base per il formicaio, per l’unanimismo senza pensiero e dunque la fine del soggetto.
Inizia però a essere presente, allo stato attuale, un numeroso gruppo di onorevoli pentastellati e di persone esterne al mondo della politica che sentono rivoltare il proprio umano di fronte all’incombente nichilismo interno al gruppo. Una nausea non sartriana, ma di difesa delle esigenze profonde del proprio cuore inizia a salire da più parti contro l’indistinzione collettivistica, la pseudomistica essiccata e l’esoterismo tecnologico. E l’ex ministro Fioramonti, erede – quando al dicastero dell’Istruzione – di intellettuali del calibro di De Santis, Gentile, Croce, che oggi sarebbero certamente svantaggiati rispetto a un neurone qualsiasi di Gaia e/o a un illustre sconosciuto da essa indicato o a un Carneade proveniente da un altro partito al potere, con il suo “balzo in avanti”, per il tentativo prematuro di togliere i crocifissi dalle aule e le sue dimissioni, rappresenta una delle possibili impasse del movimento: l’insignificanza e l’implosione per le contraddizioni interne alle diverse leadership.
Tutte le figure importanti del partito 5 Stelle (sopra, al di qua, dentro, vicine o sotto la piattaforma), ex movimento cristallizzatosi, rete o non rete, Gaia o non Gaia, hanno oggi a che fare insomma con diversi io che non si rassegnano più a stare zitti e buoni nella rete come pesci muti.