Dopo la “scoppola” (copyright Di Battista) delle elezioni europee, il Movimento 5 Stelle è entrato in fibrillazione, fino a mettere in discussione il ruolo di Luigi Di Maio. Ma nella giornata di ieri, dopo che il vicepremier grillino ha incontrato Conte e prima dell’assemblea congiunta di deputati e senatori che si è tenuta in serata, lo stesso Di Maio ha provato a giocare in contropiede: “Non sono mai scappato dai miei doveri e se c’è qualcosa da cambiare nel Movimento lo faremo – ha scritto sul Blog delle Stelle -. Chiedo di mettere al voto degli iscritti su Rousseau il mio ruolo di capo politico, perché è giusto che siate voi ad esprimervi. Gli unici a cui devo rendere conto del mio operato”. E il voto, come si legge sullo stesso Blog delle stelle, si terrà oggi dalle 10 alle 20: gli iscritti saranno chiamati a rispondere alla domanda: “Confermi Luigi Di Maio come capo politico del M5s?”. Cosa potrà succedere, adesso? “Partiamo da un fatto – risponde da Londra Marco Canestrari, sviluppatore e blogger che ha visto nascere, per avervi collaborato e lavorato, la macchina organizzativa del Movimento -: il M5s ha un’organizzazione il cui vertice non è certo Luigi Di Maio. Il vertice è Casaleggio. Davide Casaleggio è il presidente, oltre che della sua azienda e dell’Associazione Gianroberto Casaleggio, anche dell’Associazione Rousseau, che gestisce le anagrafiche, la comunicazione e persino i soldi del Movimento 5 Stelle, raccolti dai parlamentari e dagli attivisti. Il M5s non tocca palla su quei soldi. Casaleggio ha degli interessi propri e gestisce il Movimento come se fosse un ramo d’azienda politico del suo sistema. Casaleggio ha dunque bisogno di qualcuno che non metta in discussione il suo ruolo”.



Di Maio ha rimesso il mandato nelle mani degli iscritti a Rousseau. Che cosa significa?

È la mossa del cavallo per stare tranquillo, non è certo una mossa disperata. Con il voto su Rousseau la partita si chiude a favore di Di Maio. Il vero problema, infatti, è evitare che la situazione possa precipitare fino al punto che qualcuno metta in discussione il ruolo di Casaleggio, che comunque è abbastanza blindato: l’Associazione Rousseau è nello Statuto del Movimento, sarebbe dunque difficile intaccare la sua posizione. Chiaro, si creerebbe un bel problema solo se dal Movimento si sollevassero dubbi su quel punto.



Per i parlamentari grillini Di Maio ricopre troppi incarichi. Secondo lei, dovrebbe fare un passo indietro da uno dei due ministeri o come leader del Movimento?

Sia per quanto riguarda il Movimento che per quanto riguarda il governo, Casaleggio resta la parola magica. Nel momento in cui qualcuno tra i Cinquestelle pronuncia questa parola e mette in discussione il suo ruolo, cominciano i veri problemi. Così come se Salvini dovesse pronunciare la parola Casaleggio, perché sa perfettamente che quello è il punto debole del M5s. Quando Salvini vorrà far cadere il governo, comincerà a chiedere conto di questa persona.



Quindi, qual è la soluzione più gradita a Casaleggio? E come si è mosso in queste ore Casaleggio?

Di Maio e Casaleggio si sono evidentemente sentiti e consultati. Di Maio ha detto che Casaleggio non ha chiesto le sue dimissioni e questo è molto curioso.

Perché?

Di Maio ha sempre detto che Casaleggio è il tecnico informatico che gestisce la piattaforma e non si è mai visto un politico che per capire se deve dimettersi va a sentire chi gli gestisce il sito Internet. È una dichiarazione ridicola, ma che tradisce quale sia il vero ruolo di Casaleggio, il vero dominus del sistema e del partito. Comunque Casaleggio, per i rischi a cui accennavo prima, continuerà a tenere un basso profilo, ma è chiaro che in qualunque transizione verso una nuova leadership avrà la necessità di avere qualcuno di cui si fidi e che non si azzardi a mettere in discussione il suo ruolo e il modo in cui gestisce soprattutto i soldi del Movimento.

E Grillo, che ruolo gioca in questa partita?

Grillo non conta assolutamente nulla nel Movimento e in realtà non ha mai, paradossalmente, contato nulla, perché anche quando era capo politico del M5s era semplicemente il ventriloquo di Gianroberto prima e di Davide Casaleggio poi.

Il voto sulla piattaforma Rousseau è garanzia del fatto che, in base al principio tanto caro ai Cinquestelle della democrazia partecipativa, così si ascolta la voce della base?

Diciamo che questa modalità ribadisce il ruolo centrale di Casaleggio, di Rousseau e della piattaforma. Ma con due considerazioni aggiuntive.

Quali?

La prima: i risultati della piattaforma Rousseau hanno sempre e solo confermato le decisioni prese dall’alto, dalla dirigenza del partito. Servono semplicemente a ratificarle. La seconda: il voto sulla piattaforma Rousseau – e lo dice il Garante per la privacy – è manipolabile, non è sicuro, non è trasparente. Non è una votazione valida nel senso classico del termine. Non c’è nulla che possa dimostrare, perché è indimostrabile dal punto di vista tecnico, che il voto si svolga in maniera regolare.

Casaleggio, dunque, preferirebbe che Di Maio lasciasse una delle due poltrone ministeriali ma non la leadership del Movimento?

Mettiamoci nell’ottica di Di Maio. Deve costruirsi un futuro politico, perché non credo alla barzelletta che lui, una volta finita questa legislatura, si ritirerà a vita privata, tornando a fare lo steward al San Paolo di Napoli. E lo può costruire in due modi: o da un ministero, garantendosi una reputazione e una rete di rapporti da spendere in futuro, oppure da capo del M5s, modellando a sua immagine e somiglianza la riorganizzazione del partito che ha preannunciato, prevedendo un ruolo per sé e per il suo inner circle, visto che – finita questa esperienza – nessuno di loro potrà ricandidarsi. Di Maio cercherà comunque di tenere il piede in due scarpe per non precludersi nessuna possibilità. E Casaleggio preferirebbe che, in cambio della sopravvivenza politica di Di Maio, lui garantisse la sua sopravvivenza alla proprietà del partito.

C’è chi dice che una vera alternativa alla leadership di Di Maio non esiste. Nemmeno Di Battista?

Non so quali siano i rapporti tra Casaleggio e Di Battista. Ma una cosa è chiara: i Cinquestelle sono abbastanza impreparati a questa situazione, perché Casaleggio sta sicuramente pensando a costruire una leadership successiva a quella di Di Maio, ma verosimilmente non si aspettava di doverlo fare così presto.

Il M5s rischia un’implosione interna o addirittura una scissione?

Non credo. La storia dei dissidenti contro Di Maio è un po’ gonfiata. E non penso nemmeno che si arrivi a una soluzione alla Alfano, cioè che Di Maio e il suo gruppo dirigente si sgancino dal Movimento per formare un proprio gruppo. Al Senato i numeri sono molto risicati e l’operazione non avrebbe molto senso.

Il M5s potrebbe staccare la spina al governo e andare all’opposizione?

Tenderei a escluderlo, per tanti motivi. Primo: Di Maio, tutta la dirigenza del partito, ministri e sottosegretari possono sfruttare questo giro e basta, non si possono ricandidare, perciò faranno di tutto per rimanere al governo. Una volta all’opposizione, quella dirigenza è finita. Secondo: la legislatura non la faranno finire, perché il 60% dei parlamentari matura il diritto alla pensione nel settembre del 2022. Non credo che tutte queste persone abbiano intenzione di rinunciare volontariamente alla pensione futura fra meno di tre anni. Tutt’al più potrebbe esserci una pattuglia di senatori della vecchia guardia, che non hanno avuto incarichi particolari ed esprimono il disagio più forte, intenzionati a uscire, provocando una crisi di governo, che potrebbe comunque essere tamponata dall’ingresso di Fratelli d’Italia. Terzo: Di Maio non ha un gruppo parlamentare europeo e il punto di caduta è che Di Maio o rinuncia ad avere un ruolo in Europa, ma la vedo difficile, perché non avere un gruppo significa non avere i soldi per gli assistenti e non avere tempo di parola, oppure aderisce a un gruppo già esistente e in questo caso mi sembra che l’unico accordo possibile possa essere quello di confluire proprio nel raggruppamento di Salvini e Le Pen.

Il venir meno dei soldi dall’Europa potrebbe essere un problema per il Movimento?

Sarebbe un problema per i collaboratori del M5s che in questi anni hanno trovato casa a Bruxelles, con il rischio politico che qualcuno possa cedere alla tentazione di non obbedire agli ordini di scuderia, cercando altre strade. Non avere peso in Europa vorrebbe dire rendere palese il fallimento di tutta la classe dirigente del Movimento. Dal punto di vista economico, essendo 14 persone, il problema è meno rilevante.

Di Battista ha proposto ai Cinquestelle di tornare alle origini: avendo ancora più deputati e senatori della Lega – è la sua tesi – “come sempre, si vota ciò che è giusto e si bloccano le porcate”. È la strategia giusta per recuperare voti?

Non penso, per un semplice motivo: il 17% è arrivato proprio quando i Cinquestelle hanno cercato di riportarsi su quella strada, come ha dimostrato il caso Siri. Non è un problema di base, è un problema di credibilità nel portare avanti le tematiche che stanno a cuore al Movimento.  

Dove ha sbagliato, allora, il M5s avendo perso in un anno la metà dei consensi?

Non credo abbia sbagliato qualcosa. Il problema è che il M5s è incompatibile con il governo, nel senso che non sono proprio capaci.

(Marco Biscella)