Ennesimo braccio di ferro tra Governo e Ong sui migranti. Dopo aver effettuato l’evacuazione di 18 “vulnerabili”, cioè donne e bambini, la Alex, nave della Ong Mediterranea ferma a sud di Lampedusa al limite delle acque territoriali italiane, non vuole sostenere il viaggio a La Valletta: Malta, dopo aver raggiunto un accordo con l’Italia, ha dato infatti il via libera ad accogliere gli altri 41 migranti a bordo, ma l’organizzazione fa sapere che non può arrivare fino all’isola. Per il Viminale si tratterebbe di una provocazione e di uno stratagemma per evitare i controlli. Così si è aperto un nuovo contenzioso. Intanto all’orizzonte si profila un altro scontro: dalle acque libiche è in arrivo la Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye con 65 migranti a bordo salvati da un gommone in difficoltà. Il ministro dell’Interno ha subito scritto al collega tedesco Seehofer: tocca alla Germania farli sbarcare, non all’Italia. Insomma, dopo il caso Sea Watch, il nodo dell’accoglienza di migranti è diventato ancora più intricato e dirompente. Che problemi pongono i casi Mediterranea e Alan Kurdi? Come affrontarli? Lo abbiamo chiesto all’ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto del mare e consigliere scientifico del Cenass.
Come valuta l’intervento di evacuazione dei 18 migranti più vulnerabili a bordo della nave Mediterranea?
Si tratta di un intervento dettato da necessità incontestabili; non farlo esporrebbe le autorità competenti a responsabilità omissive colpose. Del resto la sua ineluttabilità è stata riconosciuta da un Tar in una recente sentenza riguardante la Sea Watch 3, venendo poi richiamato dalla decisione della Cedu riguardante il diniego di concessione della misura immediata dell’ingresso in porto alla stessa nave.
Visto che in Italia è in vigore il decreto sicurezza bis, è giusto che poi gli altri migranti a bordo siano fatti sbarcare in un porto non italiano, in questo caso Malta, grazie a un accordo bilaterale?
Lo scopo del decreto sicurezza bis (Dl 53/2019) è quello di vietare – mediante decreti interministeriali da adottare caso per caso – ingresso, transito e sosta nelle nostre acque territoriali di navi private, sia per motivi di ordine e sicurezza pubblica sia per violazioni ai princìpi del transito inoffensivo relativamente all’immigrazione irregolare. Nel primo caso, la normativa è applicabile anche alle navi di bandiera italiana; nel secondo, alle navi straniere, cui si applica il regime del transito inoffensivo stabilito dall’articolo 19 della Convenzione sul diritto del mare 1982 (Cnudm).
E sull’accordo con Malta?
Credo si tratti – se verrà attuato – di un provvedimento di prevalente interesse maltese, volto a dimostrare, in ambito Ue, l’esistenza di rapporti di buon vicinato con noi. In realtà, Malta – che, non dimentichiamolo, si è sinora rifiutata di sottoscrivere con l’Italia un accordo bilaterale di collaborazione Sar – ha subito dichiarato di escludere proprie responsabilità Sar nella vicenda, a sottolineare che non accetta il principio della Solas (convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia nel 1980, ndr) in materia di competenza del Paese responsabile dell’area Sar nella concessione di un Pos. La Valletta continua, infatti, a sostenere che si debba applicare invece il principio che il Pos va individuato nel luogo più vicino al soccorso e cioè, nella gran parte dei casi avvenuti nella Sar libica, Lampedusa o un porto tunisino.
Che cosa significa, dal punto di vista del diritto, trovare un porto sicuro?
La relativa nozione, stabilita dall’Imo e recepita nel Capitolo V della Convenzione Solas, attiene allo sbarco delle persone salvate in un luogo in cui alle stesse possano essere garantiti diritti umani, benessere fisico e cure adeguate in vista del raggiungimento della destinazione finale. E’ ovvio che non può essere considerato “Place of Safety” (Pos) un luogo in cui siano a repentaglio i diritti fondamentali delle persone. Di qui le questioni relative al riaccompagnamento in Libia di persone salvate nella Zona di soccorso (Sar) libica a suo tempo (2012) addebitate all’Italia dalla Cedu per il “caso Hirsi” ; al riguardo deve notarsi che il fatto che la Libia non garantisca un Pos non è stabilito in alcun atto formale né del Consiglio di sicurezza dell’Onu, né dell’Unione europea (fatta esclusione per alcune dichiarazioni di organi della Commissione), né del Governo italiano. Di recente, il ministro Moavero Milanesi ha tuttavia dichiarato che “la definizione di porto sicuro viene dalle convenzioni internazionali, queste condizioni per la Libia non ci sono. Non siamo noi a dirlo”. Da notare, in aggiunta, che la Convenzione Solas prevede comunque che, in attesa dello sbarco in un Pos, la nave su cui sono trasportate le persone salvate, sia temporaneamente assimilabile a un Pos
Intanto si sta avvicinando alle coste italiane anche la Alan Kurdi (nave tedesca di una Ong tedesca) con 65 migranti a bordo. Non sono da considerare già “su suolo tedesco”? E in tal caso non sarebbe doveroso che raggiungessero un porto tedesco?
Una nave costituisce “territorio galleggiante” dello Stato di bandiera. Tuttavia, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, è necessario che la persona salvata sia presente sul territorio di uno Stato. In sostanza, non è ammessa, in diritto internazionale, la concessione del cosiddetto “asilo extraterritoriale”. Ciò non toglie che lo Stato di bandiera, sulla base degli obblighi che ad esso incombono secondo la Cnudm, debba attivarsi per esercitare giurisdizione in tutte le questioni rilevanti in cui sia coinvolta la nave iscritta in un suo registro, secondo il principio del “genuine link”. Il legame tra Stato di bandiera e nave registrata è invece, per così dire, evanescente solo nel caso – condannato dall’Imo – delle “bandiere ombra”, concesse da Stati che non esercitano alcun controllo sulle navi di bandiera.
Proprio in merito alla Alan Kurdi, il ministro italiano ha scritto una lettera al suo collega tedesco, Seehofer, in cui ha ribadito che “l’eventuale deterioramento della situazione a bordo non potrà che ricadere nell’esclusiva responsabilità dello Stato di bandiera e del comandante”. Che ne pensa?
Alla luce di quanto detto in precedenza sul principio del “genuine link”, ritengo corretto il richiamo fatto dal governo al coinvolgimento diretto della Germania, quale Stato di bandiera, nelle vicende della Alan Kurdi.
(Marco Biscella)