All’inizio era un no: delle persone a bordo devono farsi carico gli Stati di cui battono bandiera le navi Ong che le hanno imbarcate. Poi ieri c’è stata un’apertura: “Le persone che hanno i requisiti possono sbarcare, ci facciamo carico di chi presenta problemi di ordine assistenziale e umanitario senza derogare al fatto che gli obblighi di presa in carico competono allo Stato di bandiera” ha detto il ministro dell’Interno Piantedosi.
E gli altri? “Devono tornare fuori dalle acque territoriali” ha ribadito il ministro. La condizione per accogliere i vulnerabili posta dal governo è che i comandanti facciano in mare le operazioni di identificazione degli stranieri. Ieri sera solo la Humanity 1, con 179 persone imbarcate, è stata fatta attraccare a Catania e gli ispettori sono saliti a bordo, mentre gli altri tre navigli, Ocean Vikings (234 persone), Geo Barents (572) e Rise Above (90) attendono disposizioni restando fuori dai porti.
La vera partita che si gioca in queste ore non è umanitaria, come potrebbe sembrare a prima vista, ma squisitamente politica. Non essendoci una politica comune europea sulle frontiere esterne, “ai maggiori Paesi europei fa comodo che l’Italia continui ad essere l’approdo di tutti i traffici illegali di esseri umani che ci sono nel Mediterraneo” spiega al Sussidiario Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, consigliere per le politiche di sicurezza di Salvini al Viminale nel 2018-19. Ma ci sarebbe un modo al tempo stesso più radicale e più semplice per rispondere all’offensiva “umanitaria”.
Non sembra di assistere a un film già visto?
Certo. È un film che dura da dieci anni. Salvo una breve parentesi.
Che partita si sta giocando?
Sempre la stessa: ai maggiori Paesi europei fa comodo che l’Italia continui ad essere l’approdo di tutti i traffici illegali di esseri umani che ci sono nel Mediterraneo. Negli ultimi tempi questa situazione si è aggravata, perché i governi Conte 2 e Draghi hanno spalancato i porti italiani a chiunque arrivasse con i barconi dei trafficanti o con le navi delle Ong.
Chi non fa come noi?
La Grecia. Da un paio d’anni respinge i clandestini verso le coste turche. Questo ha determinato un incremento delle partenze dalle coste del Mediterraneo orientale verso le coste ioniche italiane con natanti più grandi e robusti.
Un altro caso?
Nell’agosto 2020, senza tanto clamore, Malta ha fatto un accordo con Libia e Turchia. Non si conoscono i dettagli, ma dopo quella firma nessuno arriva più a Malta: le motovedette libiche riportano indietro tutti i barconi diretti all’isola.
L’Europa cerca un anello debole?
Diciamo che finora ha potuto godere di questo anello debole. Le uniche inversioni di tendenza sono state le due parentesi di Minniti (Pd) e Salvini al Viminale.
I numeri?
Prendiamo il periodo 1° gennaio-31 ottobre. Quest’anno siamo a oltre 87mila sbarchi, nel 2021 erano 54mila, nel 2020 30mila. Ma nell’ottobre 2019 – con la Lamorgese al posto di Salvini e i porti riaperti da due mesi (la crisi di governo è dell’agosto 2019, ndr) – eravamo a 4.269 sbarchi.
Tutto questo cosa significa?
Ci dice che la politica migratoria seria, quella che contrasta i trafficanti e le Ong e fa accordi con i Paesi costieri, paga. Detto in modo ancor più chiaro: le navi in arrivo sono un braccio di ferro tutto politico, ben sapendo che la politica, quando c’è e decide, fa la differenza.
Quando a Bruxelles la Meloni ha detto che sui flussi migratori “la priorità diventa quella già prevista nelle normative europee, che è la difesa dei confini esterni”, von der Leyen e Michel non hanno obiettato nulla.
E come avrebbero potuto? La difesa dei confini esterni è uno dei pilastri di ogni configurazione politica, Unione Europea compresa. Per questo esiste Frontex.
Perché allora i confini esterni non vengono fatti rispettare?
Perché l’Ue non ha una politica estera e al suo posto vi sono solo chiacchiere. Finché non avremo una politica europea unitaria che difende i confini esterni, avremo sempre i muri interni e qualcuno – come l’Italia – che paga un prezzo più alto degli altri.
Dietro i barconi che salpano c’è una regia politica?
Ci sono trafficanti che intascano somme enormi di denaro. I flussi spontanei di gente disperata non vanno da nessuna parte senza i trafficanti. Venerdì un’operazione congiunta della polizia italiana ed europea ha portato a 382 arresti lungo la rotta balcanica di criminali dediti a traffico d’armi, droga, immigrazione clandestina. Questo per dare la misura di come ogni traffico illegale realmente redditizio sia gestito da grandi organizzazioni.
Oslo e Berlino dicono che garantire un porto sicuro spetta allo Stato responsabile dell’area Sar (Search and Rescue) in cui sono effettuati i recuperi. Cioè la Libia. Che però non è un porto sicuro, per questo la responsabilità ricade sull’Italia.
Falso. Se la Libia non è un porto sicuro – ma in Libia ci sono le agenzie dell’Onu – lo è la Tunisia. Nulla vieta che coloro che sono raccolti in mare dalle navi battenti bandiera tedesca o norvegese siano portati in Germania e Norvegia dalle compagnie aeree di linea dei rispettivi Paesi.
Non è una soluzione assurda?
No. Durante la guerra in Libia, ma nessuno se lo ricorda più, un milione di lavoratori stranieri che lavoravano nella Libia di Gheddafi furono evacuati in Tunisia e rimpatriati mediante ponti aerei organizzati dagli Stati di provenienza.
Quindi?
Vuol dire che Germania e Norvegia non vogliono prendersi quelle persone. Quindi è una decisione politica, cioè è il braccio di ferro di cui sopra. E così le Ong raccolgono clandestini nelle acque Sar tunisine, libiche, a volte maltesi e dirigono verso l’Italia.
Intanto la Francia si è resa disponibile a raccogliere i migranti di una nave Ong attualmente in mare.
Lo ha fatto perché l’Italia aveva chiuso i porti. Ma l’Italia non è tenuta a dare un porto: anche Tunisi è un porto sicuro. Il problema è che i clandestini non hanno pagato i trafficanti per restare in Tunisia, ma per venire in Europa. E ogni volta che noi consentiamo a un barcone o a una nave Ong di entrare in acque territoriali e sbarcare, incoraggiamo altre migliaia di persone ad arricchire i trafficanti e le Ong, che sotto il mantello umanitario stanno gestendo un enorme business.
Fino a quanto può durare il legame di fatto tra imbarcazioni Ong e Stati di cui battono bandiera?
Fino a quando l’Italia consentirà lo sbarco di queste navi. Chiudendo i porti, quel legame è destinato a rompersi.
E le emergenze?
Se sono vere emergenze, si deve fare in fretta, e se si deve fare in fretta, i porti sicuri più vicini sono in Libia – dove, ripeto, ci sono le agenzie Onu – e in Tunisia.
Difendendo i suoi confini, l’Italia pensa solo a se stessa?
No, pensa anche all’Europa. I suoi confini sono la frontiera esterna europea. Nessuna nazione od organizzazione politica di nazioni può definirsi tale se rinuncia a controllare i suoi confini e chi entra attraverso di essi.
Il governo non ha effettuato un vero e proprio blocco navale. La linea Piantedosi che si sta delineando in queste ore è: i comandanti identificano tutti coloro che sono a bordo, l’Italia si fa carico di chi ha diritto all’assistenza umanitaria, agli altri devono pensare gli Stati di bandiera. Che ne pensi?
Era giusto dare una risposta immediata alle situazioni di emergenza sanitaria, ma senza cedere al ricatto delle Ong, che fa leva proprio sugli aspetti umanitari. Ma a mio avviso ci sarebbe un modo per risolvere tutti i problemi.
Quale?
L’Europa stabilisce che tutti coloro che pensano di avere i requisiti per chiedere asilo possano presentare domanda presso le ambasciate dei Paesi membri. Se la domanda viene accolta, la porta è aperta. Come abbiamo fatto per i profughi siriani in Libano: li abbiamo identificati e li abbiamo fatti arrivare a Roma in aereo. Chi ha la richiesta di asilo respinta, non può acquisire tale diritto pagando i trafficanti. Se tutta l’Ue facesse così, avremmo le richieste direttamente nei nostri uffici e daremmo un colpo durissimo ai trafficanti illegali, che perderebbero tutti i loro “clienti”.
(Federico Ferraù)
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