Ciò che più ha colpito alcuni osservatori del Consiglio dei ministri dell’Interno Ue dell’altra sera sulla crisi migratoria non è stato tanto il merito dello scontro, ma il comportamento in sé della Germania. Raramente – forse mai – si è visto il maggior Paese (fondatore) dell’Unione mantenere a Bruxelles un atteggiamento più irresponsabile che ipocrita, più confuso che arrogante. In totale contraddizione con una solida tradizione europeista, palesemente condizionata, invece, da pure preoccupazioni elettorali interne della pericolante maggioranza di governo a Berlino.
Alla Cancelleria e a Palazzo Charlemagne è ancora fresco il ricordo di Angela Merkel: quasi spietata con la Grecia nel 2015 (però alla fine tenuta dentro l’eurozona) ma capace anche di aprire le porte dell’euro-Germania a un milione di profughi mediorientali. Pronta a mettere la sua firma in calce alle idee di Mario Draghi per trasformarle nel Recovery Plan post-Covid.
Certo, c’era Merkel in carica, a metà 2019, quando – alla vigilia dei rinnovi degli organigrammi Ue dopo un voto negativo per Ppe e Pse – al largo di Lampedusa una nave-soccorso di una Ong tedesca fu usata per un attacco militare contro i confini italiani, confini esterni della Ue. La nave era pilotata dalla figlia di un ex alto ufficiale della Kriegsmarine e l’esito finale dell’operazione fu l’espulsione dal Governo italiano della Lega (larga vincitrice delle euro-elezioni in Italia) e il ritorno del Pd, largamente perdente.
Quasi cinque anni dopo – alla vigilia di un nuovo voto per Strasburgo e con la Lega di nuovo al governo a Roma – Scholz (a lungo vice-Merkel) non ha trovato niente di meglio che ripescare quel format sospetto e imbarazzante, chiaramente inutile di fronte all’emergenza e invece irridente per l’Italia e il suo Governo: l’uso delle cosiddette “navi Ong” finanziate dalla Germania come taxi fra i barconi degli scafisti e le coste italiane. La tattica, comunque, di un filibustiere più disperato che furbo: non di un vero pirata come la “capitana Carola”.
L’Italia nel frattempo sarebbe tuttora obbligata a essere l’approdo europeo dei migranti dal Sud Globale in virtù degli accordi di Dublino. Firmati dieci lontanissimi anni fa (prima del Covid, prima della guerra ucraina) da un ministro degli Esteri come Emma Bonino, vicina alla Open Society Foundation di George Soros, mentre premier era Enrico Letta, premier per caso dopo una delle regolari sconfitte elettorali del suo partito. Al Quirinale era stato appena rieletto – in tandem – Giorgio Napolitano, appena scomparso: il fresco regista della defenestrazione di Silvio Berlusconi, premier democraticamente eletto ma sgradito nel 2011 alla Nato all’attacco in Libia, alla Commissione Ue franco-tedesca e alle agenzie di rating.
Scholz non è un capo di governo molto più solido e autorevole di quanto lo fosse Letta. Forse è il cancelliere di più basso profilo della storia della Germania post-nazista: nulla a che vedere con i predecessori socialdemocratici Willy Brandt o Helmut Schmidt. Forse è più vicino al suo mentore: l’ex cancelliere Gerhard Schröder, oggi al bando nel suo stesso Paese (il che dice già molto sulla Germania di Scholz) perché nel frattempo riciclatosi come lobbista di lusso presso l’oligarchia petrolifera della Russia putiniana.
Per queste e altre ragioni, alla vigilia delle elezioni tedesche di due anni fa pochi avrebbero scommesso un centesimo su Scholz cancelliere: più probabile, nel consenso di allora, una sua uscita di scena nel “crepuscolo di Angela”. Il suo stesso partito – a lungo sorpassato nei sondaggi dai verdi – inizialmente non voleva puntare su di lui, ma su una totale palingenesi all’opposizione. I verdetti sempre poco prevedibili delle urne premiarono invece a sorpresa l’Spd, anche se in chiave di prevalente negazione. Basta con “Mutti” Merkel (di suo pochissimo lucida nelle scelte di successione interna al vertice Cdu) e con le sue “grandi coalizioni” sempre meno grandi. No ai verdi della quarantenne Annalena Baerbock, alla fine poco affidabile per la guida della locomotiva-Germania. Certamente no alla destra xenofoba di AfD. Ecco la “non sconfitta” di Scholz, che però è stata anche una “non vittoria”, non diversa da quella del Pd nel 2013.
Di qui una coalizione inedita a Berlino: i liberali Fdp – centrodestra rigorista, vicino all’azienda-Germania – con i verdi della transizione verde tutta-e-subito (della “decrescita felice” in salsa tedesca). In mezzo uno sbiadito cancelliere socialdemocratico “vecchia maniera”: senza particolare talento e subito travolto da una crisi geopolitica che ha avuto come momento simbolico il bombardamento di Nordstream 2 (il gasdotto russo-tedesco sui cui Merkel aveva immaginato di costruire un “secolo euro-tedesco”).
Il resto è cronaca: quella di una Germania atterrata dalla stagflazione; continuamente sotto pressione nelle relazioni internazionali sconvolte dalla guerra; frustrata nel tentativo di tenere aperte autonome relazioni con la Cina; divisa in casa sulla transizione energetica. La Germania del surreale “conclave d maggioranza di metà mandato” – in un castello poco fuori Berlino – che ha visto il cancelliere ritratto letteralmente come un “addetto alle pompe funebri” da testata internazionale progressista come Politico.eu.
In questo clima AfD è risalita nei sondaggi e i tre partiti di maggioranza litigano su tutto, fors’anche sentendo odore di elezioni anticipate: magari dopo il voto europeo di giugno, se fosse particolarmente negativo per la compagine rossoverde in Germania (mentre la cristiano-democratica tedesca Ursula von der Leyen potrebbe essere confermata alla Commissione Ue). Ed in questa prospettiva Scholz ha deciso di rialzare in tutta fretta muri contro i migranti: in chiave di puro contenimento difensivo verso le destre (non solo AfD ma anche i moderati Cdu-Csu). La spregiudicatezza non è stata però minore di quella che ha messo in mare la “capitana Carola”, facendo scattare una svolta di 180 gradi con l’ultimo alt arbitrario alla redistribuzione dall’Italia.
Quest’ultimo è stato in realtà corollario di un incidente più grave, anche per densità di memoria storica. Nei primi giorni di settembre si è materializzata sui media internazionali una “story” riguardante un presunto traffico illegale di visti in Polonia: utili all’ingresso in Germania cioè (attraverso una frontiera interna alla Ue) di profughi africani e asiatici ma anche ucraini. Un milione di rifugiati da Kiev sono stati via via ospitati da Varsavia dall’invasione russa. L’obiettivo dell’operazione mediatica era e resta chiaramente il governo conservatore polacco di Mateusz Morawiecki a guida Pis, alla vigilia delle elezioni di metà ottobre (lo sfidante progressista è l’ex eurocrate Donald Tusk).
L’offensiva ha però minacciato Varsavia alle spalle in un insidioso passaggio geopolitico. La Polonia – vera retrovia Nato ai confini russi-bielorussi e hub di ricovero degli ucraini in fuga – ha sbattuto i pugni sul tavolo sul grano ucraino liberamente commercializzabile nella Ue. Una scossa intollerabile per l’elettorato agrario del Pis alla vigilia del voto. Tanto che gli Usa hanno dovuto precipitosamente tamponare la crisi erogando due miliardi di dollari pronta cassa in nuovi “aiuti militari” alla Polonia.
Scholz, però, non si è fermato neppure un attimo: e – cavalcando il (presunto) “scandalo dei visti” – ha annunciato controlli restrittivi alle frontiere orientali (le stesse varcate dalla Wehrmacht nel 1939, denunciando un falso attacco polacco). Quindi alt tendenziale anche ai profughi ucraini: restino pure a disturbare il governo e le elezioni in Polonia. Così come i barconi dall’Africa rimangano a zavorrare – sotto elezioni europee – il Governo della Meloni, guarda caso alleata dei conservatori polacchi, con Ecr dato in forte ascesa al voto di giugno. A spese principali dei socialdemocratici. E corteggiato dal Ppe a supporto di una Commissione “Ursula 2” a Bruxelles.
PS: “Non si fa solidarietà coi confini degli altri”. Ieri a Malta – a fianco di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen – Giorgia Meloni ha giocato una spericolata carta comunicativa: una sorta di parodia politicamente corretta di una massima di filosofia pratica contemporanea di gran successo. La frase è divenuta pubblica attraverso le intercettazioni mediatico-giudiziarie “selvagge” inaugurate nell’estate 2005 per contrastare le scalate a grandi banche e giornali da parte di “outsider” come Ricucci. Quei tentativi non riuscirono, anche per l’opposizione violenta e affannosa di Europa e mercati. Quasi vent’anni dopo la Meloni ce l’ha fatta a scalare Palazzo Chigi. E contro quelli come Scholz “quando ce vo’ ce vo’”, dicono nelle borgate romane della premier.
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