Più si avvicina il voto di fiducia al governo Draghi, più la confusione aumenta nel Movimento 5 Stelle. Si parla di 40 deputati e 30 senatori ribelli che stanno valutando se votare contro il nuovo governo o astenersi. Casaleggio è per l’astensione, Grillo, che aveva dato l’aut aut, è scomparso di nuovo. In più c’è una componente che vorrebbe ripetere il voto su Rousseau.
Nell’assemblea di sabato se ne sono sentite di tutti i colori. “Come possiamo fare le nostre battaglie se siamo fuori da tutti i ministeri chiave?”, “Beppe aveva chiesto la Lega fuori dal governo e invece c’è… Di questo passo non avremo più un elettorato”, “Con le trivelle questo governo che fa?”, “Hanno fatto fuori Conte e Bonafede, i nostri simboli”, “Non contiamo più un c…”.
“Grillo adesso vuole fare come i Verdi tedeschi, ma i 5 Stelle si sono fatti turlupinare” dice Paolo Becchi, filosofo del diritto, editorialista di Libero. “Sono pur sempre il partito di maggioranza relativa. Questo non è un governo tecnico alla Monti, è un governo istituzionale, politico-tecnico, dove i partiti possono contare”.
Cosa non ha funzionato?
M5s non è riuscito a far valere una forza contrattuale proporzionata al suo peso parlamentare. Si ritrova soltanto con gli Esteri come ministero di rilievo.
Grillo ha chiesto il ministero della Transizione ecologica e di fatto è stato accontentato. Ma in plancia non c’è un pentastellato, c’è Roberto Cingolani.
Ma il ministero di Cingolani non è quello che avevano chiesto. Transizione ecologica voleva dire fusione di Sviluppo economico e Ambiente.
Troppo importante ai fini del Recovery per lasciarlo ai 5 Stelle.
Intendiamoci. L’obiettivo si riduce a gestire i soldi del Recovery? Vedo una differenza rischiosa con l’editoriale di Draghi sul FT del marzo scorso. Quello era un programma rivoluzionario, basato sulla violazione dei parametri europei, su una politica espansiva, sul credito della banche a famiglie e imprese per salvare il paese. Questo sarebbe il vero Recovery, quello serio.
E invece?
Bisogna vedere che cos’ha in testa Draghi. Rischiamo di ritrovarci con una cosa molto differente.
Torniamo a M5s e al nuovo governo.
Il Pd ha perso l’economia, ma le correnti del Pd sono rappresentate, con Guerini, Orlando e Franceschini. M5s invece è stato asfaltato. Lo stesso Di Maio non toccherà palla, gli diranno quello che deve fare.
Una congiura?
Come mai Speranza e Ricciardi non sono stati bastonati pure loro? Intanto continuano a chiudere e a bastonare noi.
In M5s chi comanda?
Grillo, sia pure con molta difficoltà. Ha voluto mandare un messaggio molto chiaro: o con me o contro di me. Se votate Draghi, va bene, altrimenti siete fuori. Ma non funziona così, in queste cose. Perché uno dev’essere espulso se la votazione online è avvenuta su una cosa che non c’è?
Lei che ne pensa?
Dico che la proposta di Casaleggio è legittima: si lasci la possibilità di astenersi, visto che il quesito su Rousseau e la realtà erano due cose differenti.
Crimi sembra molto incerto, per usare un eufemismo.
Diciamocelo francamente: con Zingaretti il Pd si mostra del tutto inadeguato, ma M5s non sta molto meglio. Adesso Crimi esorta all’unità per non perdere posti di sottogoverno. Ma allora – si dirà – siete lì per prendere tutte le poltrone possibili… La caccia alle briciole.
Si parla di 40 deputati e 30 senatori ribelli, che stanno valutando se votare contro o astenersi. Come andrà a finire?
Difficile dirlo. Potrebbe andare così, che molti si astengono, per dimostrare di esserci e distinguersi senza tagliarsi fuori. Se votassero contro aprirebbero un contenzioso, ma in quanti adesso lo vogliono?
Qual è il vero problema?
Manca un regista sul campo. E Di Battista si è fatto da parte. Un grande amore è finito, ha detto. Secondo me non è la pietra tombale, c’è la possibilità che tra un paio d’anni rientri.
Se avesse dato battaglia?
Ci sarebbe stata una scissione.
Fare o non fare una scissione per salvare l’ispirazione anti-establishment del Movimento?
Adesso una scissione parlamentare avrebbe poco senso. Diverso sarebbe lavorare sottotraccia per consolidare un gruppo e dividersi in vista delle prossime elezioni, da dove M5s uscirebbe fortemente ridimensionato. Qualcuno potrebbe dire: noi non ci stiamo più, facciamo un soggetto alternativo.
C’ qualcuno che sta facendo questo ragionamento?
No, non vedo una visione alternativa. Ognuno cerca di fare i propri interessi, non quelli generali. Per andare alla rottura serve un leader, ma Di Battista si è tirato indietro. La base però è con lui.
Sicuro?
Il sì al governo è passato con neanche il 60% di voti. L’opposizione è consistente, il 40%, con una differenza: il 60% ha il nome di tutti, il 40% ha un nome solo, Di Battista. Quelli sono i suoi voti ma per adesso li ha congelati.
Conte, anche grazie a Travaglio, ha esercitato di fatto la leadership dei 5 Stelle. Adesso che cosa farà?
È un problema. Per lui, intendo. Se fosse riuscito a realizzare il Conte ter, sarebbe diventato il nuovo Prodi. Io credo che Renzi in realtà lo abbia fatto fuori innanzitutto per questo, perché, oltre a mettere insieme un notevole peso politico, stava diventando il leader di uno schieramento di centrosinistra che tiene insieme M5s e Pd. Il suo rapporto con Grillo era ottimo, il Pd era nelle sue mani, tutto andava in quella direzione. Renzi è stato astuto e ha rotto il giocattolo.
Da più di un anno viene attribuita a Conte la volontà di farsi un partito. È così?
Secondo me non l’ha mai realmente coltivata. Prodi non aveva un suo partito, perché la sintesi del centrosinistra era lui stesso. Adesso che il suo disegno è fallito, con il credito accumulato Conte potrebbe sicuramente farsi un partito. Ma c’è un problema.
Quale?
Avrebbe successo se si votasse domani. Ma tra un anno o più, dopo un lungo digiuno di potere, chi si ricorderà più di lui?
Allora può fare il leader di M5s.
Dovrebbe candidarsi ad entrare nella nuova struttura di vertice del Movimento. I tempi sono strettissimi e lui non ne fa parte. La vedo difficile.
Di Maio?
È riuscito a far parte di tre governi, dimostrando di non essere soltanto un bibitaro come dicono. Però ha certamente fatto più il proprio interesse che quello di M5s. Forse non gli conviene neppure entrare nella nuova direzione: a che pro fare il parafulmine? Farà sentire il suo peso rimanendo fuori.
Casaleggio vuole farsi un suo partito?
Non ci pensa minimamente. Se invece Di Battista rientrasse, allora un’alleanza tra Rousseau e Di Battista ci potrebbe anche essere, ma nell’immediato non la vedo.
Alla fine il leader è ancora Beppe Grillo.
Va detto che nei momenti realmente decisivi Grillo è puntualmente tornato a dare la linea. Senza Grillo non ci sarebbe stato il Conte 2, non dimentichiamolo. Fu Grillo a dire che non c’era bisogno di votare, e Renzi ne approfittò subito. È stato Grillo a parlare per primo di unità nazionale, il 13 gennaio scorso. Ritirò subito la lingua per non fare quello che attaccava Conte.
E quando il Conte 2 è morto?
Si è accorto per primo che la partita era persa e ha capito benissimo che M5s è destinato ad avere un ruolo marginale. Allora si è detto: diamogli un nuovo obiettivo. E si è inventato l’M5s prettamente ambientalista.
Qual è il calcolo?
Un partito così in Italia non c’è, il Pd non è verde abbastanza, in Germania i Grünen hanno il 10%, sono in crescita ovunque, in Europa sono più importanti dei socialisti. L’economia non riesce ad essere integralmente verde, mentre l’ecologia è la nuova economia. Da qui l’idea del ministero.
Che però non è andata in porto.
Non è andata in porto perché Mattarella e Draghi hanno detto no. E alla transizione ecologica non c’è un grillino, e forse nemmeno un esperto di ecologia, ma un post-umanista.
La prossima mossa?
La prossima mossa? Non ce l’hanno.
(Federico Ferraù)
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