Caro direttore,
quando Sergio Mattarella dice che “gli accordi di Dublino sono preistoria” e incalza l’Europa su nuove politiche di accoglienza dei migranti, non solo sostiene il governo – oggi in trincea su molti fronti Ue – , ma si assume senza esitazioni una duplice responsabilità. Istituzionale e politica.



In una repubblica parlamentare il Capo dello Stato non governa ma ha comunque “poteri di esternazione” costituzionalmente previsti o assodati, ormai non più solo verso esecutivo e parlamento nazionali ma anche verso gli organi di governo dell’Unione. Ed è un “messaggio”, quello inviato da Mattarella a Bruxelles e a Strasburgo, che non è per nulla scontato, quando la campagna per le elezioni europee di metà 2024 è ormai iniziata e in Italia prosegue il confronto sulla riforma della Carta, fra opzioni di semipresidenzialismo o di premierato.



Ma il versante su cui l’onestà coraggiosa di Mattarella sembra risaltare è squisitamente politico. Gli Accordi di Dublino del 2013 furono firmati dal governo guidato da Enrico Letta, oggi come allora esponente di vertice del Pd. Con Paolo Gentiloni (oggi commissario Ue uscente) Letta resta uno dei due ex premier “dem doc”: a differenza di Matteo Renzi, poi uscito dal partito. E il Pd è il partito di cui Mattarella è stato fondatore, per approdare poi al Quirinale da rigoroso garante costituzionale, ma senza per questo aver mai rinnegato il suo Dna politico. E quest’ultimo è sempre stato condiviso in misura peculiare da Letta: anche quando a Dublino fu stabilito che l’Italia sarebbe stata la porta d’ingresso dei flussi migratori dall’Africa.



Nell’approccio era visibile una doppia radice di solidarismo cattolico: pro-attivo verso i migranti e nel contempo fiducioso in un’Europa “degasperiana” (diverso era certamente il globalismo “alla Soros” che animava Emma Bonino, materiale firmataria di Dublino come ministro degli Esteri). Mattarella riconosce oggi che quell’esperienza è superata. Se non è stata errata in partenza, oggi è divenuta certamente inservibile.

È una posizione che il Pd odierno non solo dovrebbe condividere, ma che forse avrebbe potuto lanciare per tempo come propria. La maggioranza di centrodestra è al potere da un anno e le sua piattaforma guardava tendenzialmente a un rialzo di muri verso gli sbarchi (non diversamente, peraltro, dalle politiche adottate da Spagna, Francia o Grecia, con l’appoggio aperto della Ue). Invece la tragedia di Cutro, nel marzo scorso, ha provocato una svolta per alcuni versi paradossale.

Subito incalzata sul versante umanitario dal Pd della neosegretaria Elly Schlein, la premier Giorgia Meloni, di fronte ad un afflusso senza precedenti e da una nuova rotta, quella Tunisina, ha di fatto riaperto le coste agli sbarchi: che ben presto si sono ritrasformati in “ondata”. Ed è vero che il nuovo tentativo Ue – promosso dall’Italia – presso la Tunisia non ha dato esiti, ma si è trattato comunque dell’ultimo fallimento di una serie in cui spicca il vertice-farsa di Malta dell’autunno 2019, voluto dalla Ue per sancire il ribaltone italiano dal Conte 1 al Conte 2.

A proposito di Europa: in questa fase paradossale (in cui un governo dipinto come “di destra estremista” non lascia in mare neppure un migrante) la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Olaf Scholz (socialdemocratico) non perdono occasione per disattendere gli impegni alla redistribuzione di Dublino, aggravando la crisi migratoria in Italia. Il tutto in un frastuono mediatico alla fine più grottesco che ipocrita nell’amplificare le accuse del Pd al governo di “non far nulla” di fronte alle ondate migratorie. E sono gli stessi parlamentari e gli stessi media che quattro anni fa inneggiavano alla “capitana Carola” che forzava militarmente il blocco del porto di Lampedusa e veniva immediatamente lasciata libera dalla magistratura di rientrare in Germania.

L’assalto avvenne all’indomani delle elezioni europee: quella che portarono Ursula von der Leyen al vertice della Commissione e recuperarono al governo il Pd nonostante la pesante sconfitta elettorale dell’anno prima. Domenica scorsa von der Leyen ha speso la giornata a Lampedusa con Giorgia Meloni. E Mattarella non sembra affatto preoccupato di gestire un “ribaltone” per riportare al potere un Pd, sempre perdente alle elezioni. Si è sentito invece in dovere di mandare uno specifico “messaggio”: ma non a tutto il Parlamento (come previsto dall’articolo 87 della Costituzione), soltanto ai banchi del suo (ex) partito. Anche per il bene dei dem.

L’Europa che Mattarella vuole non sembra certo quella cinica e beffarda che chiude le frontiere ai migranti “italiani” (salvo far dire a Scholz  – il giorno dopo la visita in Italia del presidente Steinmeier – che Berlino sta aiutando Roma sovvenzionando le Ong). Non è l’Europa che dal 2011 viene pavlovianamente applaudita dal Pd e dal suo circuito mediatico. È con tutta evidenza quella dell’ex premier Mario Draghi: che sta lui stesso incalzando questa Ue sulle regole finanziarie. Si vedrà.

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