Raggiungiamo telefonicamente Fausto Biloslavo, inviato di guerra per Il Giornale e altre testate, proprio mentre è in viaggio verso Erbil, città dalla quale Papa Francesco fra qualche giorno comincerà la sua storica visita in Iraq, all’indomani del primo atto di guerra dell’amministrazione Biden, che ha bombardato una postazione di milizie filo-iraniane in Siria. Per il Pentagono è un atto di ritorsione contro gli attacchi di milizie sempre filo-iraniane proprio a Erbil: “Sicuramente Biden, che è cattolico, ha voluto evitare di infiammare l’Iraq in vista della visita del Papa, per non fargli trovare una situazione di guerra. È certo però che con questa azione gli americani rischiano di scoperchiare ancora una volta il vulcano che cova sotto le ceneri in Iraq”.
Una azione, ci ha detto ancora, “che si può anche spiegare con quello che è stato sempre l’atteggiamento americano in quel paese: la condanna nei confronti di Assad e il desiderio di spodestarlo, da qui l’obiettivo delle milizie iraniane che invece lo sostengono”.
Ufficialmente si tratta di una ritorsione contro i missili lanciati da milizie filo-iraniane alla base americana di Erbil. Ma perché un attacco in Siria?
Non solo a Erbil, recentemente ci sono stati lanci di missili anche contro l’ambasciata americana a Baghdad. Diciamo che Biden probabilmente avrebbe fatto meglio a rimandare del tutto la rappresaglia, ma l’ha autorizzata in Siria anche perché in Iraq, proprio a Erbil, arriva il Papa e accoglierlo con bombardamenti in atto non sarebbe stata la cosa migliore. Ricordiamoci che Biden è cattolico.
Colpire in Siria è anche un messaggio per Assad, che gli americani da sempre osteggiano?
Sicuramente. Le milizie sciite sono alleate insieme ai russi nel sostegno ad Assad, è stato grazie all’arrivo dei russi se ce l’hanno fatta. Bombardare in Siria una milizia sciita rischia comunque di risvegliare il vulcano sempre attivo nell’Iraq, dove gli sciiti sono la maggioranza, ma soprattutto dove le milizie più estremiste vogliono il ritiro totale delle truppe americane. Si rischia un’impennata della violenza soprattutto in vista dell’arrivo del Papa, che non ha certo bisogno di trovare una situazione del genere.
Da qualche tempo, proprio in vista di un ritiro delle truppe americane dall’Iraq, si parla di affidare il comando delle forze Nato all’Italia: è una ipotesi veritiera? Saremo in grado di condurla?
È una ipotesi concreta, anche se adesso è tutto congelato a causa del Covid. Ad esempio gli addestramenti delle truppe irachene non si tengono più. Ma lasciando da parte la pandemia, è un’ipotesi valutata caldamente, perché come sempre in ogni missione gli italiani sono ben visti da tutti: da sciiti, curdi e americani. Non solo: siamo anche il contingente Nato con il numero più alto di truppe in Iraq.
L’attentato di Nassiriya è sempre una ferita aperta per i nostri carabinieri. Rischiamo di tornare a essere di nuovo nel mirino?
A Erbil, dove hanno lanciato i razzi, ci siamo anche noi, non solo gli americani, per cui siamo sempre a rischio. Gli Usa sanno fare la guerra, noi sappiamo mantenere meglio di altri la situazione dopo la guerra. La domanda da farsi è se per i nostri interessi nazionali vale ancora la pena questo genere di missioni in cui c’è sì un ritorno di immagine, ma sono costose e pericolose. Bisogna chiedersi se vale la pena restare e prendere in mano la situazione, bisogna capire dove andiamo a infilarci, cioè in un bel ginepraio. Ma questo lo sappiamo benissimo.
La notizia dell’attacco americano è stata segnalata con grandi titoli dai media del tipo “il primo atto di guerra di Biden”, come a dire che i democratici fanno la guerra, mentre Trump non la faceva, dimenticandosi però che furono due presidenti repubblicani, Bush padre e figlio, a scatenare l’invasione dell’Iraq. I democratici sono davvero “guerrafondai”?
Storicamente, nonostante a parole dicano di no, è dai tempi del Vietnam che i democratici hanno sempre fatto guerre anche se è vero che Bush, invadendo l’Iraq, ha creato questa situazione disastrosa per tutto il Medio Oriente. Le armi di distruzione di massa non ci sono mai state, anche se bastava Saddam Hussein come arma di distruzione. Gli americani sicuramente dovranno andarsene o limitare di molto la loro presenza in Iraq, ma avranno bisogno di un teatro sicuro e di un alleato fedele e potremmo essere sicuramente noi a fare ciò. Ma bisogna tenere ben presenti i grandi rischi che andremo a correre.
(Paolo Vites)