“Lo Yemen si trasformerà nel cimitero degli americani e questi lasceranno la regione umiliati”. Così Ali al-Qahoum, uno dei leader degli Houthi, fa intendere che le tensioni nel Mar Rosso non possono ritenersi ancora terminate. Intantoil Qatar ha deciso di sospendere l’invio di navi gaserie attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb: per rifornire l’Europa di Gnl dovranno circumnavigare l’Africa. Come ricorda Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «il Canale di Suez rappresenta un snodo commerciale importante: vi passa, infatti, il 12% delle esportazioni mondiali».
Chi rischia di subire le conseguenze più pesanti da un arresto dei flussi attraverso il Canale?
Principalmente le esportazioni di gas e petrolio e quelle cinesi. Con il conflitto in Ucraina e le sanzioni alla Russia è stato già limitato il transito di merci tra Asia Meridionale ed Europa. Resta possibile il passaggio da Città del Capo, ma richiede più tempo e costa di più, anche per via dell’aumento dei noli marittimi.
Gli Stati Uniti resterebbero indenni?
Importano meno petrolio dal Golfo Persico rispetto all’Europa e hanno Paesi produttori alternativi più vicini. Tuttavia, se il prezzo del greggio dovesse crescere, anche gli Usa ne patirebbero le conseguenze inflative. Spesso le ondate di aumento dei costi partono da episodi singoli e finiscono poi per coinvolgere, anche per le aspettative che si generano, tutti i comparti. Non dobbiamo dimenticare, però, un’altra situazione critica per gli scambi commerciali.
A che cosa si riferisce?
Alle difficoltà di transito, causate dalla siccità, nel Canale di Panama: il traffico è già stato ridotto e per le navi con un pescaggio molto profondo è materialmente impossibile.
Rischia, quindi, di ripresentarsi il problema degli approvvigionamenti visto durante il Covid con le conseguenze sul fronte inflativo?
Diciamo di sì, anche se è complesso quantificarlo, perché non sappiamo esattamente quante navi non passeranno da Suez e per quanto tempo. Bisognerà vedere come evolverà la situazione e, soprattutto, quanto efficaci saranno gli interventi americani contro gli Houthi.
Interventi che dovranno essere mirati per evitare che si inneschi un vero e proprio conflitto nell’area…
È noto che gli Houthi godano del supporto dell’Iran, che, tuttavia, non attraversa un buon momento dal punto di vista finanziario. Anche per questo Teheran ha preso le distanze dalle azioni del gruppo militare yemenita: non vuole uno scontro diretto con gli americani.
Visto che potrebbero esserci conseguenze inflative sia per l’Europa che per gli Usa, quello che sta accadendo potrà avere effetti sulle decisioni delle Banche centrali?
Certamente. Diamoci, però, 15 giorni di tempo: se da qui a fine mese non ci saranno altri incidenti e lentamente il traffico nel Mar Rosso riprenderà, potrebbero non esserci conseguenze importanti. Bisogna capire quale equilibrio emergerà dal punto di vista militare, perché influenzerà direttamente anche gli aspetti economici. Tenendo conto anche di un fatto non secondario.
Quale?
Gli Stati Uniti devono intervenire su Suez, perché se lasciassero questo fronte aperto per l’Europa, allora quest’ultima non riuscirebbe a sostenere contemporaneamente anche l’Ucraina.
(Lorenzo Torrisi)
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