Le parole di Francesca Galizia non bastano a nascondere l’evidenza. La deputata e capogruppo M5s in commissione Esteri ha provato (inutilmente) a schermare i malumori interni provocati dal recente imperativo, indorato, del senatore Vito Crimi, secondo cui la riforma del Mes s’ha (comunque) da fare. “Non impediremo l’approvazione delle modifiche al trattato”, aveva detto il viceministro dell’Interno Crimi, che ad interim guida la creatura politica di Beppe Grillo e Casaleggio padre. Galizia ha poi esplicitato il pensiero del reggente Crimi, che poggia sul distinguo tra “attivazione e riforma del Mes”. “Non è vero – ha precisato la parlamentare – che abbiamo cambiato idea sul Mes: finché il Movimento 5 Stelle sarà al governo, non sarà attivato”. L’orientamento dell’ala M5s governista è dunque chiaro: votare la riforma (peggiorativa) del Mes con la promessa universale che non verrà preso; e parola di “onestà”.
Ma le polveri bruciano e come, nella casa dei pentastellati. E c’è il pericolo, molto concreto, di fughe non solitarie, di un passaggio al Misto di deputati e senatori delusi, scontenti di virate, capriole e contorsioni di palazzo marchiate 5 Stelle, figlie di quella malattia virale che chiamiamo “poltronismo”, capace di modificare il Dna di partiti e affini.
Da ultimo l’agitazione interna è uscita dalle chat degli eletti. Lo attesta una lettera per Crimi, il ministro Luigi Di Maio e il sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro, firmata da 17 senatori e 52 deputati M5s. Vi si legge la richiesta che la riforma del Mes “sia subordinata alla chiusura di tutti gli altri elementi (Edis e Ngeu) delle riforme economico-finanziarie europee in ossequio alla logica di pacchetto, o in subordine, a rinviare quantomeno gli aspetti più critici della riforma del Mes”. “Ora è il momento di non arretrare – prosegue la missiva – su posizioni che non sono nostre. Ciò è ancora più vero in un momento storico in cui serve reale integrazione europea e spirito di solidarietà fra i Paesi dell’Eurozona, piuttosto che il potenziamento di istituzioni intergovernative esterne alle istituzioni comunitarie. In difetto, l’unico ulteriore passaggio che i parlamentari del Movimento 5 Stelle avrebbero per bloccare la riforma del Mes – avvertono i sottoscrittori – sarebbe durante il voto di ratifica nelle due Camere”.
Questo documento ammette due possibili letture: o è un monito nemmeno troppo lieve, una proiezione della possibile, vicina frattura della maggioranza di governo, oppure è la mossa fine di qualche isolato tessitore M5s per indurre il presidente Giuseppe Conte a guadagnare tempo, a trovare un aggiustamento ininfluente ma presentabile e spendibile all’esterno, utile a ricacciare, soprattutto sui social, il sospetto di un baratto dei 5 Stelle sul punto: accettare per governare. Certo, tra i firmatari ci sono – oltre all’informatissimo Raphael Raduzzi, che della riforma ha già illustrato le conseguenze nefaste – diversi aficionados del Movimento delle origini, quello legato allo Stato sociale e al “nessuno deve rimanere indietro”. Come è vero che sotto lo stesso testo compaiono le firme di parlamentari dal doppio registro, assieme governista e populista. Intanto Nicola Morra, presidente della bicamerale Antimafia. Il quale, per esempio, alla domanda se fosse meglio l’alleanza con il Pd o con la Lega, rispose: “Mi interessa che il Movimento faccia il Movimento, che continui ad inseguire i sogni”. Di quali sogni si tratti, però, ancora non è chiaro. Ciononostante, migliaia di cuori 5 Stelle interpretano e riverberano siffatti smarcamenti (di Morra) come indiscutibili conferme del suo integralismo identitario, come riprova che nulla può intaccarne lo spirito da attivista duro e puro della prima ora.
Circa la riforma del Mes, sull’orientamento politico dei deputati e senatori pentastellati pesano anche, al netto delle opinioni della rete Internet, le dichiarazioni dei loro colleghi europarlamentari Piernicola Pedicini, Rosa D’Amato, Ignazio Corrao ed Eleonora Evi, secondo cui essa non risponde “a quanto approvato dagli esponenti del M5s in sede parlamentare con due diverse risoluzioni”, ed “è anche peggio del Mes in sé”. E più a fondo: “Quando il reggente capo politico del M5s Vito Crimi e il ministro all’economia Roberto Gualtieri tentano di spiegarci che approvare la riforma del Mes è cosa diversa dall’accesso al Mes, dimenticano di spiegare che anche solo l’approvazione arreca un danno ai cittadini italiani”. Anche perché, hanno ammonito gli stessi europarlamentari del Movimento 5 stelle, “tra le varie storture introdotte dalla riforma c’è l’estensione dell’utilizzo del Fondo salva-Stati anche al salvataggio delle grandi banche in crisi (specialmente francesi e tedesche)”. “In questo periodo di acuta crisi economica tutte le risorse, specialmente quelle provenienti anche dai contributi dei cittadini italiani, dovrebbero essere impiegate – qui la loro morale – per soccorrere l’economia reale e le famiglie in difficoltà, non per sovvenzionare un fondo pronto ad intervenire in aiuto alle banche straniere”.
Infine agitano le acque interne le bordate dirette (a Crimi) del deputato Alvise Maniero, che in un post dello scorso 30 novembre ha scritto: “Ricordo le parole di Luigi Di Maio un anno fa esatto quando, meritevolmente, di fronte a parlamentari M5s riuniti per concordare una linea su questa riforma (linea contraria, risultata vincente per un anno intero nel non farla approvare nonostante tutti la dessero per fatta nel 2019), disse qualcosa di molto simile a questo: ‘Chi approvasse questa riforma rimarrebbe ricordato con vergogna nella storia proprio come ora ricordiamo con vergogna chi ha approvato il Mes originale’. Oggi, il suo reggente mi fulmina a ciel sereno”. E poi, sempre Maniero, in un post successivo ha domandato: “Se questa riforma del Mes dannosa da subito – che lo si attivi o no – non la vuole neppure Forza Italia, alla fine chi la voterebbe?”.
In politica tutto può accadere. Ma stavolta il governo Conte rischia parecchio. Specie per il malcontento tra i 5 Stelle più dubbiosi e assieme taciturni. Che sulla riforma in questione hanno finora preferito il silenzio.