Secondo Confartigianato, le tensioni nel Mar Rosso, dallo scorso novembre a oggi, hanno causato danni per il commercio estero italiano pari a 8,8 miliardi di euro. Del resto, come ci ricorda Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e presidente del Centro studi EconomiaReale di Roma e dell’Istao di Ancona, «i transiti dal Canale di Suez rappresentano sì il 15% del commercio mondiale, ma ben il 30% degli scambi commerciali europei. Dunque, sono toccati, non marginalmente, le importazioni, comprese quelle energetiche, e le esportazioni di prodotti».



Le navi possono comunque circumnavigare l’Africa, anche se ovviamente devono impiegare una decina di giorni in più.

Questa rotta alternativa non richiede solo più tempo, ma comporta maggiori costi su cui già sta agendo la speculazione. Basta considerare che i noli marittimi nell’arco di un paio di mesi sono aumentati di sei volte. Per l’Italia c’è poi un altro effetto negativo.



Quale?

La rotta che passa dal Sudafrica rende più conveniente l’approdo nei porti dell’Europa settentrionale, Rotterdam in testa. Quelli del Mediterraneo, tra cui quelli italiani, si ritrovano, quindi, con traffici ridotti.

Quindi, ci può essere un impatto non indifferente sul Pil italiano…

Sì, ma è difficile da quantificare. Di certo se queste tensioni non svaniranno nei prossimi mesi non sarà irrilevante. Le produzioni potrebbero rallentare per la scarsità di materie prime o componenti, un po’ come avvenne dopo lo scoppio della pandemia per l’automotive, e di conseguenza anche la capacità di esportare verrebbe ridotta, dato che siamo un Paese manifatturiero trasformatore. Siamo di fronte a una nuova dimostrazione del fatto che una catena del valore lunga può far risparmiare sui costi, ma è più esposta a crisi e shock esogeni.



Ci vorrebbero, quindi, investimenti in Europa per accorciare le catene del valore.

Certo. L’Europa e la sua economia si sono basate per decenni su tre fattori che ormai non esistono più: energia a basso costo dalla Russia; difesa pagata dagli Stati Uniti; grande spazio per l’export, in particolare nei Paesi asiatici, Cina in testa.

Oltre ai rischi sul sistema produttivo le tensioni nel Mar Rosso potrebbero portare a un aumento dei prezzi che potrebbe far risalire l’inflazione. Potrebbero esserci conseguenze anche sulle decisioni della Bce?

In tanti auspichiamo che i tassi di interesse possano diminuire già in primavera, ma con le prospettive inflative determinate da questa situazione credo che la Bce dovrà rimandare il taglio almeno all’autunno. Quindi, c’è il rischio di dover fare i conti, per buona parte dell’anno, con tassi di interesse che non saliranno, ma resteranno comunque elevati, frenando gli investimenti delle imprese e delle famiglie.

Di fatto è sempre più probabile che effettivamente il Pil italiano cresca molto meno di quanto previsto dal Governo nella Nadef…

Come Centro studi EconomiaReale avevamo stimato per quest’anno una crescita dello 0,6%. Sembrava una previsione pessimistica, ma oggi, alla luce degli eventi, potrebbe anche diventare ottimistica.

Come si potrebbe cercare di limitare i danni per l’economia?

Di fronte a una situazione del genere credo che non ci sia alcun strumento di tipo congiunturale che possa rappresentare un rimedio efficace. Occorre, pertanto, agire sui nodi strutturali che frenano la crescita. Serve una diversificazione energetica, un accorciamento delle filiere produttive e, a livello italiano, vanno varate le quattro grandi riforme di cui discutiamo da anni: giustizia, Pubblica amministrazione, concorrenza e fisco. Ricordando che per quest’ultimo caso lo sgravio deve essere almeno di 40 miliardi perché possa dare davvero una spinta all’economia.

Risorse che non possono essere reperite aumentando il deficit.

Esattamente. Occorre, come sostengo da anni, una revisione e riqualificazione delle voci del bilancio pubblico dal lato della spesa e dal lato delle entrate, che può fruttare circa 240 miliardi di euro. Sembra un’enormità, ma se ci pensiamo bene negli ultimi due anni nel nostro Paese sono state fatte manovre per 210 miliardi.

A che cosa si riferisce?

Ai 100 miliardi di sostegni a famiglie e imprese per il caro bollette che sono finiti a finanziare gli extraprofitti delle aziende energetiche e ai 110 miliardi che finora è costato il Superbonus al 110%.

(Lorenzo Torrisi)

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