Il governatore militare del Mali, il colonnello Assimi Goïta, nonostante abbia preso atto del ritiro delle truppe francesi intende a dimostrare che le sue forze sono in grado di contrastare la minaccia islamista. Accanto al supporto del gruppo Wagner fornito al colonnello, il Mali sta cercando di intrecciare relazioni di partenariato militare con l’Egitto e la Turchia, anche se non è ancora chiaro fino a che punto queste due nazioni siano in grado di prendere il posto della Francia, la quale dovrebbe completare la sua infrastruttura militare sita a Gao alla fine di agosto.



Intanto l’inviato speciale delle Nazioni Unite El Ghassim Wane ha detto al Consiglio di sicurezza Onu che centinaia di civili sono stati uccisi da un risorto Stato islamico nel Grande Sahara (Isgs) negli ultimi mesi, mentre c’è stato un drammatico aumento degli abusi da parte delle forze governative e dei “loro associati” (un allusivo riferimento a Wagner).



Come sappiamo la forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, la Missione di stabilizzazione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite del Mali (Minusma), è stata privata del supporto aereo di emergenza fornito dalla forza francese Operazione Barkhane. E la sua libertà operativa è sempre più limitata dall’imposizione da parte di Bamako di no-fly-zones e no-go areas.

Allo stato attuale non ci sono elementi che ci consentano di poter affermare in quale modo gli elicotteri francesi e i jet Mirage possano essere sostituiti. Non dimentichiamoci inoltre che questi elicotteri e jet sono stati supportati dal rifornimento aereo degli Stati Uniti, dall’intelligence satellitare e dei droni che difficilmente possono essere forniti solo dagli alleati degli americani e della Nato.

Questo potrebbe spiegare perché i maliani hanno cercato di rafforzare i legami di difesa con la Turchia, una potenza militare ben equipaggiata che intende avere maggiore influenza in Africa e che, pur essendo un membro della Nato, è al di fuori del club politico occidentale da cui Bamako è così desideroso di prendere le distanze.

Guterres ha lanciato il concetto di una forza africana distinta con un mandato più offensivo di quello di Minusma – un’idea che ricorda la più muscolosa Brigata di intervento della forza che completava la principale missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Congo–Kinshasa.

Il colonnello Goïta e il suo ministro della Difesa, il colonnello Sadio Camara, sembrano determinati a dimostrare che il Mali può affrontare le sue sfide alla sicurezza senza l’aiuto delle Nazioni Unite o delle forze occidentali.

Il mese scorso il Mali si è ritirato dall’organismo regionale del G5 Sahel e dalla sua struttura di forza congiunta, e le autorità di Bamako hanno anche ostacolato la rotazione dei contingenti di truppe dell’Africa occidentale a Minusma. Alcune unità di mantenimento della pace sono state costrette a prolungare la loro permanenza di quattro mesi perché Bamako si è rifiutata di dare il via libera all’arrivo dei sostituti.

Il ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Diop ha cercato di giustificare questo come mezzo per spingere i leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ad ammorbidire le sanzioni.

L’operazione multinazionale delle forze speciali europee Takuba si sta ritirando contemporaneamente ai francesi. Entrambe le forze stanno ridistribuendo truppe nel Niger occidentale, dove anche le comunità civili continuano a subire attacchi jihadisti in un contesto ulteriormente complicato dalle tensioni intercomunitarie. La Francia aveva circa 2.500 soldati Barkhane in Mali fino a poco tempo fa, mentre si ritiene che la forza Takuba fosse di circa 600 uomini.

Nonostante i rapporti ottimisti delle forze armate del Mali sui recenti successi sul campo di battaglia, non c’è dubbio che l’Isgs – la forza islamista predominante nel Mali orientale – abbia approfittato della liquidazione di Barkhane e Takuba nel Paese per intensificare i suoi attacchi nelle regioni sud–orientali di Menaka e Gao. Le forze speciali europee avevano sviluppato una partnership operativa particolarmente stretta con l’esercito maliano in queste regioni, ma alcuni mesi fa Bamako ha ordinato alle sue unità di interromperla.

Le condizioni sono particolarmente fragili nella regione “tri-confine”, dove le regioni di Menaka e Gao confinano con il Niger occidentale e il nord-est del Burkina Faso. Già 5mila civili sfollati sono fuggiti nella città di Menaka.

Dall’altra parte del confine in Niger, la violenza ha costretto alla chiusura di molte scuole e i funzionari sono fuggiti dalle aree rurali. In Burkina Faso almeno 79 persone sono state uccise in un attacco militante l’11 giugno. Minusma sta rafforzando la sua presenza di 600 persone nel Mali orientale e ha istituito una base supplementare temporanea ad Ansongo, sulla strada principale da Gao al confine con il Niger.

Il 15 giugno, le forze francesi hanno annunciato la cattura di una figura di alto livello dell’Isgs, Oumeya Ould Albakaye, che serve a ricordare cosa significherà la partenza francese per la lotta anti-islamista. Nonostante il problematico stato delle relazioni politiche bilaterali, Parigi ha sottolineato che dopo un primo interrogatorio post-arresto, sarebbe stato rapidamente consegnato alle autorità del Mali.

Ciò potrebbe suggerire la possibilità di cooperazione operativa locale con le unità Barkhane e Takuba che si stanno trasferendo oltre il confine in Niger, ma che avranno ancora una capacità di sorveglianza aerea che raggiunge in qualche modo il terreno del Mali. Gli osservatori militari nigeriani sul terreno sono sempre più pratici nell’indire attacchi aerei francesi.

Tuttavia, le prospettive di una collaborazione discreta nella lotta condivisa per frenare l’Isgs dipendono anche dalle relazioni del Mali con i suoi vicini nigeriani e burkinabé.

Nel frattempo, la violenza rimane diffusa anche nel Mali centrale, con il governo che incolpa la Katiba Macina – il braccio locale di Jama’at Nusrat al Islam wal Muslimin – per il massacro di 132 civili nell’area di Diallassagou il 18-19 giugno, uccisioni che sembrano essere una vendetta jihadista contro individui sospettati di collaborare con l’esercito.

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