Stiamo assistendo al grande prologo di una battaglia elettorale, dice al Sussidiario Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, a proposito della crisi migratoria.

Micalessin ha anticipato sul Giornale il caso, clamoroso, del memorandum con Tunisi siglato da von der Leyen, Meloni e Rutte ma boicottato dai socialisti europei e in primis dal numero uno della politica estera europea, Josep Borrell, con una missiva nella quale si contesta l’intesa per fermare le partenze. Quanto basta per far saltare l’erogazione dei fondi concordati. “Un avvertimento lanciato dal Pse agli alleati del Ppe perché non pensino a nuovi equilibri di potere vantaggiosi per i conservatori”, spiega Micalessin.



Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato l’allungamento a 18 mesi del tempo massimo di trattenimento per il rimpatrio e la previsione di nuovi Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Due misure necessarie, ma non risolutive, perché solo fermando le partenze – come hanno dichiarato a Lampedusa Meloni e von der Leyen – è possibile incidere sui flussi in arrivo.



Abbiamo, ad oggi, una presa di distanza di von der Leyen dal caso Borrell?

No, non c’è. Sarebbe una spaccatura ancora più netta nella battaglia che si è aperta dentro la Commissione. Però il fatto che von der Leyen sia venuta a Lampedusa è una presa di posizione. Se poi aggiungiamo i dieci punti, il messaggio è chiaro: intende andare avanti su questa strada.

Battaglia in Commissione, hai detto. Ti riferisci ai socialisti?

Certo. Il caso del memorandum è un avvertimento: attenti, cari popolari, perché state facendo accordi con un Governo, quello italiano, che è un avamposto dei conservatori europei e a noi socialisti non va bene.



Oltre le ragioni tattiche, perché i socialisti hanno boicottato il memorandum of understanding con la Tunisia?

Perché va contro la cultura dell’elettorato socialista in Europa, improntata all’accoglienza a tutti i costi dei migranti. Per il Pse è impensabile fare accordi con Saied. E vedono il Governo Meloni come un pericolo in Ue.

A questo punto il dialogo con Saied è compromesso?

Direi di no. Da Saied è arrivato un avvertimento, come faceva Gheddafi e come ha fatto a suo tempo anche Erdogan con la compiacenza della Germania. Bisogna anche aggiungere che in Tunisia la situazione non è lineare, pacifica. La polizia è spesso corrotta, la Guardia nazionale fino a prima della crisi ha fatto quanto stabilito, ma senza i fondi promessi non ci si poteva più aspettare che fermasse le partenze. E così è stato.

Cosa significa per Tunisi non avere i fondi europei?

Senza sussidi può scoppiare la rivoluzione, possono saltare il governo e lo stesso Saied. Ma togliere il potere a Saied vuol dire rimettere in libertà i capi di Ennahda e mandare la Tunisia nel caos. Ricordiamoci che è l’unico Paese delle cosiddette “Primavere arabe” ad avere resistito ai colpi della Fratellanza musulmana.

E il freno rappresentato da Saied non è una ragione sufficiente per dare esecuzione all’accordo?

Per i socialisti non lo è.

Per questo l’euro-delegazione socialista voleva incontrare i responsabili dell’opposizione.

Sì. Un film già visto, per chi se lo ricorda: la solita politica miope della sinistra che fa alleanze con i gruppi islamisti.

Chi salpa dalla Tunisia per l’Italia?

Migranti che arrivano da Guinea, Burkina Faso, Mali e altri Paesi nei quali è saltata la politica francese e i gruppi jihadisti avanzano, o dove ci sono giunte militari al potere. Da lì la gente fugge.

Due i provvedimenti adottati ieri dal Consiglio dei ministri: l’allungamento a 18 mesi del tempo massimo di trattenimento per il rimpatrio, e la previsione di nuovi Centri di permanenza per il rimpatri (Cpr), uno in ogni regione. Sono la soluzione?

Ovviamente no. I Cpr assolvono il loro compito, e l’allungamento del tempo di permanenza può dare più tempo per i controlli e le formalità necessarie, ma ricordiamoci che i Cpr sono propedeutici a rimandare in patria gli irregolari con provvedimento di respingimento o espulsione. Dunque parliamo di una netta minoranza. Ipotizziamo di poterne espellere 8mila invece degli attuali 3mila: l’imbuto rimane quello delle ambasciate e dei consolati che devono fornirti i documenti perché il Cpr possa sbrigare le pratiche di rimpatrio. In altri termini, non è con i Cpr che si può svuotare l’Italia dai migranti irregolari.

Quali sarebbero le soluzioni vere?

Tutti i modi per riportare indietro i migranti sono problematici. L’accordo in materia di asilo e migrazione raggiunto in Consiglio Ue degli Affari interni l’8 giugno scorso, che rende più difficile l’asilo e si appoggia sui cosiddetti Paesi terzi sicuri, è ancora in bozza. I respingimenti via blocco navale, dopo la sentenza della Corte europea del 2012 contro l’Italia sui migranti ritrasportati in Libia (caso Hirsi e altri vs. Italia, nda), sono divenuti illegali. I rimpatri verso i Paesi d’origine potrebbero essere effettuati dallo Stato esterno all’Ue – nel caso, la Tunisia – previa intesa con l’Italia e l’Oim. Altra soluzione problematica.

L’ipotesi di una missione navale Ue?

Sarebbe la riproposizione di Sophia, che Salvini bloccò, perché tutti gli immigrati salvati da Sofia non venivano portati in Germania o negli altri Paesi prescelti, ma scaricati in Italia dalle navi dei nostri alleati europei.

Dunque hanno ragione Meloni e von der Leyen a dire che la soluzione contro la migrazione illegale è bloccare le partenze?

Sì, perché parlare di ricollocazione vuol dire nei fatti mettersi in condizione di smistare irregolari che nessuno vuole. Bloccare le partenze invece significa erogare alla Tunisia i fondi previsti dal memorandum perché sia il governo di Tunisi a fermare i flussi diretti verso l’Europa. Come in parte è avvenuto quest’anno per circa 40mila persone. Nello stesso tempo, impegnarsi nei Paesi d’origine, cioè investire in Africa.

Torniamo al nodo politico. Von der Leyen intende fermare le partenze, ma all’orizzonte del 2024 c’è ancora l’alleanza con il Pse. Con queste premesse, il dossier migratorio resterà sempre ostaggio di una componente fondamentale della maggioranza.

È il vero motivo della guerra lanciata dei socialisti. O con noi o salti dalla finestra, è questo che le hanno fatto capire. I conservatori di Ecr, almeno al momento, non sono in grado di fornire i numeri per un’alleanza diversa, e il Ppe ha già detto no a un’alleanza con la destra di Le Pen. Questa è la situazione. La differenza potranno farla solo le elezioni.

(Federico Ferraù)

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