I francesi alleati con jihadisti e ucraini per combattere i russi in Mali. La guerra in Africa ripete gli schieramenti di quella fra Kiev e Mosca, che si combatte in Europa, mentre per un altro verso ricorda l’iniziale sostegno degli americani ai talebani in Afghanistan. Si segue il principio, spiega Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito, fondatore dell’IGSDA e membro del Collegio dei direttori della NATO Defense College Foundation, per cui il nemico del mio nemico è mio amico, anche se resta un dubbio sull’affidabilità dei fondamentalisti islamici come alleati. Queste fibrillazioni africane sono un problema per la sicurezza europea, anche per questo la NATO dovrebbe interessarsene in modo sistematico, magari anche coinvolgendo di più l’Italia.
I francesi avrebbero messo a disposizione dei jihadisti la loro intelligence per sconfiggere i russi in Mali. Vogliono contrastare Mosca nel Sahel?
Il portavoce dei ribelli maliani, dopo gli scontri del luglio scorso (dal 25 al 27), ha sostenuto che si erano tenuti incontri preventivi con i servizi segreti ucraini per verificare le migliori modalità di cooperazione, aggiungendo che ci sono forti legami anche con francesi, americani e altri. Quindi i francesi, ex “protettori del Mali” cacciati dal Governo in carica, si sono alleati con i ribelli separatisti. La cosa non è improbabile, visto che le alleanze cambiano drasticamente a seconda delle esigenze. Considerando le coalizioni, si riproduce esattamente il posizionamento delle forze dello scacchiere russo-ucraino. Logico pensare che Parigi faccia di tutto per contrastare Mosca in Africa Settentrionale.
La guerra Ucraina-Russia ormai è globale?
La guerra russo-ucraina ha molteplici “fronti”. E quello africano è senza dubbio in espansione. Infatti, le autorità ucraine hanno ammesso, in più occasioni, di essere in guerra con la Russia in tutti i teatri. Gli attacchi ai paramilitari russi che, come la ex-Wagner (oggi Africa Corps), hanno appoggiato l’esercito di Mosca dalla fase iniziale del conflitto in terra ucraina, sono un obiettivo strategico. Già alla fine dell’anno scorso il Kyiv Post, il principale quotidiano ucraino in lingua inglese, aveva riferito che era stato aperto un nuovo fronte in Africa, inviando forze speciali ucraine in Sudan per combattere contro i mercenari russi che sostenevano le Fsr (Forze di supporto rapido) al soldo del Generale Mohamed Hamdan Dagalo, milizie ribelli che combattono contro l’esercito regolare sudanese.
Qual è il ruolo degli ucraini in Africa?
Lo scontro di fine luglio ha dato un esito superiore a cento vittime con la distruzione di un convoglio di mezzi militari, e parrebbe che alcuni “ex Wagner” siano stati fatti prigionieri dai ribelli. La cosa interessante è quanto dichiarato dal portavoce del Gur, Servizio segreto militare ucraino, che ha affermato, durante un’intervista trasmessa su un canale televisivo locale, che i servizi ucraini collaborano con i ribelli operanti nel nord del Mali. Secondo quanto rilasciato nella sua dichiarazione, i tuareg hanno ricevuto le giuste informazioni e “altro”, che hanno permesso di ottenere il successo in questa operazione militare contro quelli che il portavoce del Gur ha definito “criminali di guerra russi”. Da altre fonti si è appreso che le forze armate francesi addestrano e hanno addestrato unità ucraine all’uso di droni militari; ecco cosa si potrebbe intendere per “altro”.
Questa operazione assomiglia a quella degli americani con i talebani in Afghanistan, prima sostenuti in funzione antirussa e poi diventati acerrimi nemici. C’è il rischio che la jihad del Sahel collabori con gli occidentali e poi gli si rivolga contro?
Cosa preoccupante è (o sarebbe) l’alleanza di fatto e il coordinamento tra i jihadisti e i francesi. Certamente sembrerebbe che si stia per rivedere lo scenario degli anni ’80 in Afghanistan, quando per combattere i sovietici gli Stati Uniti rifornirono di armi i mujaheddin di Osama Bin Laden, che poi si rivoltò tragicamente contro chi l’aveva aiutato. Quelle armi furono utilizzate dai terroristi di Al Qaeda. Le conseguenze di questa politica rischiano di essere serie. Ora i francesi, con il probabile silenzio-assenso di Washington, per combattere i russi e la loro influenza sui governi del Sahel, starebbero accantonando principi e ideologie e avrebbero forse deciso di servirsi dei potenti miliziani jihadisti legati ad Al Qaeda e di allearsi con loro, applicando la teoria per cui il nemico del mio nemico è mio amico. Fino a che punto fidarsi dei jihadisti sarà un problema da affrontare.
Quanto è estesa la presenza di milizie fondamentaliste nella zona subsahariana e nel resto dell’Africa?
Prima di tutto è importante non considerare omogenei e monolitici i movimenti jihadisti che operano attualmente in tutto il Sahel: si distinguono sia per ideologia e affiliazioni, sia per modalità di azione e aree di presenza o influenza. Sebbene la maggior parte di questi gruppi abbia scelto di essere affiliata alle due principali organizzazioni jihadiste internazionali, Al-Qaida e Isis, essi hanno anche profonde ramificazioni locali e sono ben radicati in alcune comunità.
Bisogna tenere conto, quindi, delle motivazioni che riguardano anche le situazioni regionali?
I combattenti hanno motivazioni molto diversificate: economiche, simboliche, legate alla centralità dell’elemento religioso. L’agenda locale dei gruppi armati è spesso preminente nella determinazione delle ragioni all’origine della mobilitazione e degli obiettivi della lotta armata. A dare impulso e aggravare le insorgenze jihadiste sono stati i regimi locali, che hanno spesso contribuito a connotare le ribellioni locali come espressione di fenomeni di terrorismo jihadista per ottenere dai partner internazionali risorse militari e finanziarie utili al rafforzamento degli apparati securitari e, in ultima istanza, al consolidamento delle élite al potere.
L’iniziativa dei francesi significa che almeno qualche paese occidentale sta cercando di recuperare terreno in un continente che invece tende a cacciare Francia e USA in particolare, preferendo l’aiuto di russi, turchi e cinesi?
Riterrei di sì. L’attivismo pericoloso di Ankara si affianca a una palese azione di penetrazione politico-economica sia della Russia sia della Cina Popolare. Certo stupisce che un paese membro della NATO come la Turchia sia in questo gruppo, ma tant’è e, al momento, la crisi mediorientale aumenta le criticità nell’area. La presidenza turca fa “carta straccia” degli accordi e delle regole internazionali e pensa solo al proprio tornaconto, così come i governi di Mosca e Pechino. Non c’è nulla di buono, in prospettiva, per l’Europa e l’Occidente in generale. Ogni giorno che passa, la situazione diventa meno recuperabile, soprattutto per la Francia, che ha sfruttato, forse troppo, le sue ex colonie inimicandosele definitivamente.
Questa situazione meriterebbe un’attenzione maggiore anche da parte della NATO?
Questa, come accennato, è una questione soprattutto di sicurezza europea. Se Trump dovesse vincere le elezioni, il vertice NATO del 2025 all’Aia sarà molto diverso da quello di Washington e costringerà l’Alleanza Atlantica ad affrontare le scelte difficili che non potranno continuare a rinviare. Nello specifico, ritengo che ci sia stata una “stolta” decisione nell’affidare la carica di Rappresentante speciale della NATO per il fianco Sud dell’Alleanza a un diplomatico spagnolo. Decisione presa da parte dell’uscente Segretario Generale Stoltenberg, che indica scarsa attenzione a quello che avviene nella regione e l’intenzione di rimandare una posizione comune o, peggio, lasciare alle iniziative dei singoli paesi (vedi Francia) la gestione della crisi in atto. Ci si augura, in chiave italiana, che il suo successore sia più “ispirato” e riconosca al nostro paese tale posizione, atteso che è stata creata per richiesta e insistenza di Roma.
(Paolo Rossetti)
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