In una situazione esplosiva per una miriade di ragioni, il fermo amministrativo imposto nel porto di Lampedusa alla nave “Louise Michel”, finanziata dal più misterioso degli artisti, Bansky, rischia i avere l’effetto di un detonatore.
Perché l’accusa mossa dalla Guardia costiera è di quelle serie: aver intralciato i soccorsi in un momento in cui le carrette del mare cariche di disperati si sono moltiplicate. Non aver puntato sul porto assegnato, Trapani, per intervenire in soccorso di altri natanti su cui però stavano convergendo unità militari italiane. Un mancato rispetto delle direttive dell’autorità cui spetta il coordinamento, rendendo così paradossalmente meno efficaci e tempestivi i soccorsi.
Naturalmente dalla nave fermata a Lampedusa si lamenta l’impossibilità di ripartire. Ma il tema è serio, perché indica, nella migliore delle ipotesi, un’assenza di fiducia nelle autorità. Nella peggiore il disegno, più o meno consapevole, di forzare al mano al Governo italiano. Il che fa dire ad alcuni osservatori che il recente decreto legge teso a mettere ordine nell’attività di ricerca e salvataggio in mare proprio peregrino non fosse.
Un mese esatto dopo la tragedia di Cutro il fatto nuovo sul fronte dell’emergenza migranti è l’impennata delle partenze dalla Tunisia. Palazzo Chigi, che su questo terreno si gioca una grossa fetta di credibilità, ha lanciato l’allarme per primo. In Europa l’accoglienza era stata fredda, ma le cose stanno rapidamente cambiando. Oggi sarà a Tunisi il commissario europeo per l’Economia, Gentiloni, e si parla per i primi di aprile di una missione che veda assieme la commissaria europea agli affari interni, Johansson, ed i ministri dell’Interno italiano e francese, Piantedosi e Darmarin.
Di certo una visita a tre costituirebbe un forte segnale politico, frutto del disgelo provocato dal lungo colloquio notturno della scorsa settimana fra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, unico risultato concreto del Consiglio europeo. Rischia però di arrivare fuori tempo massimo rispetto al precipitare della situazione tunisina. Per la premier italiana un default del Paese nostro dirimpettaio potrebbe attivare la partenza di una marea umana, fra tunisini e migranti di altri Paesi africani. La cifra potenziale stimata dai nostri servizi di sicurezza si colloca intorno alle 900mila possibili partenze con destinazione Italia. Il ministro degli Esteri Tajani chiede per l’ennesima volta che il nostro Paese non sia lasciato solo. Chiede, allo stesso tempo, che la Tunisia non sia abbandonata, vedendovi il rischio di una nuova avanzata dell’islam radicale.
Il guaio è che aiutare la Tunisia non è facile: c’è da fare i conti con la svolta autoritaria impressa dal presidente Saied, restio a chiede i quasi due miliardi di prestito offerti dall’Fmi per evitare un piano lacrime e sangue stile troika in Grecia, e le conseguenti proteste di una popolazione già esasperata. E senza adesione al prestito Fmi è difficile che la Ue si muova da sola.
Sollecitare una missione europea nelle acque del Mediterraneo, come fanno molti esponenti dell’opposizione, da Fratoianni a Magi, rischia di essere l’approccio più sterile. Non contribuisce a risolvere il problema. Bisogna fare di più, e non solo verso la Tunisia. In questo l’approccio della Meloni non è poi troppo distante da Mattarella. Da anni ormai il Capo dello Stato si sgola invocando un’Europa che si faccia carico del problema. Europa ed Africa continenti complementari, ha ripetuto ancora dieci giorni fa da Nairobi, dopo il duro richiamo formulato a poche ore dalla tragedia di Cutro. Ecco che l’idea della Meloni di un “Piano Mattei” per il continente africano appare sulla stessa lunghezza d’onda. Purtroppo sull’Africa l’Unione balbetta, da troppo tempo. Per i Paesi nordici, Germania in testa, non è una priorità. La priorità rimane la rotta balcanica, e quindi il rapporto con la Turchia.
Se Parigi e Roma si riavvicinano e cominciano a coordinare la propria azione, forse a Bruxelles qualcosa può cambiare in termini di attenzione verso il Mediterraneo, contando anche sulla convergenza di Spagna e Grecia. Se l’azione del Quirinale e di Palazzo Chigi sarà coordinata forse si potrà registrare qualche passo avanti. In caso contrario il rischio è consegnare un altro pezzo di Africa alla Cina. Quella Tunisia che dalle coste della Sicilia dista appena 140 chilometri.
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