Su specifica richiesta del nostro presidente del Consiglio, il tema delle politiche europee per la flessione dei flussi irregolari dei migranti era stato inserito all’odg del Consiglio europeo dei capi di governo del 24-25 giugno, suscitando attese che sono andate deluse per la scelta di rinviare al prossimo autunno il confronto sui nodi della riforma del trattato di Dublino che registrano forti divergenze tra i Paesi aderenti all’Ue, anche se accompagnata da una mozione che mette alcuni punti fermi sull’evoluzione delle politiche europee sulla materia.
L’Europa ci lascia soli, è la frase che ricorre, per l’ennesima volta, sui mass media italiani, senza particolari distinzioni tra le diverse sensibilità politiche di destra e sinistra solitamente abituate a scontrarsi senza esclusione di colpi in materia di immigrazione. Ma la delusione è anche il frutto di aspettative mal ponderate riguardo la possibilità di assumere decisioni in ambito europeo, in particolare quella di imporre una redistribuzione dei migranti irregolari tramite un sistema di quote obbligatorie per ogni Paese aderente, in assenza di una revisione delle intese di Dublino, che rimane l’oggetto privilegiato delle critiche per via dell’obbligo di accertare i requisiti di protezione internazionale dei migranti e di assicurare l’accoglienza degli stessi da parte dei Paesi di primo ingresso previsto dalla Convenzione di Ginevra per i diritti dei rifugiati del 1951.
Giova ricordare che tali intese, che hanno assunto la veste di Regolamento Ue con i trattati di Dublino del 2003 e 2013, erano state adottate per armonizzare in ambito europeo l’attuazione di quanto previsto nella Convenzione internazionale richiamata, anche per regolare le condizioni per la circolazione sul territorio europeo dei rifugiati che hanno ottenuto il permesso di soggiorno.
Sul piano pratico, non si comprende nemmeno quale sia la concreta convenienza per l’Italia di rivendicare la redistribuzione dei profughi sulla base di quote obbligatorie rapportate all’incidenza sulla popolazione dei singoli Paesi dato che le domande di asilo concretamente presentate nel nostro Paese rimangono tuttora abbondantemente al di sotto rispetto alla media europea (nel 2020 poco più di 21 mila in Italia rispetto alle 102 mila della Germania e le oltre 80 mila di Francia e Spagna).
La specificità italiana è rimarcata invece dalle particolari caratteristiche dei flussi di ingresso irregolari. In particolare, per l’oggettiva problematicità delle attività di controllo e di gestione dei flussi legata alle vastità e pericolosità delle frontiere marine, e per la quota prevalente dei migranti per motivi economici sul totale di quelli irregolari.
L’esigenza di costruire una solida polizia di frontiera, che vada oltre le forme volontaristiche che hanno connotato l’attuale dispositivo di Frontex per le iniziative rivolte a contrastare le tratte degli esseri umani e gli ingressi irregolari organizzati, è largamente condivisa tra i Paesi aderenti all’Ue. E questa condivisione può contribuire a rafforzare anche le iniziative di supporto ai Paesi più esposti per l’accertamento dei requisiti di protezione dei migranti, di gestione dell’accoglienza e dei rimpatri dei migranti irregolari. Così pure, ed è uno degli impegni assunti dal Consiglio europeo, viene condivisa la necessità di affidare alla Commissione europea un ruolo attivo per la sottoscrizione delle intese con i Paesi di origine e di transito dei migranti, finalizzate a potenziare le iniziative di cooperazione economica, la reciprocità delle azioni di contrasto dell’immigrazione irregolare e a favorire il rimpatrio degli immigrati privi dei requisiti di protezione.
Come ricordato, il vero ostacolo è rappresentato dall’eventuale introduzione delle quote obbligatorie in relazione al timore che queste misure aggiuntive possano determinare un effetto di attrazione di nuovi migranti irregolari, soprattutto se non condizionate da una preventiva e rigorosa verifica dei requisiti di protezione dei potenziali richiedenti. Oltre la contestazione riguardo ai numeri delle domande di asilo effettivamente inoltrate, all’Italia viene rimproverata una scarsa capacità di accertamento preventivo dei requisiti di protezione dei migranti e di gestione l’accoglienza. Sulla revisione del Regolamento di Dublino 3 pesa la richiesta avanzata dalla Germania e da altri Paesi del Centro nord Europa di riportare in Italia una quota significativa di migranti irregolari sbarcati sulle nostre coste e successivamente rintracciati nel loro territori (i cosiddetti dublinanti). Un pregiudizio avvalorato dalle decisioni adottate dal Governo Conte-2 di effettuare in piena crisi Covid una sanatoria per gli immigrati irregolari e di ampliare il rilascio dei permessi umanitari per quelli privi dei requisiti di protezione internazionale.
Il tema di fondo, non aggirabile nemmeno per i Paesi come la Francia e la Germania che hanno offerto la disponibilità per accogliere quote significative di migranti dai Paesi più esposti, rimane la preliminare e rigorosa distinzione tra i profughi che vanno accolti e i migranti economici, la cui accoglienza, programmata o meno, rimane nella disponibilità dei Paesi di primo ingresso.
Se l’analisi è corretta, le prospettive di una riforma del Regolamento di Dublino 3 dipendono essenzialmente da due condizioni: l’accettazione di un ruolo attivo dell’Unione europea in materia di immigrazione; la riconferma della rigorosa verifica dei requisiti di protezione internazionale dei migranti irregolari come condizione per attivare gli interventi di sostegno e di redistribuzione degli stessi sul complesso dei Paesi aderenti.
La prima, a mio avviso più importante, dipende dalla capacità di individuare un nucleo di materie sulle quali rafforzare il ruolo delle istituzioni europee (il rafforzamento del ruolo della Polizia di frontiera Frontex, e dell’agenzia per i profughi Easo, il ruolo attivo nella sottoscrizione degli accordi con i Paesi di origine dei migranti e per le azioni di supporto ai Paesi aderenti per la gestione dei flussi irregolari di particolare intensità, le condizioni e i sostegni per la redistribuzione in ambito europeo dei profughi accolti). La seconda comporta la necessità per l’Italia di fuoriuscire dallo stato confusionale delle nostre politiche per il contrasto e la gestione dei flussi d’ingresso irregolari.
È questa la lettura che può aiutare a comprendere l’importanza delle iniziative messe in atto dal nostro presidente del Consiglio in tre direzioni: ricostruire un asse privilegiato con la Francia, decisivo per recuperare un protagonismo efficace dell’Europa nelle vicende africane, e con la Germania, fondamentale per ottenere il consenso dei paesi del nord e dell’est Europa sulla riforma dei trattati di Dublino; condizionare il consenso per il rinnovo e il finanziamento dell’accordo con la Turchia per il controllo dei flussi di ingresso dei migranti all’assunzione di un analogo impegno per la Libia, come Paese di transito, e con i Paesi di origine del Centro Africa; mettere in campo un’intesa su base volontaria con la Francia e la Germania e altri Paesi disponibili, per la redistribuzione dei profughi in grado di indirizzare gli interventi e l’utilizzo delle risorse messe in campo dalle Istituzioni europee.
Vale la pena ricordare che per consentire questi passi in avanti il nostro presidente del Consiglio ha accuratamente evitato di assecondare le richieste di non rinnovare le intese con le autorità libiche e messo nell’angolo i numerosi tentativi di rinfocolare le polemiche sui temi dell’immigrazione per interessi di parte.
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