L’attuale crisi che attraversa i 5 Stelle è ovviamente paradossale. Per un partito che ha fatto del rigore morale e del rispetto della magistratura il proprio mantra, il vedersi annullata l’elezione del proprio massimo rappresentante proprio dalla sentenza di un magistrato costituisce un vero e proprio infarto politico. Sarebbe tuttavia un errore non cogliere l’occasione fornita dalle attuali vicende dei 5 Stelle per non formulare alcune considerazioni di fondo sulla politica quando si sviluppa in una democrazia parlamentare come la nostra. Una democrazia parlamentare che vive a partire da una delega popolare che concede agli eletti un’autonomia pressoché totale.



I Cinquestelle, come è noto, hanno costituito il punto di arrivo di una delusione e depressione profonda che ha colpito la società italiana. Il Movimento 5 stelle è stato il risultato del rancore nei confronti della partitocrazia che si era sedimentato nella pancia del Paese durante la prima repubblica, unito ad una volontà di moralità radicale, concretizzata in un regolamento interno di rigidità giacobina (un solo mandato), al quale si è sommato il principio di una specchiata onestà, unita ad una rigorosa ascesi dei comportamenti (la rinuncia ad una parte dello stipendio). Quanto questi due elementi esprimessero una cultura ampiamente condivisa da una larga maggioranza del paese è stato confermato dal 32,7% dei consensi alla Camera dei deputati, espresso nelle elezioni politiche del 2018 e dal quale è dipeso il grande potere che questo movimento continua a detenere nel tanto deprecato “palazzo”.



Tuttavia, se il rancore e la probità morale possono generare consenso, sono i contenuti politici a costituire un riferimento forte, un manifesto di intenzioni sufficientemente chiaro, oggettivamente capace di concretizzarsi in proposte che diventano obiettivi di confronto parlamentare. Ora, se questi contenuti mancano, la moralità da sola assicura poco, al massimo produce un’onda di consensi direttamente proporzionale alle invettive anti-casta che molti, se non moltissimi, hanno proferito e declamato, ma è sostanzialmente irrilevante a difendere la politica dalle ambizioni personali che investono tutti, non appena percorrono i corridoi silenziosi del Transatlantico di Montecitorio, tra moquette, arazzi e boiseries, scoprendo l’impeccabile cortesia del personale, l’interesse dei giornalisti, l’attenzione rispettosa dei colleghi.



Gli ideali politici non possono limitarsi alla moralità e all’onestà, questi due valori sono preliminari all’agire politico, sono pre-costitutivi, non indicano affatto la direzione dell’azione politica che resta tutta da decidere. Se una simile assenza di spessore dei contenuti – o, se si preferisce, la loro scarsa visibilità – ha di fatto consentito al Movimento 5 stelle di allearsi, a scelta, con Salvini e con Letta, passando disinvoltamente dall’uno all’altro, con una giravolta che, se non altro per i tempi con i quali si è realizzata, ha costituito una vera e propria “perla” nella storia della nostra democrazia parlamentare, questa non poteva difenderli dalle ambizioni personali (legittime) e dal desiderio (comprensibile) di restare attaccati alla poltrona, a qualunque costo.

Una volta che la direzione politica è a geometria variabile, l’ideale dell’onestà non basta minimamente a legittimare l’alta funzione che si svolge. Non ci si fa eleggere perché si è onesti, l’onestà è un pre-requisito, non un criterio di preferenza. Occorrono invece delle competenze che, a loro volta, richiedono studio, capacità analitica, coraggio di legarsi alla direzione scelta, quindi fermezza e carattere: altrettanti elementi sui quali l’onestà in sé non può fare da sostituto permanente e da chiave passe-partout. Questa li precede, ma non li sostituisce.

Ma c’è una seconda considerazione da fare. Se l’onestà non è una linea politica, ma solo la condizione ineliminabile per esercitarla, il mantenersi al potere e il garantirsi gli spazi all’interno di questo, rischiano di diventare gli unici obiettivi da percorrere. Il Movimento 5 Stelle conosce qui il contesto reale, lo scenario finale del quale ogni aggregazione politica è consapevole e con il quale ciascuna deve fare i conti. E si tratta di uno scenario che, proprio se non è accompagnato da contenuti forti, concretamente perseguiti, diventa inevitabilmente l’unico ad esistere. Lo scenario, una volta privo di contenuti politici sugli obiettivi da perseguire, diventa quello del salotto di un gruppo autoreferenziale che si chiude su se stesso. Si tratta di un gruppo dove gli echi del Paese arrivano lontani, o non arrivano affatto. Ed è qui che la politica, da ricerca del bene comune, non può non trasformarsi che nella semplice difesa degli spazi conseguiti.

Così i contenuti, gli obiettivi concreti da trasformare in proposte legislative, si rendono indispensabili non solo per conquistare il consenso, ma soprattutto per consentire, ad ogni partito, di difendersi da sé stesso, dalla sua involuzione autoreferenziale. La mancanza di obiettivi concreti e quindi di un progetto generale per il quale impegnarsi è preludio alla lotta interna e la parabola dei 5 Stelle costituisce un vero e proprio caso da manuale. Così le lotte intestine, che sono pur presenti in ogni formazione politica, hanno trovato in questo movimento un’assenza totale di ostacoli, cioè di quei contenuti politici concreti ai quali ancorarsi, per i quali arrivare addirittura a giocarsi la poltrona, anziché limitarsi a conservarla.

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