Sul Financial Times del 22 novembre 2019 in seconda pagina un articolo di quattro colonne ha un titolo che parla da solo e che dice sull’Europa molto di più di quanto spesso non si dica nel dibattito pubblico (che non esiste quasi più) e in quello politico, ossia della e tra la classe politica (che meglio sarebbe non chiamar più con questo nome che rimanda ai classici della scienza della politica e alle élite che oggi sono scomparse). Ma ecco il titolo: “Africa insurgees. France urges EU allies to join fight against Isis in the Sahel”.
Mentre leggo l’articolo penso al fatto che il 17 e il 18 ottobre il Consiglio europeo si riunì a Bruxelles per discutere del quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Era un tema che si poneva prima della questione scaturita dalle povere macchine della politica odierna allorché è esploso il problema del cosiddetto Mes su cui Alessandro Mangia ha parlato da maestro su queste pagine. Ciò che si indica con l’acronimo Mes altro non è che un trattato internazionale, un trattato tra Stati che si presenta ai più come un veicolo finanziario, ma che del veicolo finanziario non ha né la forma, né la sostanza. Il Mes è in realtà un istituto di diritto internazionale che è stato abilitato dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione europea a esercitare attività bancaria, dotandosi tuttavia – e qui sta l’anomalia perniciosa – di norme statutarie e di garanzia tipiche di un soggetto privato o – per dir meglio – “sovrano”. Non è un fondo d’investimento, ma può finanziare gli Stati oppure i sistemi bancari degli Stati e così facendo agisce tuttavia con le regole del diritto commerciale e del diritto bancario.
Questa è la prima grande anomalia che disvela il fatto che, non possedendo l’Unione Europea una Costituzione, è il diritto privato che regola il diritto tra gli Stati. Il Mes infatti, ripeto, è un trattato tra Stati e dovrebbe intervenire in caso di crisi bancarie o di crisi di insolvenza dei debiti pubblici degli Stati (il debito sovrano), così da supplire a ciò che manca alla Banca centrale europea e che fa sì ch’essa non possa agire come prestatore in ultima istanza, così come agiscono tutte le banche centrali del mondo. In fondo il periodo Draghi alla presidenza di quest’ultima altro non è stato altro che la creazione di speciali programmi di finanziamento del debito e del credito bancario (così da separare con una muraglia cinese il credito bancario dal debito sovrano, salvando, finché è stato e sarà possibile, le banche europee dall’insolvenza) con il famoso programma Omt (Outright monetary transactions). Più comunemente denominato molto spesso con altri acronimi che tutti in sostanza sottintendevano la medesima funzione: sostenere tanto le banche quanto gli Stati con acquisti massicci di titoli di debito pubblico, che le banche da sole tutte non potevano acquistare senza porre in discussione la loro stessa esistenza.
Il problema è che le nuove regole con cui recentemente si è modificato il ruolo del Mes dettano che si può ricapitalizzare Stati e istituti bancari in crisi solo seguendo determinate condizioni: quelle proposte due anni or sono dal ministro tedesco Schäuble, bloccate dalle resistenze del Parlamento europeo e dall’allora europarlamentare Roberto Gualtieri e che oggi, invece, dopo un accordo franco-tedesco dell’anno scorso, dovrebbero iniziare ad agire ponendo di fatto le politiche di bilancio degli Stati sotto il controllo di un Fondo che è in realtà un trattato (così come la non partorita Costituzione europea, che a suo tempo da Costituzione in potenza si trasformò in trattato tra Stati in atto), così come ora è il regime giurisprudenziale che detta le direttive europee per mano della Corte di giustizia europea. Essa non a caso si scontra ogni giorno con le Corti costituzionali dei singoli Stati.
La conseguenza è che i funzionari del Mes sono sottratti a ogni giurisdizione e godono di una sorta di immunità che è assimilabile a quella diplomatica: non li si può perquisire e sottoporli a ispezioni e sono non perseguibili per qualsivoglia atto compiuto nell’esercizio delle loro funzioni.
D’altro canto essi sono tenuti al segreto professionale come se fossero dei consiglieri di amministrazione e questo anche se essi fossero, così come sono, ministri della Repubblica. L’articolo 34 è impressionante: si è tenuti al “segreto professionale” tanto durante quanto dopo l’esercizio delle funzioni di componente dell’esecutivo del Mes, anche se come Ministri si dovrebbe sempre rispondere dinanzi ai Parlamenti nazionali, così come dinanzi al Parlamento europeo.
Il problema è veramente enorme perché duplice. Lo statuto del Mes disvela anche ai ciechi la natura anfibia dell’Unione economica europea: né federazione, né confederazione e regolata più dal diritto commerciale e privato che dal diritto pubblico. Il diritto internazionale è l’architrave su cui poggia questa anfibia creatura che chiamiamo Europa unita, ma non ne risolve le intime contraddizioni di ermafrodito. Un ermafrodito potentissimo come quello descrittoci da Publio Ovido Nasone nelle sue Metamorfosi. Ricordate che la ninfa Salmace chiese agli dèi di potersi unire a Ermafrodito per sempre e di non esserne mai separata. Il suo desiderio venne accolto e i due divennero un essere solo. Ma Ermafrodito ottenne in seguito dagli dèi che chiunque si fosse immerso in quella stessa fonte avrebbe subito perduto la virilità. Così è successo alla democrazia liberale in Europa proprio nel punto delicatissimo della sfera decisionale più intima di uno Stato democratico e liberale: le transazioni monetarie, che sono, con il monopolio dell’imposta, l’essenza stessa della democrazia statualizzata.
Infatti, secondo le regole testé attuate, sarà il Mes a valutare con meccanismi automatici quale sarà l’eventuale modo di ristrutturare i debiti pubblici degli Stati in caso di non solvibilità, così come potrebbe determinarsi con la preclusione dell’accesso ai mercati. Le politiche economiche sarebbero decise in tutta segretezza e dovranno essere applicate secondo modi e forme e tempi che decideranno i “diplomatici” che hanno sostituito i Ministri e i Parlamentari. Ma come la mitologia greca, affascinante e terribile insieme, che questo accada, come accada e perché accade rimane ignoto ai più.
Ed ecco il richiamo tanto alla Francia che combatte l’Isis, quanto il riferimento al bilancio pluriennale europeo. Entrambi questi strumenti di regolazione dall’alto delle economie europee attraverso non sistemi giuridici ma giurisprudenziali, rendono impossibile una politica della spesa che soddisfi i bisogni di potenza che le singole nazioni europee esprimono allorché il disegno imperiale di ciascuna di esse si rende manifesto. Il caso dell’impero africano francese è esemplare: la Francia non può gestirlo da sola perché non ne ha le risorse e quindi auspica l’aiuto europeo svolgendo indubitabilmente un ruolo di difesa dei valori non solo francesi ma occidentali e quindi europei lottando contro il fondamentalismo islamico. Ma questa chiamata a raccolta e alle armi per una giusta causa è impossibile con le regole dell’ordoliberismo di cui tanto il Mes quanto il piano pluriennale o bilancio pluriennale europeo sono una manifestazione.
Il quadro finanziario pluriennale, infatti, è un bilancio a lungo termine, che si differenzia dal bilancio annuale. E gli Stati membri dovranno giungere a un accordo entro dicembre 2019. Il regolamento del piano stabilisce i livelli di spesa comunitari e fissa lo stanziamento delle risorse comunitarie, quindi non dei singoli Stati ma dell’Unione, per finanziare programmi appositi volta a volta definiti. La Commissione propone e il Consiglio si deve impegnare a trovare le politiche di finanziamento concordate, tra cui spiccano quelle che dovrebbero essere destinate a trovare forme di finanziamento per i settori del bilancio medesimo: come le politiche giovanili e la difesa delle frontiere esterne con un simultaneo abbassamento delle spese a sostegno delle politiche agricole e (si noti bene) un “meccanismo per la protezione del bilancio da eventuali shock sui mercati finanziari”.
Di qui il contatto strettissimo con il Mes che deve essere vieppiù chiarito, tanto più che la procedura prevista è di quelle più rivelatrici del volto illiberale del costrutto giuridico dell’Unione. Si pensi che la procedura per l’adozione del bilancio pluriennale inizia per impulso della Commissione, preparando il documento su cui i membri del Consiglio si confronteranno per giungere all’approvazione del bilancio pluriennale, che avviene solo con voto unanime. Il bilancio approvato dal Consiglio si presenta poi al Parlamento europeo, che può sì discuterlo, ma senza possibilità di proporre emendamenti: prendere o lasciare, privando di decisioni compulsive il Parlamento stesso. Eppure, il Parlamento rappresenta direttamente i cittadini europei! Al termine dei lavori del Consiglio europeo gli Stati membri hanno chiesto alla Presidenza finlandese di presentare un documento per il Consiglio previsto per il mese dicembre 2019.
È certo, quindi, uno slittamento decisionale, tanto più dopo le dichiarazioni del commissario Oettinger sulla possibilità di trovare un accordo tra gli Stati. La ragione di ciò? La frattura tra alcuni Stati membri che sono desiderosi di limitare le risorse dell’Ue all’1% del Pil – tra questi Paesi Bassi, Irlanda, Danimarca e Svezia – e altri, tra cui la Francia e l’Italia, che richiedono una maggiore dotazione di spesa.
Mi chiedo a questo punto di cosa si stia discutendo oggi in Italia. Di tutto ciò non vi è nulla nel dibattito odierno, tutto rivolto allo studio delle questioni che altro non sono che uno schermo fumogeno e atto a imputare di illiberalismo attori che illiberali non sono, ma solo tutori, spesso maldestri ma benevolenti, dell’interesse prevalente, dell’interesse nazionale, di questa povera Italia.
Hegel sosteneva che la filosofia è simile alla “nottola di Minerva” l’uccello sacro alla Dea della Sapienza. Essa inizia il suo volo al crepuscolo, quando il sole è già tramontato. La filosofia per Hegel sorge quando una civiltà ha ormai compiuto il suo processo di formazione e si avvia al declino. Il declino europeo e italico è preclaro. Ma ogni tragedia, nell’Europa e nell’Italia di oggi, si trasforma in farsa.