Dai dati Istat diffusi ieri emerge un rallentamento della produzione industriale pari allo 0,2% tra luglio e agosto. Una variazione non certo preoccupante. Ad allarmare maggiormente il mondo produttivo è semmai l’andamento dei prezzi delle materie prime e la loro reperibilità. Vengono già segnalati casi di aziende costrette a rallentare o fermare del tutto la loro attività nonostante la ripresa degli ordinativi. Come ci spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, “il problema è certamente preoccupante, specialmente quello relativo al prezzo del gas. L’Europa sconta la sua fortissima dipendenza dalle forniture russe, che sono diminuite negli ultimi tempi. Gli Stati Uniti hanno lo shale gas, noi no, e quindi scontiamo questo svantaggio competitivo che rischia di divenire strutturale. È chiaro che tutto questo ha un peso enorme sui settori energivori, come le ceramica e la carta, dove l’input principale è l’energia elettrica, prodotta ancora con ciclo combinato, o dove si usa direttamente il gas”.
Non c’è però solo il problema delle materie prime energetiche; rincari molto elevati si stanno registrando, per esempio, anche nell’agroalimentare.
Sì, il problema è serio ed è sia di breve che di medio-lungo termine. Si intravvedono già le strozzature potenziali che verranno innescate dalla transizione ecologica: in Europa si domanderanno molte materie prime che sono in mano alla Cina, che oltretutto vuole annettere Taiwan dove c’è un’industria sostanzialmente monopolista a livello mondiale per i microchip più sofisticati. Le carenze di materie prime, anche in prospettiva, sono molto preoccupanti. E nel caso di quelle alimentari c’è anche un effetto importante sui consumatori.
I consumatori non hanno forse ancora avvertito gli effetti di tutta questa situazione, ma sul lato della produzione sta portando anche alcune aziende a rallentare o fermare la propria attività.
Chiaramente l’industria cartaria, come quella alimentare o di prima trasformazione di materie prime, ne risentono molto. Quella manifatturiera meno, perché pur essendo il nostro un Paese trasformatore, il suo sistema industriale è riuscito nel tempo a ridurre la quantità necessaria di materie prime per unità di prodotto. C’è quindi chi sta soffrendo, producendo in molti casi in perdita pur in presenza di una domanda molto forte. Sappiamo anche che il settore dell’auto ha dei problemi di rallentamento produttivo dovuti alla mancanza di forniture. Abbiamo un innegabile problema, ma anche la possibilità di chiudere il 2021 senza subire forti contraccolpi.
Grazie a cosa?
Le industrie che lavorano a catena con le grandi subforniture internazionali sono limitate, ci sono diversi settori molto flessibili e capaci quindi di affrontare questa situazione di stress. Nonostante i timori di Confindustria, il manifatturiero ha rallentato, ma sta tenendo e sono molto confidente sul fatto che il dato del terzo trimestre rappresenterà una sorpresa positiva che ci porterà a chiudere l’anno, visto che l’ultimo quarto conta poco nel computo finale di crescita del Pil, con un +6%, mentre la Germania è già tanto se riuscirà ad arrivare al +2,5%. Credo sarà molto importante chiudere il 2021 meglio degli altri Paesi.
Perché?
Anzitutto si vedrà un Paese che, rispetto agli altri, avrà anche un deficit e un debito meno pesanti di quel che si pensava pochi mesi fa. Entreremo quindi nel 2022 con più energia degli altri. Forse non abbiamo la percezione del momento drammatico che sta vivendo la Germania, dove la produzione industriale ad agosto è scesa del 4%. Il 2022 vedrà tutti i Paesi sulla stessa linea di partenza e il problema dell’inflazione e delle materie prime essendo generalizzato non sarà solamente nostro. Ci dovrà quindi essere una sorta di aggiustamento globale, anche perché se la produzione rallenterà ovunque, è chiaro che l’offerta di materie prime tornerà a essere più vicina alla domanda e non inferiore come ora. Salvo che nel caso del gas, dove, come detto, il problema per l’Europa è di carattere più strutturale. C’è poi da chiedersi quanto convenga alla Cina strozzare la domanda di materie prime.
Il 2022 sarà più tranquillo o invece con più insidie su questo fronte?
Il vero rischio è che ci possa essere un 2022 con cariche inflattive significative che potrebbero in qualche modo modificare in maniera importante le politiche delle Banche centrali. Inoltre, non bisogna sottovalutare il pericolo che si inneschi una spirale prezzi-salari che non farebbe altro che aggravare la situazione. Dunque lo scenario non è tranquillo e ottimale, ma siamo attrezzati meglio di altri Paesi europei per uscire da questa situazione o quanto meno per transitare verso una fase che speriamo possa essere più tranquilla nella seconda parte del 2022.
(Lorenzo Torrisi)
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