La Francia e la Gran Bretagna hanno firmato venerdì un accordo strategico per bloccare le traversate della Manica da parte dei migranti provenienti dall’Europa continentale.
Londra si è impegnata a versare a Parigi 541 milioni di euro in tre anni per finanziare un pattugliamento militare rafforzato sulle coste francesi fra Calais e Dunkerque, una nuova deterrenza con droni sul Canale e la costruzione in Francia di nuovi centri di internamento per i migranti clandestini.
L’intesa è parte integrante dell’escalation decisa dal governo conservatore di Rishi Sunak contro gli immigrati illegali, che saranno d’ora in poi passibili di espulsione immediata e trasferimento forzato in Ruanda. L’Eliseo e Downing Street hanno salutato l’entente come “un capitolo nuovo” sul piano delle relazioni diplomatiche bilaterali, deterioratesi dopo Brexit.
Quella che può essere assimilata a una “geo-mazzetta” pagata da Londra a Parigi – sulla pelle dei migranti africani e asiatici – ha destato sensazione a livello internazionale ,attirando critiche sia a Sunak sia al presidente francese Emmanuel Macron. A Londra il rilancio del “piano Johnson” (bocciato dalla Cedu) ha riacceso una vasta polemica trasversale per la sua difficile accettabilità etico-umanitaria in un Paese di grande tradizione civile e di apertura alle correnti migratorie. È pur vero che Brexit, pandemia e crisi geopolitica hanno via via scosso il Paese in modo violento: in questi giorni centinaia di migliaia di insegnanti pubblici si stanno aggiungendo ai medici e paramedici del Nhs in scioperi massicci contro l’impoverimento da inflazione.
Lo stesso Macron è sotto pesante pressione in patria per il varo di una riforma previdenziale molto contestata nelle piazze (per quanto meno drastica di quella operata in Italia nel 2011). Al di là di fini strumentali interni (anche Parigi potrà ora intensificare un approccio “poliziesco” verso i migranti) la mossa dell’Eliseo sta suscitando due specifiche obiezioni di natura politico-istituzionale.
La prima: la Francia ha scelto di recitare – sul drammatico teatro migratorio – la stessa parte finora di pertinenza della Turchia di Erdogan o dei “signori della guerra” in Libia. Soggetti, cioè, che trattengono a forza i migranti sui loro territori battendo cassa presso la Ue con toni minacciosi e spesso ricattatori. I flussi finanziari possono essere oggetto di trattativa diplomatica ufficiale (quelli della Ue verso Ankara, sotto forte spinta tedesca e dei Paesi balcanici). Oppure possono essere versati attraverso canali non ufficiali, come impliciti sono quelli del “piano Minniti” sulle coste nordafricane, dove l’Italia non ha la possibilità di trattare con entità riconoscibili. Si è trattato comunque di un’iniziativa (non priva di risultati) di un ex funzionario del Pci, successore dell’ex presidente Giorgio Napolitano al Viminale, in un governo di centrosinistra presieduto da Paolo Gentiloni (oggi commissario Ue) quando già al Quirinale sedeva il “cattodem” Sergio Mattarella.
Agli osservatori internazionali non è tuttavia sfuggito neppure lo “strappo” operato da Macron sulla Manica verso la vicina Bruxelles. Un accordo bilaterale con la Londra “Brexiter” su un dossier di primo livello in discussione a Bruxelles non è un passaggio da poco nell’attuale contesto geopolitico. Segue di poche settimane il controverso (e fallimentare) viaggio “bilaterale” dei due ministri dell’Economia di Francia e Germania a Washington per contestare i nuovi aiuti pubblici decisi dagli Usa per le loro industrie. E poco diversa – in chiave di progressiva delegittimazione dell’Unione – era parsa nei giorni precedenti la decisione di Berlino di negoziare in via bilaterale con gli Usa l’invio dei Leopard all’Ucraina.
Proprio il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, era stato d’altronde al centro di un ennesimo episodio divisivo nella Ue: una sosta non prevista a Parigi (per una cena organizzata da Macron, con il solo invito del cancelliere tedesco Olaf Scholz) durante un tour a Londra e Bruxelles. È un incidente che ha colpito “di sponda” anche la presidenza della Repubblica italiana. È stato infatti Mattarella il promotore del Trattato del Quirinale siglato poco più di un anno fa fra Roma e Parigi, fra Macron e Mario Draghi. Ed è sempre Mattarella a non perdere occasione per rinnovare gli appelli alla Ue per una maggiore coesione nelle politiche di accoglienza dei migranti. Appelli regolarmente inascoltati, quando non fonte di risposte ostili verso l’Italia, anzitutto da parte di Macron.
A Roma, intanto, proprio sulla questione migratoria emergono attriti crescenti fra il semipresidenzialismo (involontario) del “dem” Mattarella (attento fra l’altro alla nuova leadership Pd di Elly Schlein, gran fautrice dei diritti civili dei migranti) e il decollo della premiership di destra-centro di Giorgia Meloni.
In Italia, comunque, l’attenzione mediatica per la prospettiva europea della crisi migratoria resta scarsa e sfuocata. Su prime pagine e siti continuano a campeggiare le richieste di dimissioni per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per i fatti di Cutro. E Piantedosi si è visto colpito, nelle ultime ore, anche sul versante Ue. Qui, nel consiglio dei ministri dell’Interno di venerdì, è stata discussa una lettera – firmata da sette Paesi membri fra cui Francia e Germania – che accusano i Paesi di primo ingresso dei migranti di non rispettare gli Accordi di Dublino.
Questi ultimi (vecchi ormai di dieci anni) sono in fase di ridiscussione: anche se la Svezia – presidente di turno dell’Unione – ha già annunciato di “non prevedere” nuove intese entro questo semestre (a Stoccolma il nuovo governo di centrodestra si regge sugli xenofobi di SD). A frenare “Dublino 2” sono anche le ondate di profughi ucraini: ai quali viene ora data precedenza a Bruxelles per calcolo geopolitico nell’ambito delle strategie Nato. A maggior ragione, nella visione dei tecnocrati Ue, africani e asiatici stipati sui barconi devono poter approdare sulle coste di Paesi di Italia e Grecia e qui fermarsi. La Spagna – pur retta da un governo di centro-sinistra – mantiene una chiusura militare delle proprie frontiere marittime (ed è già dimenticato anche il massacro di Melilla del giugno del 2022, quando 23 migranti rimasero uccisi nel tentativo di attraversare il confine fra il Marocco e l’enclave spagnola sulla costa mediterranea).
Nel frattempo un dato nel Nord Europa si guarda con preoccupazione allo status quo nel Canale di Sicilia, ma solo perché le Ong-taxi, molte delle quali finanziate in Germania e Olanda, non sono più protagoniste come prima. Molta freddezza mediatica ha invece registrato la visita in Italia di Bibi Netanyahu: il premier di Israele la cui influenza – assieme a quella della Turchia – è di primo livello in tutto il Nordafrica, anche nella sorveglianza “geopolitica” del traffico di migranti.
PS: gli Accordi di Dublino sono stati firmati nel 2013 per l’Italia da Emma Bonino, allora ministro degli Esteri del governo di Enrico Letta. Nei giorni scorsi a Roma è stata perquisita – su ordine della magistratura belga – la sede della Ong “No Peace Without Justice” fondata da Bonino nel 1993, poco prima di approdare a Bruxelles come commissaria Ue su indicazione del governo Berlusconi 1. Nella Npwj operava a Bruxelles Niccolò Figà-Talamanca, inizialmente arrestato nell’inchiesta Qatargate, che ha coinvolto principalmente l’ex eurodeputato Pd Antonio Panzeri. Al centro del Qatargate, com’è noto, vi sono flussi finanziari – sospettati dagli inquirenti belgi di finalità corruttive – provenienti di paesi come Marocco, Turchia e Qatar: a vario titolo coinvolti nel drammatico “risiko” migratorio. Noto sostenitore della Bonino è stato anche il finanziere George Soros, attraverso la Open Society Foundation: da sempre fautrice di frontiere aperte ai flussi migratori globali.
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