Senza un accordo serio la via maestra è il voto, dice al Sussidiario Arturo Parisi, una vita intellettuale e politica accanto a Romano Prodi, prima nel “pensatoio” bolognese del Mulino e poi al governo, nel primo e nel secondo governo Prodi. “Chi meglio di Conte potrebbe mai guidare un governo di continuità nel quale il Pd sembra chiamato a sostituire la Lega?” spiega Parisi, tra l’ironico e il provocatorio. Il “vorticoso girotondo” di questa crisi di governo, secondo il professore, prelude ad una nuova fase politica, segnata dal ritorno al sistema proporzionale e pertanto dalla frammentazione e da tatticismi esasperati.



L’accordo M5s-Pd ha grandi ambizioni: vuole essere una accordo politico, di legislatura. Lei è ottimista o pessimista sulle sorti di questo governo non ancora nato?

Io sono fermo al “proviamo a fare un accordo serio capace di tenere nel tempo, o meglio il voto”: alternativa condivisa da Prodi a Zingaretti, e a quel che ricordo sancita nel Pd da un voto unanime senza nemmeno un dibattito. E sono rimasto pure all’attesa di un confronto che coinvolgesse nell’accordo la base del partito, a somiglianza di quanto accade in Germania.



E invece?

Vedo invece tutto d’un tratto un ruzzolone che prelude ad una conclusione accelerata come mai altre. Sarebbe una delle migliori smentite del detto che ricorda che “presto e bene di rado avviene”. In molto meno di novanta ore, inevitabilmente in gran parte nell’ombra, sarebbe avvenuto quello che l’anno scorso si consumò in novanta giorni alla luce del sole. Senza arrivare al precedente, citato da Prodi, che anche solo per rinnovare il patto tra Cdu e Spd all’origine del quarto Governo Merkel ai tedeschi ci vollero sei mesi. E vedo attorno pure tutto un cantare gioioso sul ritorno al passato. Addirittura allo spirito del 1976, al compromesso tra Dc e Pci raccontato come se allora a differenza di oggi avesse dato vita a un governo in comune, con Conte al posto di Andreotti e Zingaretti al posto di Berlinguer.



Tutta un’altra stagione.

Certo un passaggio cruciale che accomunò le distinte motivazioni e l’eguale determinazione delle due principali forze politiche a fronteggiare il rischio terrorista. Ma come dimenticare gli anni che seguirono? Il sangue e i veleni che ancora ci bagnano e la catastrofe finale della prima repubblica.

Conte è la figura giusta per un governo M5s-Pd, dopo avere governato un anno e mezzo con la Lega?

Più che giusta, Conte mi sembra la figura giustissima. Ma proprio perché in questi 15 mesi tutto ha fatto fuorché governare. Intervenuto a contratto scritto, firmato e controfirmato da gazebo e piattaforme Rousseau a dispetto del dettato costituzionale che chiede al premier ben altro, in questi 15 mesi Conte ha accompagnato e pettinato gli eventi mettendo in bella copia e rileggendo in modo impareggiabile quello che i due consoli volta a volta avevano concordato. Per scoprire e denunciare tutto in un colpo cose evidenti a tutti da sempre. Chissà quanto tempo avremmo dovuto aspettare per sentirgliele dire se Salvini, non lui, ripeto, Salvini, non lui, aprendo la crisi da barbaro in quel modo e quel tempo, non gli avesse liberato la bocca!

Quindi?

Chi meglio di lui potrebbe mai guidare un governo di continuità nel quale il Pd sembra chiamato a sostituire la Lega, a partire dalla rivendicazione del fatto che l’anno scorso il popolo avrebbe proclamato vincitori i 5 Stelle? Chi meglio di lui, ora che ha la forza che gli viene dal coro che lo saluta nuovo Moro e statista, mentre Grillo sembra averlo “elevato” a nuovo capo politico del Movimento? Altro che Conte bis, sarebbe il Conte 1.

Il Pd è diviso tra gruppi dirigenti, M5s tra base e vertice. Sono queste fratture le vere, prossime “crisi” da temere?

Non sono le fratture interne ai partiti quelle che temo. Increspature che il vento cambia e cancella più volte al giorno, assieme al nemico di turno. Con il risultato che persone che avevano proclamato con esibita passione una cosa difendono con lo stesso rumore le posizioni fino ad ieri avversate. No. Non sono le divisioni tra gli eletti, la frattura che temo.

E allora quali, professore?

Quella tra eletti ed elettori. In una società più gassosa che liquida e tuttavia attraversata da una domanda di partecipazione diretta, come ci si può attendere che gli elettori seguano quelli che fino ad ieri erano i loro rappresentanti in questo vorticoso girotondo messo ora in scena? Come fanno i 5 Stelle a dimenticare che proprio grazie a questa protesta sono arrivati fin qui. E il Pd a dimenticare che è a causa delle promesse deluse che sono iniziati i loro guai.

Pare che uno dei punti dell’accordo – connesso al taglio dei parlamentari – sia una riforma del sistema elettorale. Si andrebbe, il condizionale è d’obbligo, verso un proporzionale puro. Assisteremo ad una nuova frammentazione del sistema politico?

Non mi faccia soffrire. Ho combattuto una vita per una politica che mettesse al centro il governo, cioè la soluzione dei problemi invece della loro agitazione. Ed egualmente perché il governo dovesse cercare nel voto dei cittadini la prima legittimazione. Con la legge Rosato, dal Pd battezzata e acclamata, dissi che il viaggio di ritorno era iniziato, per di più col sostegno di chi appena l’anno prima aveva provato ad imporre un sistema di segno diametralmente opposto. Il viaggio di ritorno sembra avviarsi alla fine. Una volta adottata la logica proporzionale è inevitabile che la spinta sia a perfezionarla sempre di più. Da qui tutto il resto.

Ci spieghi.

La proporzione alimenta la divisione in porzioni. L’assenza di una decisione popolare vincolante spinge a fare e disfare continuamente la tela degli accordi tra le porzioni in parlamento come al bel tempo antico. E questo esalta tra i politici i professionisti della tessitura. Bando non dico alle ideologie, ma anche ai progetti e alle strategie di media durata. Torna il tempo della politica come tattica, e quindi dei tattici e dei tatticismi, del cogliere le opportunità del treno che passa, e dell’opportunismo. Se gli elettori non hanno ancora capito capiranno. E se non capiscono si adegueranno. Ma io penso che almeno in questo passaggio del mondo non sia così. Ed ho paura che il conto non pagato oggi, lo pagheremo domani con gli interessi.

Come valuta l’intervento di Trump a sostegno di Conte e del governo in gestazione?

Quale fosse il vero giudizio di Trump sulla consistenza di Salvini era noto da tempo. Ma ancor di più la sua decisa preferenza per il nostro “Giuseppi”. E tuttavia se fossi in Conte mi sentirei imbarazzato dai complimenti di Trump. A meno che non mi sia perso qualche puntata, il Trump che lo accolse all’inizio nella versione nazionalpopulista è lo stesso che lo saluta ora in una versione che vorrebbe essere l’opposto: su posizioni di ultradestra, sovranista e xenofobo.

(Federico Ferraù)