La giunta golpista del Niger cancella la legge sul traffico illegale di migranti. Uno smacco per l’Unione Europea che l’aveva voluta e che ora rischia di vedere riaperto completamente un canale di passaggio che, in virtù delle norme ora abrogate dal generale Tchiani, aveva visto diminuire il numero di persone destinate ad andare in Libia e Tunisia per imbarcarsi verso l’Italia.



L’impatto potrebbe non essere così consistente, spiega Alberto Aziani, ricercatore del Centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano, dal punto di vista dei flussi, ma può essere più pericoloso il messaggio politico: la mancanza di controllo di queste attività sul territorio, allargata ad altre situazioni, a lungo andare può significare l’aumento delle criticità. L’Europa potrebbe vedersi costretta ad alzare i costi delle collaborazioni con gli Stati di provenienza che diventerebbero più esigenti nella definizione delle condizioni.



Quanto è importante l’abrogazione della legge nigerina sul traffico illegale di esseri umani? Rischia di ripristinare una rotta che finora era sotto controllo?

È un segnale forte dal punto di vista politico, sia per quanto riguarda la politica interna, perché dà un segnale di discontinuità con il governo precedente e di interruzione dei rapporti con i Paesi Ue e occidentali, sia verso le potenze europee. Bisognerà vedere se praticamente questo significherà un cambiamento dal punto di vista del passaggio delle persone: la legge aveva causato una riduzione dei flussi non estremamente marcata. Possiamo attenderci un aumento, ma verosimilmente non così importante. Gli africani che vanno verso il Nord, ammesso che aumentino, potrebbero anche fermarsi lì, senza tentare di attraversare il Mediterraneo. Moltissimi lo hanno fatto.



Cancellando la legge, tuttavia, il Niger fa capire che non è così interessato al controllo del territorio da questo punto di vista. Non è così?

Certo, uno dei segnali è questo: era stata decisa con i Paesi europei, ma è una priorità solo per la Ue. Che si passi di lì, visto che nell’area Ecowas c’è un patto di libera circolazione di uomini e merci, al Niger non interessa molto.

Un messaggio di cui i trafficanti potrebbero fare tesoro?

Lo faranno di sicuro. Bisognerà anche vedere come vengono implementate le leggi. Le pene erano estremamente pesanti: condanne con un massimo di 30 anni di reclusione per attività di human smuggling. L’assenza di una pena di questo tipo cambia l’attitudine con cui una persona si approccia a un’attività del genere. Il Niger, poi, ha una posizione geografica e politica molto diversa dai Paesi del Nordafrica: se il problema non è attraversare il mare ma il deserto, non occorrono grandi strutture organizzative.

Basta un mezzo per trasportare le persone nel deserto?

Sì, è un po’ più semplice attrezzarsi. Vengono utilizzati anche grossi camion che devono avere la capacità tecnica per un viaggio di questo tipo. La gestione del flusso è comunque diversa, rimane ostica, ma meno rispetto alla fase finale del viaggio.

Il Niger è un punto di passaggio obbligato per certe popolazioni che vogliono raggiungere Libia e Tunisia?

Se si proviene dalla costa centro-occidentale dell’Africa è un passaggio abbastanza obbligato e molto importante. Nonostante la legge contro il traffico di uomini continuava ad essere un punto di passaggio. Quando si sono verificati picchi di partenze da Sfax si trattava di cittadini centrafricani che erano già da tempo in Tunisia e che poi hanno deciso di raggiungere l’Italia e l’Europa.

Quali sono le nazionalità principali delle persone che intraprendono il viaggio attraverso il Niger?

Il Niger è a nord della Nigeria, la nazione più popolosa del continente, formata da giovani: quello è il bacino principale di provenienza dei migranti. Ma arrivano anche dal Ghana, dal Camerun, da tutta l’area del Golfo di Guinea. Una volta in Niger la gente va in Libia o Tunisia, dipende dai momenti specifici, da quanto vengono osteggiati nei Paesi di approdo. Anche l’Algeria, però, è una regione di transito.

Come si sviluppa il viaggio dei migranti?

Sempre in Niger, ma anche in Mali, ci sono dei piccoli villaggi, degli avamposti vicino al deserto, che sono sempre esistiti ma che oggi fanno da punto di appoggio per le soste. Lì si radunano gli autobus e si riposano le persone in attesa di riprendere la loro marcia.

L’abrogazione della legge ha a che fare anche con la mancanza di un riconoscimento da parte dell’Unione Europea del governo che si è insediato dopo il recente golpe?

Il nuovo governo non è stato riconosciuto dall’Europa e vuole mostrare che può esercitare un potere che riguarda anche la Ue: “Non ci riconoscete? Sappiamo noi come fermare, o non fermare, il flusso migratorio”. I governi dell’area sanno i soldi che gli europei sono disposti a mettere in questo tipo di iniziative. Possono esercitare una pressione politica forte su Bruxelles. Lo ha fatto la Turchia, lo possono fare Libia, Egitto e altri ancora. Possono volere fondi o forme di riconoscimento.

La cancellazione della legge sul traffico illecito dei migranti, quindi, può essere letta anche in questo modo: è un modo per alzare il prezzo di un accordo con l’Europa?

A oggi c’è sempre questa componente, si chiede agli europei di pagare il prezzo del controllo sui passaggi alle frontiere di chi vuole emigrare.

Ma l’Ue ha contribuito all’applicazione delle norme contro i trafficanti?

Il controllo fa capo alle forze dell’ordine locali. Ci sono militari europei presenti in queste zone che sono stati mandati anche per il contrasto al flusso migratorio. Ma formalmente non sarebbe il loro compito. Come è successo con la Tunisia, questi governi da un lato vogliono mostrarsi compiacenti con l’Europa, ma dall’altro vogliono dimostrare che hanno una loro autonomia, controllo del territorio e indipendenza politica. Hanno anche un passato da colonie di Paesi europei e quindi c’è un fenomeno identitario complesso da gestire.

Alla fine la Ue senza questa legge nigerina diminuisce il proprio controllo sui flussi?

Assolutamente sì. Dal punto di vista politico significa una ulteriore perdita di influenza nell’area. Potrebbe aumentare anche il costo degli accordi di collaborazione per controllare i flussi: nel momento in cui certi Paesi cominciano a sfilarsi, rinegoziarli potenzialmente può essere più costoso.

(Paolo Rossetti)

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