“Chiariamo che non è il commissario a dover rifornire le farmacie e i loro distributori. Il commissario si è impegnato a integrare, ove sia possibile, le forniture che queste categorie si riescono a procurare attraverso le proprie reti di approvvigionamento, ma integrare non significa sostituire”. Sono le parole che Domenico Arcuri, Commissario all’emergenza da coronavirus, ha pronunciato l’altro giorno, all’indomani dell’allarme lanciato dai farmacisti sull’impossibilità a reperire stock di mascherine sufficienti a soddisfare la domanda. Ieri, intanto, è stato firmato un nuovo accordo con le associazioni dei distributori, che si impegnano ad approvvigionare le farmacie con una fornitura di 9 milioni di mascherine nel mese di maggio e di 20 milioni di mascherine la settimana a partire da giugno. La penuria di mascherine, purtroppo, ha accompagnato, fin dall’inizio, la fase di emergenza e di lockdown, ma con l’avvio, oggi prudente ma – si spera – sempre più allargato della fase 2, la richiesta di questi dispositivi è destinata a moltiplicarsi. La domanda è dunque inevitabile: è mai possibile che, dopo 80 giorni di emergenza coronavirus, manchino ancora le mascherine? “Purtroppo è un dato di fatto, che tocca tantissime categorie – risponde Stefano De Lillo, medico di famiglia e fino a febbraio 2019 presidente facente funzione di Agenas (Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali) -. Anche noi medici di famiglia ne abbiamo avute una quantità irrisoria dal Servizio sanitario nazionale. Questa carenza colpirà tanti altri soggetti, ora che con la fase 2 i cittadini potranno muoversi o riprendere a lavorare solo ed esclusivamente se muniti di questa protezione per sé e per gli altri”.
In effetti le mascherine sono il fondamento, l’architrave della fase 2: senza, non rischia di crollare tutto come un castello di sabbia?
Le mascherine sono indubbiamente uno dei cardini fondamentali per gestire in sicurezza l’uscita dal lockdown. E non a caso si era dato mandato a una figura ad hoc, quella del commissario straordinario, affinché nel nostro paese non mancassero questi dispositivi indispensabili e di difficile o complicato reperimento, dato il momento pandemico internazionale.
Ieri è stato firmato un nuovo accordo con le associazioni dei distributori. Il commissario Arcuri, però, dice che non è suo compito distribuirle a tutti. E’ così? Ma non è sua responsabilità assicurare che la filiera dell’approvvigionamento sia ben oliata in tutti i suoi anelli?
Sì, è assolutamente compito suo far sì che lo Stato italiano ne abbia una quantità sufficiente e che poi vengano distribuite in varie modalità. La piena responsabilità è in capo al commissario straordinario. Tra l’altro, proprio Arcuri aveva esordito nel suo ruolo dando un’informazione che poi si è rivelata totalmente infondata: il fatto, cioè, che lo Stato ne avrebbe prodotte autonomamente, in proprio, a sufficienza, ma in questo momento non c’è alcun ente pubblico o azienda pubblica impegnata in tal senso. Per esempio, a Firenze c’è l’Istituto farmaceutico militare che ha iniziato a produrre alcuni farmaci proprio per affrontare questa fase di emergenza.
E’ stato un errore fissare il prezzo a 50 centesimi più Iva?
Questo annuncio, tra l’altro non concordato e in anticipo sull’evento, è stato certamente un errore clamoroso, perché di fatto ha bloccato qualsiasi iniziativa imprenditoriale e commerciale di reperimento di queste mascherine in un momento di emergenza mondiale, in cui c’è stata una corsa all’acquisto: aver fissato a posteriori un prezzo di fantasia, slegato da ogni logica di mercato, ha determinato di fatto il blocco totale degli acquisti, considerati solo a perdere, azzerando in pratica la distribuzione e circolazione delle mascherine. Bastava fissare un prezzo con pochi centesimi in più.
Con il prezzo calmierato, secondo Arcuri, si combatte la speculazione. E’ così?
Palesemente non è così, perché l’effetto indotto da questo intervento dirigistico è la scomparsa totale delle mascherine, come era facilmente prevedibile. Certo che se lo Stato avesse provveduto a produrle in proprio, avrebbe potuto poi fissare un prezzo in grado di calmierare il mercato.
Il commissario ha accusato le Regioni di tenere fermi nei loro magazzini 55 milioni di mascherine. Che cosa ne pensa?
Se le Regioni hanno questi stock di mascherine, immagino che riguardino le forniture di loro competenza diretta, principalmente per l’ambito sanitario: ospedali, Rsa e ambulatori. Non è la Regione che deve mettersi in prima persona a rifornire farmacie, tabaccai, grande distribuzione o singoli cittadini. Non mi sembra che su questo si possano accusare le Regioni. La mia impressione è che il commissario Arcuri se la prenda un po’ con tutti.
Resta il fatto che, in base a diverse stime, con la fase 2 della graduale riapertura serviranno ogni giorno in Italia tra i 10 e i 40 milioni di mascherine. Lo stock di 55 milioni non è un po’ troppo esiguo?
Sicuramente.
Molti importatori sostengono che è difficile trovare fornitori esteri disponibili a inviare le mascherine a quel prezzo, anzi preferiscono venderle ad altri paesi.
E’ facile intuire che in una logica di mercato, soprattutto in un momento di emergenza diffusa in cui è importante anticipare il pagamento di una fornitura, aver imposto un prezzo fuori mercato ha determinato il fatto che altri produttori e fornitori abbiano trovato sbocchi e mercati diversi.
Che fine hanno fatto le forniture che arrivavano dalla Cina con tanto di passerella del ministro Di Maio?
Da tempo non abbiamo direttamente notizie su questo fronte.
Molte imprese si sono riconvertite alla produzione di mascherine, ma si contano sulle dita di una mano quelle che hanno superato la certificazione e hanno la possibilità di produrle. Perché in poche superano il test? Questione anche di trafile burocratiche lunghe e complesse?
Non ho contezza di ogni singolo passaggio, ma probabilmente i meccanismi sono molto particolari. Le autorizzazioni alla produzione di presidi, attrezzature e materiali sanitari necessitano giustamente di step molto articolati. Ma data l’emergenza e considerato che l’utilizzo di queste mascherine non è per ambiti professionali bensì per le attività quotidiane dei cittadini a loro e altrui tutela, si potrebbe prevedere una corsia accelerata: un conto è indossare un certo tipo di mascherina in un reparto di terapia intensiva o di malattie infettive, un altro è portare una mascherina quando si esce per camminare o fare la spesa.
Che cosa bisognerebbe fare per superare questa emergenza mascherine?
Gli accordi andrebbero siglati alla fonte e su vasta scala, andando a individuare i fornitori e i distributori con un’offerta di prezzo equa, che poi non è così stratosfericamente maggiore, anzi bastano pochi centesimi in più. Ciò consentirebbe di sbloccare lo stallo creato da un dirigismo e un centralismo eccessivi.
(Marco Biscella)