Da un paio di mesi il capitolo “migranti” è tornato in evidenza. Il dramma del naufragio di Cutro ha riproposto, molto alimentato dai media, la gestione del sempre più imponente flusso di arrivi, mentre il governo Meloni, che in avvio sembrava spingersi verso una linea più dura, ha assunto di fatto una posizione attendista, temendo di essere accusato di insensibilità. Ne approfittano i trafficanti per moltiplicare i viaggi. Alla rotta libica si è aggiunto il flusso dalla Tunisia, ora predominante, alimentato dalla crisi economica che c’è nel Paese africano.
La situazione sembra sfuggire di mano, mentre in termini concreti e operativi l’Europa si sta ancora limitando a frasi incoraggianti e scontate ma a pochi, pochissimi interventi concreti. Soprattutto i “ricollocamenti” europei sono assolutamente sporadici, ben lontani da quelli sempre auspicati. Ci sono poi tanti altri aspetti concreti che vengono però ignorati dai media.
Un conto è infatti l’arrivo, lo sbarco, l’alloggio in un centro d’accoglienza di solito superaffollato e in periodica crisi di spazio; altra cosa è la realtà quotidiana di come gestire questa massa sempre più imponente di persone.
Già pochi giorni dopo l’arrivo moltissimi migranti evaporano, spariscono dalle statistiche. Bene o male molti di loro si infilano in qualche angolo europeo sperando in giorni migliori, spesso aiutati da una rete di contatti personali, oppure, purtroppo, reclutati dai racket di diversa etnia ed estrazione che li porteranno senza documenti e senza diritti allo sfruttamento in agricoltura o a quello sessuale, costretti quasi sempre in situazioni abitative ed economiche disperate e comunque “debitori” per anni verso chi aveva organizzato il viaggio. Chi invece tenta la via “legale”, inizia un lungo percorso burocratico che durerà anni, finché (ma ci riescono solo in pochissimi), dopo una lunghissima attesa, qualcuno di loro otterrà la cittadinanza italiana.
Per ottenere questo traguardo passerà comunque almeno un decennio e nel frattempo sarà stato un lungo calvario di visti, documenti, permessi, proroghe e certificati negati, ogni volta con il cuore in gola temendo di essere espulsi. Anche se concretamente questo non succede quasi mai, di fatto ciò alimenta nuovamente il mercato clandestino. Ecco un limite vero di chi predica la demagogia delle “porte aperte” per tutti: l’integrazione vera è lunga, difficile e spesso diventa impossibile nei fatti.
Perché vi è poi anche una realtà “legale” e burocratica di cui il grande pubblico non ha la minima idea. Sarebbe molto utile, soprattutto per gli adolescenti, passare anche solo dieci minuti osservando e ascoltando i problemi reali di chi sta in fila davanti agli sportelli degli uffici immigrazione di una qualsiasi questura d’Italia. Una babele di lingue, vestiti, odori (!) di una umanità dolente. Il travestito brasiliano che si mischia con la famiglia del Bangladesh, il nordafricano “inserito” e un po’ strafottente dal vistoso orologio d’oro al polso (probabilmente taroccato) che con evidente disagio condivide la fila con neri di altre etnie, oppure l’italo-argentino che, in uno strano slang italo-castigliano, è alla ricerca dei documenti per la sua cittadinanza, mischiato agli asiatici che devono rinnovare i permessi.
È difficile capirsi nella bolgia, tra le lingue e, a volte, le urla, ma è istruttivo osservare per esempio la faccia disperata dell’immigrato a cui una poliziotta correttamente comunica (ma urlando, nel rumore generale, e dopo che il poveretto era in coda da un paio d’ore): “Non posso accettare questa carta, mi serve prima l’autenticazione del documento mediante una traduzione giurata e previa certificazione e vidimazione degli atti allegati. Ripassi!”. Ovvio che l’interessato non ha capito nulla della richiesta, ma ha subito compreso che qualcosa non va, mentre il bambino che ha in braccio si mette a piangere aumentando la confusione generale.
Una “umanità dolente”, appunto, ma nessuno sembra aver pensato che ad ogni sbarco corrisponde poi un aumento infinito di queste nuove trafile burocratiche, visti, permessi, conferme, espulsioni. La “macchina” burocratica non ce la fa più a star dietro alle nuove ondate di arrivi che generano problemi molto più complessi che gestire uno sbarco. Eppure di tutte queste problematiche si parla poco, dimenticando che sono invece l’altra faccia – quella quotidiana – della nostra immigrazione.
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