Ormai l’obiettivo non è più quello di distruggere Hamas, ma di occupare altri territori, che, messi insieme, potrebbero realizzare nei fatti il sogno della Grande Israele. Il governo Netanyahu ha deciso di prendersi un’ulteriore porzione di Siria per creare una delle zone cuscinetto tanto care alla strategia israeliana degli ultimi tempi. Ma, se sommiamo questi territori al piano per occupare almeno il Nord di Gaza e quello, del tutto simile, per la Cisgiordania, alla fine, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme e inviato del TG1 Esteri, vediamo assemblare i tasselli di un mosaico che corrisponde al grande sogno nazionalista di un Israele che va dal Giordano al mare e dal Golan al confine con l’Egitto.
Intanto Siria e Libano hanno confinato quasi in secondo piano la guerra a Gaza, ma, se le speranze del popolo palestinese di avere uno Stato e di un futuro di pace sembrano sempre più lontane, l’Occidente, che di fatto sta assecondando Israele, dovrà fare i conti con un calo di credibilità. Il Sud del mondo sarà sempre più orientato a guardare ad altri interlocutori.
La crisi siriana ha dato a Israele l’occasione di prendersi una porzione di territorio oltre confine. Sta prendendo forma il sogno della Grande Israele?
Nell’immaginario collettivo israeliano, la Grande Israele ha compiuto un passo avanti. Occupare i 400 chilometri quadrati della zona di intersezione tra i confini provvisori di Israele e Siria permette ora di guardare all’estrema periferia di Damasco. La Grande Israele, che fa parte delle aspirazioni di partiti sionisti e coloni, comprende anche Cisgiordania e Gaza e va dal Giordano al Mediterraneo e dalle alture del Golan al confine con l’Egitto. Ma ciò che è accaduto con la Siria va oltre l’aspetto religioso: è un gravissimo vulnus degli accordi internazionali. L’intesa stipulata fra Israele e Siria, controllata dall’ONU, è stata travolta e i 1.200 soldati delle Nazioni Unite presenti nella zona ora occupata dall’esercito di Netanyahu sono stati totalmente sopravanzati, violando l’intesa precedente.
Un atto che pone le basi di un potenziale conflitto con la Siria?
Certo. Mette in discussione tutta una serie di situazioni di cui Israele aveva beneficiato. Netanyahu ha detto che il Golan rimarrà eternamente in possesso israeliano, ma l’annessione di quei territori è stata avallata dalla Knesset e da Trump durante il primo mandato. Nessun altro ha accettato l’appropriazione di un territorio storicamente siriano. E poi, da lì partono gli affluenti che portano l’acqua delle vallate circostanti.
Si pone anche un problema di approvvigionamento idrico?
Si rimette in discussione un accordo sul tema delicatissimo dell’approvvigionamento idrico fra Israele e Giordania. Quest’ultima, in forza dell’accordo di pace del 1994, ha avuto la possibilità di usufruire dell’acqua, negli ultimi trent’anni, in una quantità limitata rispetto a Israele. Quest’anno le discussioni sul rinnovo degli accordi erano giunte a un punto morto. Ora potrebbero essere ancora più difficili proprio dopo l’occupazione di questa piccola parte del territorio siriano.
Che ruolo ha avuto Tel Aviv nella caduta di Assad e che futuro si apre nei rapporti fra Siria e Israele?
Una risposta l’ha data il leader iraniano Khamenei, secondo il quale USA e Israele sono fra i fautori di questo cambiamento. Entrambi non hanno rivendicato nessuna diretta attività in merito al colpo di Stato, ma è chiaro che erano avvisati che stava per accadere qualcosa e sicuramente gli americani, attraverso il rapporto decennale con le milizie curde, hanno agito per favorire la caduta di Assad in collegamento con Hayat Tahrir al Sham (HTS). Il primo ministro siriano di transizione, al Bashir, ha detto che nessuno deve avere timore del governo che si sta formando, ma nel contempo c’è un elemento militare e psicologico che va considerato.
Quale?
Israele ha iniziato un bombardamento con un’estensione come mai la Siria aveva subìto. Tutti gli apparati del vecchio esercito siriano sono stati colpiti: le caserme, le basi militari, la marina. Un fatto giustificato dicendo che si vuole impedire a potenziali nemici di impossessarsi di queste armi. Intanto, però, l’opinione pubblica siriana, che non vuole aprire una guerra con Israele viste soprattutto le devastanti condizioni in cui si trova il Paese, non potrà sopportare a lungo una situazione di sovranità limitata in cui i nuovi protagonisti del potere siano completamente silenziosi.
Israele ha attaccato Hamas come gruppo terrorista per distruggerlo, ma ha lasciato che un altro gruppo terroristico, HTS, facesse cadere Assad. Una logica tutta mediorientale?
È una logica che funziona così, tanto che il governo inglese ha deciso di togliere HTS dall’elenco dei gruppi terroristici. Ci sono però precedenti clamorosi: gli USA in Afghanistan hanno sostenuto i mujahidin contro l’URSS e poi si sono ritrovati a combatterli.
È questa logica che ha portato l’ex comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane Mohsen Rezai a dire che gli USA addestrano l’ISIS per attaccare l’Iraq?
Mi sembra una provocazione rivolta agli Stati Uniti. Gli iraniani ricordano che hanno aiutato gli americani a combattere l’ISIS in Iraq e nelle zone desertiche del Nord della Siria. Se adesso Washington pensa di avviare con lo Stato islamico una campagna contro l’Iran e le sue milizie irachene, commette un errore militare e si espone a una critica proprio in virtù di quello che è successo in passato.
L’azione di Hamas del 7 ottobre doveva riportare al centro del dibattito internazionale la questione palestinese. In realtà ora parliamo di Libano e Siria dimenticando che i bombardamenti a Gaza continuano. Si torna a parlare di un cessate il fuoco per la Striscia: stavolta è davvero possibile?
Quello che accade a Gaza si lega al discorso sulla Grande Israele più che alla lotta ad Hamas, che ora ha una capacità di attacco estremamente limitata. I bombardamenti servono ad allontanare i palestinesi dalle loro case già distrutte e a chiudere ospedali e centri di accoglienza. Due elementi che, insieme all’affamamento della popolazione, fanno dire che il progetto di pulizia etnica e genocidio sta avanzando. Si sta preparando dal primo gennaio la chiusura di tutte le attività scolastiche, sanitarie e di assistenza dell’ONU in Cisgiordania, dove operava l’UNRWA. Significa che si spinge per l’espulsione della popolazione. Un problema su cui la comunità internazionale, gli USA, la UE, dovranno esprimersi. Se accettano tutto questo in silenzio dovranno renderne conto.
Non prendere posizione a cosa li espone?
Se si compie, come si sta compiendo, l’annientamento dei palestinesi, sono i valori fondanti delle democrazie occidentali che mostrano la loro falsità. Una parte consistente del mondo guarderà con ancora più attenzione e simpatia a regimi come Cina, Russia e persino India. Se le democrazie non hanno la capacità di affermare i loro valori e quindi di difendere i diritti, lo sguardo degli altri Paesi andrà oltre di loro.
(Paolo Rossetti)
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