Le urne digitali di Rousseau, al voto sul “Patto civico per l’Umbria”, che riguardava la possibilità di sostenere un candidato civico insieme ad altre forze politiche, si sono appena concluse. Il risultato è al 60% favorevole alla linea proposta dal capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio: gli accordi con le altre forze politiche si faranno. Ne parliamo con Paolo Becchi, filosofo del diritto ed editorialista di Libero, che commenta così il risultato di Rousseau, positivo ma non plebiscitario: “Ci fa capire quanto Grillo sia capace di influenzare il Movimento: quando non lo manipola, come fece in occasione del voto sull’accordo di governo col Pd (allora l’80% degli iscritti a Rousseau votò a favore, con Grillo schierato apertamente per il sì), viene fuori che il patto col centrosinistra non piace così tanto agli elettori 5 Stelle”.
Che cos’ha in mente Luigi Di Maio?
Nel post di oggi Di Maio, dopo aver brevemente richiamato il patto civico per l’Umbria, ha detto: indipendentemente dall’Umbria, da adesso mi batto perché si faccia la riforma costituzionale volta alla riduzione del numero dei parlamentari. È un messaggio chiaro al Pd che vuol dire: “Altrimenti cosa ci stiamo a fare in questo governo?”. Vuole portare a casa il taglio dei parlamentari, ma fa capire quanta difficoltà ci sia in questo accordo.
Vuole il taglio subito, così come lo aveva chiesto all’indomani dello strappo sul governo Lega-M5s da parte Salvini. In quell’occasione Di Maio aveva detto che dopo la riforma si sarebbe potuti andare subito a elezioni.
Sono convinto che Di Maio avrebbe mantenuto la sua coerenza e non avrebbe mai fatto l’accordo col Pd che gli è stato imposto da Grillo, e che l’ha fatto finire in un governo che non voleva. Ma date le circostanze, Di Maio si è detto: “Se vado da solo alle regionali rischio di finire sotto il 10%”, e questo sarebbe stato psicologicamente drammatico. Ieri in Umbria hanno partecipato 800 iscritti: è il segno di una crisi enorme dell’elettorato M5s, che vede il movimento snaturato dai passaggi di potere a livello nazionale.
Il significato di questa elezione è quindi del tutto legato al nuovo governo Conte.
Sì, ma le regionali non sono amministrative qualunque: hanno sempre una valenza nazionale. Una coalizione col Pd che vincesse sarebbe una novità per i 5 Stelle, e lancerebbe questo governo. Io non credo che ce la faranno. Questo governo non ha nessun elemento in comune e nasce senza consenso.
Prendiamo un tema: l’ecologismo. Non è un collante abbastanza forte?
Per niente. È una storia messa in piedi da Conte in un discorso alle camere, da non paragonare a quando lo stesso Conte disse, nel giorno della nascita dell’esecutivo gialloverde: “Io sono populista”. Quel governo un senso lo aveva: era l’interesse nazionale, declinato dalla Lega in modo identitario e dai 5 Stelle in modo sociale. Infatti la Lega è scesa un po’ ma è già in ripresa. Il nuovo governo può contare solo su appoggi esterni, non ha un radicamento nel paese.
Di Maio è riuscito a superare i malumori di diversi big a 5 Stelle, come Di Battista e Paragone?
A parte alcuni mal di pancia come quello di Morra, che voleva una carica e non l’ha avuta, Di Maio ha bilanciato molto bene le persone entrate e uscite dal governo. Si è scusato con chi è rimasto fuori, il compromesso era inevitabile e l’ha gestito bene. Paragone prima dice che vota contro, poi si astiene… non ha fatto una bella figura. Di Maio è un ragazzo giovane che però ha una sua statura. Di Battista fa il battitore libero ma non è all’altezza: è un manichino che funzionava solo quando aveva Casaleggio dietro. L’antagonista vero era Fico, sconfitto lui gli equilibri interni li controlla bene.
Che vantaggi può avere il Pd da un accordo per le regionali?
Il Partito democratico ha degli interessi legati al territorio da mantenere, la giunta regionale uscente è del Pd. Ma governare col Pd è difficile: ha rifiutato la sindaca di Assisi che aveva precedentemente sostenuto per motivazioni legate a sue strutture di potere interne di difficile comprensione. Alla fine la Lega è sì il partito più vecchio del parlamento, ma solo nominalmente. Il Pd viene da una storia di cento anni, diverse tradizioni mescolate insieme: la componente ex comunista, quella cattolico-sociale… Come si fa a mediare tutto questo con un’entità nuova, aerea, come quella di un partito nato sulla rete? È impossibile.
C’è riuscito Renzi, che poi ha scaricato Zingaretti. Il segretario Pd l’accordo non lo voleva.
Renzi ha distrutto il Movimento costringendolo a fare un’alleanza col Pd, e allo stesso tempo ha distrutto lo stesso Pd convincendo Zingaretti a fare un patto che non voleva e poi andandosene, indebolendolo ulteriormente. E ora può fare quello che vuole, compreso decidere quando staccare la spina al governo. Credo che non avrà un buon risultato, perché gli italiani non dimenticano certe cose, ma gli do atto di essere stato un genio politico in questa fase.
Ma questo trasformismo chi lo paga?
Io credo che lo pagheranno tutti, la gente che aveva votato Lega al Nord e 5 Stelle al Sud si è ritrovata il Pd al governo. Poi vota la Lega alle europee e si ritrova Gentiloni commissario. Le persone non guardano al cavillo, ai numeri: andranno meno alle urne e basta. Voteranno alle regionali, alle comunali, ma alle nazionali no. Si chiederanno: che cosa ci vado a fare?
(Lucio Valentini)