Dall’Europa, puntualmente in ordine sparso, arrivano i no al ricatto di Erdogan. Ma il presidente turco non intende fermarsi, l’operazione “Pace di Primavera” nel nord della Siria proseguirà, e se la Ue non intende rinnovare i finanziamenti la Turchia riaprirà le porte della rotta balcanica a 3,6 milioni di rifugiati. In Europa però ci si dimentica che “la Turchia persegue una politica per la propria sicurezza nazionale” dice al Sussidiario Paolo Quercia, analista di politica estera e direttore del Cenass. “Erdogan sbaglia su tante cose. Ma i turchi possono dire di essere stati abbandonati dall’Occidente tanto quanto i curdi. E forse non hanno tutti i torti”.
Facciamo il punto. Qual è la causa precisa dell’offensiva turca in Siria? Le contraddizioni di Trump sul cosiddetto ritiro? O c’era un patto tra Erdogan, Trump e Putin?
La Turchia persegue quattro obiettivi strategici con la sua offensiva militare in Siria: proteggere il proprio confine creando una cintura di sicurezza; disarticolare le forze curde e impedire la creazione di una regione autonoma curda in Siria; rafforzare il proprio potere negoziale in Siria rispetto a Iran e Russia; liberarsi di milioni di profughi arabo-siriani, reinsediandoli nel Nord della Siria e modificando i rapporti etnici e gli assetti politici.
Un piano che non si improvvisa.
Era un progetto preparato da molto tempo. A cui Trump, con l’annuncio del suo disimpegno, ha dato la luce verde nei giorni scorsi. Non possiamo sapere se fosse concordato con Ankara o se sia il frutto di un semplice ripiegamento isolazionista che la Turchia ha sfruttato.
In un modo o nell’altro, arriviamo al problema dei migranti. Perché Erdogan li usa in modo strumentale? Che cosa vuole ottenere?
Quando sta accadendo, e le reiterate minacce di Erdogan di mandarli in Europa dimostra una cosa che in pochi diciamo da tanti anni. Molte migrazioni di massa non sono il semplice frutto di un problema economico o umanitario. Quando milioni di persone si muovono assieme verso una direzione e non verso un altra, dietro c’è o un atto politico di uno Stato o la mano di un’organizzazione criminale. A volte entrambe. Sono quei fenomeni che Kelly Greenhill chiama “engineered migrations”: ovverosia l’uso dei rifugiati come arma politica.
Quali sono in questa situazione le responsabilità dell’Europa?
Enormi. In primo luogo non aver compreso la vera natura dei flussi migratori avvenuti dal 2010 in poi, assolutamente diversi da quelli dei decenni precedenti, in cui il carattere socio-economico era prevalente. Questi di oggi sono direttamente connessi alla sicurezza internazionale e alla sicurezza interna. Il non averlo capito, il non essersi attivati per evitare di esserne travolti dimostra la mancanza di una dimensione politico-strategica dell’Europa ed il suo deficit democratico. Vedere la Grecia sull’orlo del collasso o un continente di 500 milioni di persone posto sotto ricatto in questo modo è qualcosa di sconcertante.
Responsabilità dell’Europa o della Germania?
Diciamo che, da questo punto di vista, i due concetti coincidono.
Non potrà negare che l’Europa è animata innanzitutto da ragioni umanitarie, mentre Erdogan rivela solo uno straordinario cinismo politico!
Se continueremo ad opporre l’umanitarismo al cinismo finiremo inevitabilmente per perdere. Quello che serve è un sano realismo. Che in realtà la maggior parte degli Stati europei ha, ma mantiene a servizio dei propri interessi nazionali e non dell’idea europea. Gli europeisti convinti, invece, non posseggono la categoria del realismo politico ma vivono di un idealismo europeo che per scelta ideologica si contrappone al realismo degli Stati nazionali. L’Europa viene vista come una potenza morale e non una potenza statuale.
“Il fenomeno migratorio va affrontato per governarlo, altrimenti travolgerà qualunque equilibrio nel nostro continente. L’ignobile traffico di essere umani, per le nostre coscienze, è un costante rimprovero”. Come commenta le parole di Mattarella?
Assolutamente condivisibili. Ma dire che le migrazioni vanno governate può significare tutto o il suo contrario. Forse ci serve più coraggio. Bisogna ammettere che per governare le migrazioni occorre ristabilire il controllo sulle frontiere europee, anche chiudendole quando necessario per chi non ha identità o per chi non ha diritto ad accedere, o quando esse sono un atto di aggressione asimmetrica da parte di un altro Stato.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha convocato l’ambasciatore turco. Come giudica questa decisione?
Credo che per l’Italia sia meglio tenere una linea più soft e non prendere la Turchia di petto. Per tanti motivi. Teniamo anche presente che molti dei problemi che la Turchia sta affrontando alla sua frontiera meridionale derivano da errori fatti dagli americani e da alcuni Paesi europei, come la Gran Bretagna, in Medio Oriente. Quando fu decisa la guerra in Iraq del 2003, l’episodio chiave che ha destrutturato il Medio Oriente ed in particolare la Siria, Di Maio aveva appena 16 anni. Al di là di questo, alzare la voce contro un Paese come la Turchia e poi invocare l’Europa per metterla in riga mi pare abbia poco senso.
Lei prima ha parlato di realismo, attribuendolo implicitamente, se non sbaglio, anche ad Erdogan. Forse occorre abbracciare non gli ultimi eventi ma una prospettiva più vasta. Può spiegarsi meglio?
Ovviamente la Turchia persegue, senza mezzi termini, una politica per la propria sicurezza nazionale. Ricordiamoci però che l’Europa e gli Usa l’hanno lasciata con il cerino in mano, dopo aver soffiato sul fuoco delle primavere arabe, armato l’opposizione siriana e avviato una politica per abbattere Assad. Ricordiamo il gruppo dei Friends of Syria con cui si sosteneva l’opposizione politica e militare ad Assad. Poi, quando i russi e gli iraniani hanno messo qualche migliaio di uomini sul campo a sostegno di Assad e delle sue milizie, il grande idealismo dell’Occidente è scomparso.
E la Turchia si è trovata con un confine di mille chilometri in subbuglio.
In subbuglio? Attentati all’interno del Paese, il problema dei foreign fighters (europei!) e quello dei milioni di profughi siriani. Ankara ha dovuto resettare la sua politica estera, scendere a patti con lo stato islamico e con gli alleati di Assad per venirne fuori. Insomma Erdogan sbaglia su tante cose. Ma i turchi possono dire di essere stati abbandonati dall’Occidente tanto quanto i curdi. E forse non hanno tutti i torti.
Quali saranno gli sviluppi di questa crisi nella più grande crisi del Medio oriente?
Credo che i curdi non riusciranno a resistere all’offensiva militare turca. Quando capiranno che gli Usa si ritirano sul serio e che l’Europa non è un soggetto di politica estera, finiranno probabilmente per ritenere come unica alternativa percorribile quella di tornare tra le braccia di Assad, che ha sempre tenuto per loro una porta aperta. E dei russi, loro vecchi alleati dai tempi della guerra fredda. Alla fine l’esito di questa offensiva sarà quello di spostare i curdi nelle braccia di Teheran e Mosca.
(Federico Ferraù)