Nelle elezioni politiche umbre, molto più del Pd sono stati i 5 Stelle a crollare, rendendo la sconfitta della coalizione giallorossa una disfatta. Di Maio, il capo politico di M5s, ha tratto subito le estreme conseguenze: il patto coi partiti è fallito, quest’esperimento ne è la prova. Da un lato sembra volerne esasperare le conseguenze per giustificare un (altro) cambio di rotta, dall’altro fa capire quanto sia stata dilettantesca questa mossa che il Movimento ha pagato caro: in Umbria è al 7,4%. Ormai il capo politico è contestato da tutti: da Conte, da Fico, da esponenti di M5s in Parlamento come Giarrusso.
A questa disfatta si è aggiunta ieri la beffa: il sindaco di Imola, Manuela Sangiorgi, ha dichiarato che il Movimento 5 Stelle, quello di Gianroberto Casaleggio, è morto, e ha annunciato le dimissioni. Era il sindaco del terzo comune più importante governato dai 5 Stelle. Abbiamo sentito il professor Paolo Natale, che ha scritto vari libri sulla base e sull’elettorato dei 5 Stelle, per capire che cosa resta in piedi di un Movimento che, da quando è al governo, ha dovuto accettare compromessi che non gli sono stati perdonati dalla base. “Io non so se il Movimento potrà risollevarsi. Ma credo che, per come è composto, la sua unica speranza sia tornare all’opposizione”.
Il patto col Pd alle regionali in Umbria l’ha pagato il Movimento 5 Stelle. Perché?
Le analisi ci dicono che l’elettore dei 5 Stelle si attiva per le nazionali, un risultato così basso era nell’ordine delle cose. Guardando agli errori, specialmente in Umbria il Movimento aveva fatto una forte opposizione alle giunte di centrosinistra: un dietrofront così improvviso non è stato digerito dalla base. A queste motivazioni si è aggiunto il malgoverno della precedente giunta, che ha penalizzato tutta la coalizione. È stato un errore tattico grave partire da qui se si voleva costruire un’alleanza col Pd a livello locale.
E da dove bisognava partire?
Dall’Emilia, dove le chance erano più alte e dove c’erano già state delle collaborazioni tra esponenti del Pd e dei 5 Stelle.
Oggi però proprio in Emilia, a Imola, si è dimesso il sindaco del terzo comune più grande d’Italia governato dai pentastellati.
Non è il caso di Imola, ma alcuni sindaci avevano provato a collaborare col Pd in Emilia, sulla scia di Pizzarotti. Ma le difficoltà sono sia nel governare, come nel caso di Imola, sia nell’interazione con l’elettorato. E poi c’è la questione del capo politico, sempre più sfiduciato.
In effetti Di Maio sembra in caduta libera: secondo delle indiscrezioni, ha parlato di volersi “coprire a destra, altrimenti la Meloni mi prende i voti”. Naviga a vista. Rischia di essere sfiduciato?
Di Maio ha ormai dimostrato di non essere all’altezza del ruolo di leader. Ed è ormai stato sconfessato da tutti: prima da Grillo, ora Conte e Fico sul voler lasciare l’alleanza col Pd a livello locale.
Che cos’è che punisce i 5 Stelle da quando sono al governo?
Il fatto che al governo perdono l’anima protestataria. Questo perché non hanno mai avuto una linea ideologica precisa da seguire, ma sono diventati forti mettendo in discussione i partiti tradizionali o la “casta”. Mettere d’accordo tutte le loro anime è difficoltoso. Ci sono statalisti, movimentisti, contestatari: è difficile metterli d’accordo per fare delle scelte.
Un’ideologia debole è una caratteristica da partito populista, e in effetti i 5 Stelle si sono sempre caratterizzati come post-ideologici. Ma sono ancora populisti?
Esprimono un populismo sui generis, non come Salvini o la Le Pen. Il loro è un populismo parzialmente progressista, che sposa le battaglie ecologiste. Non sono conservatori, questo anche perché agli inizi erano composti da fuoriusciti dalla sinistra. Poi il Movimento è cambiato.
In che modo?
Col successo. Quando prendi il 33% alle politiche imbarchi un po’ di tutto, specialmente al Sud dove hanno raccolto un elettorato che chiedeva sostegno economico, e che non vedendolo arrivare li ha abbandonati.
Ma il sovranismo che fine ha fatto nella retorica dei 5 Stelle?
È un altro tema che li divide dall’interno: Di Maio ora si professa grande europeista, ma in generale la retorica del “popolo italiano sovrano” è sempre calzata male ai 5 Stelle, funzionava solo contro l’Europa delle banche. Sono europeisti dal punto di vista sociale, non lo sono su quello del risparmio.
La base dei militanti 5 Stelle in che stato di salute si trova?
Mi dicono che i meetup (le assemblee dei militanti grillini, ndr) siano meno frequentati. Poi c’è il problema degli eletti, che diventano degli yesman perché i dissidenti vengono espulsi: hanno scarsa autonomia, e quindi bassa capacità di connessione con la base.
Che possibilità hanno di risollevarsi?
I compromessi negli organi di governo vanno accettati, ma le loro tante anime li digeriscono sempre peggio. A meno di un risollevamento dell’economia, la loro unica possibilità è tornare all’opposizione, solo che ci andrebbero con un 10-12% di voti, invece del 33% del 2018, cosa che gli rende difficile far cadere il governo. Ormai stanno perdendo in tutte le elezioni.
Che ruolo potrebbero avere i 5 Stelle se tornasse in auge il vecchio bipolarismo destra-sinistra?
Secondo me se vanno nell’alveo del Pd o di un futuro centrosinistra si perde il motivo per cui votarli.
(Lucio Valentini)