Che la conferenza di Roma sulle migrazioni si possa definire un successo o meno lo si capirà solo prossimamente, se le parole cominceranno a tramutarsi in fatti. Di sicuro su di essa Giorgia Meloni ha investito molto, e ritiene un primo risultato positivo la partecipazione di 21 paesi dell’area del Mediterraneo allargato, dal Niger sino agli Emirati Arabi Uniti. E già questo non era un livello scontato, visto che si tratta di un’iniziativa della diplomazia italiana in solitaria.



La conferenza fa parte del tentativo ambizioso di cambiare radicalmente verso alla politica migratoria dell’Unione Europea: la premier cerca di dimostrare che fra i paesi di partenza e transito dei flussi vi sono orecchie attente a un discorso ampio, che unisca freno alle migrazioni e opportunità di sviluppo. È l’idea del “Piano Mattei per l’Africa” più volte enunciata, dove quel richiamo al fondatore dell’AGIP serve a spiegare che il rapporto fra le due sponde del “Mare Nostrum” dovrebbe avvenire su un piano di parità, senza intenti predatori dal sapore neocoloniale.



La più lesta a comprendere che il tentativo ha un suo fondamento è stata Ursula Von der Leyen, forse anche perché fra un anno il sostegno della Meloni potrebbe essere molto importante per essere confermata alla guida della Commissione Europea. Meloni e Von der Leyen (con il premier olandese Rutte) sono state tre volte in 40 giorni a Tunisi, per convincere il presidente Saied ad accettare un memorandum d’intesa che di fatto è diventato il modello cui ispirare la conferenza di ieri: aiuti in cambio di un freno ai flussi. Naturalmente l’adesione della presidente della Commissione Europea alla conferenza ha trascinato con se quella del Consiglio e dell’Europarlamento. E all’invito italiano hanno aderito Grecia, Cipro e Malta, esposti come noi ai flussi dalla sponda sud. Assenti, invece, Francia e Spagna, presidente di turno dell’Unione, ma impegnata nelle elezioni anticipate di ieri.



Alla Farnesina c’erano orecchie attente ad ascoltare la Meloni, dall’Etiopia all’Algeria, dalla Turchia alla Libia. I più difficili da convincere sono i paesi di transito, quelli che hanno più da perdere da una lotta ai trafficanti di uomini. Ora l’attesa è che da parte europea alle promesse seguano i fatti. La Meloni ha confermato che il Piano Mattei troverà una compiuta esposizione a novembre, in occasione della Conferenza Italia-Africa, ma anche Bruxelles non può rimanere con le mani in mano.

Saied, ad esempio, ha puntato il dito contro le organizzazioni umanitarie, accusandole di non fare nulla. Ha chiesto all’ONU l’attivazione di un nuovo fondo internazionale per arginare le migrazioni, e oggi le stesse argomentazioni le esporrà al presidente Mattarella. Il Quirinale si è sempre detto convinto della complementarietà fra Europa ed Africa, e in questo campo supporta più che volentieri lo sforzo del governo di venire a capo di un fenomeno dilagante: siamo a oltre 80mila arrivi dall’inizio dell’anno. Non siamo ai record (negativi) del 2017, ma sempre numeri elevatissimi, con uno spostamento del grosso delle partenze dalla Libia alla Tunisia.

Meloni ha parlato dell’inizio di un percorso, di un “Processo di Roma” destinato a continuare. Ora però è chiamata a dimostrare di contare per davvero. Vedere rallentare i flussi delle partenze dei disperati e veder concretizzarsi i primi aiuti ai paesi africani dovranno essere fenomeni contemporanei. Sul piatto, per parte italiana, ha messo un notevole cambio di paradigma. Il tempo del “blocco navale” sembra lontano. Oggi alle nazioni in via di sviluppo insieme agli aiuti economici verranno offerti flussi legali. Il primo passo il “decreto flussi” nazionale, per la prima volta articolato su base triennale.

La scommessa della premier è di guadagnare la fiducia dei paesi africani così da convincere i partners europei, anche i più riottosi, come Ungheria e Polonia, che hanno impedito che l’accordo sui migranti e l’asilo di inizio giugno diventasse regola comunitaria. Più che nell’ipotesi di ribaltare le maggioranze politiche che governano l’Europa, la credibilità internazionale di Meloni si gioca sul terreno di un contrasto al fenomeno delle migrazioni che sia davvero efficace.

 

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