Il memorandum tra Italia e Libia, messo a punto da Minniti nel 2017, si rinnoverà automaticamente il 2 novembre a meno che il Parlamento non decida diversamente. È un accordo volto ad arginare il flusso di immigrati clandestini, dopo che nel 2016 ne erano sbarcati 180mila, e fu firmato a Roma da Gentiloni, allora premier, e Fayez al-Serraj, leader libico che insieme ad Haftar tutt’ora si contende il controllo della Libia. Il premier Conte, l’ex ministro Minniti e l’attuale ministro degli Esteri Di Maio hanno detto che l’accordo è giusto ma si può migliorare, mentre la parte dei 5 Stelle più vicina a Fico insieme a 24 parlamentari di Pd, Leu e Italia viva, tra cui Orfini, Migliore e Fassina, vogliono una sua sospensione, in nome della violazione dei diritti umani che avviene nei centri di detenzione in Libia.
Intanto “La situazione in Libia non è prossima a una risoluzione” ci ha detto Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale. L’ex colonia italiana è divisa tra tre regioni, Fezzan, Tripolitania e Cirenaica, e al suo interno si giocano gli interessi di diverse potenze regionali che, sostenendo una della forze in campo, non permettono una risoluzione del conflitto. E nessuno di questi attori ha voglia di impegnarsi sul posto per risolvere alla luce del sole il problema dei trafficanti di uomini.
Gli accordi con la Libia verranno rinnovati? La spunterà Di Maio o il Pd?
Io credo che nessuna delle due fazioni di governo sia contraria al rinnovo del memorandum. I 5 Stelle perderebbero voti, e il Pd andrebbe allo scontro con Di Maio, mettendo a rischio il governo. Queste accuse incrociate sono solo ipocrisia, nessuno nella maggioranza impedirà il rinnovo.
Anche perché questi accordi furono fatti da Minniti, un esponente del Pd.
Da lui con l’appoggio di una parte dell’opinione pubblica e di buona parte del partito. Venir meno a quegli accordi vorrebbe dire delegittimare quella parte di Pd. Minniti, in un’intervista a Repubblica di oggi (ieri, ndr) ha ricordato la situazione drammatica di quei mesi del 2017 e la necessità di questi accordi.
Quindi si tratta solo una finta partita tra chi gioca allo sceriffo e chi all’amico delle Ong, senza possibilità di modifiche reali alla situazione.
Il Pd deve fare i conti al suo interno con quella sinistra che ha sostituito l’ideologia marxista con quella dell’accoglienza senza limiti.
Parla dei parlamentari di Pd e sinistra saliti sulla Sea Watch quest’estate?
Loro, quelli del sostegno alle Ong e gli stessi che fanno base comune con la sinistra più estrema che si basa su questo concetto: i confini vanno aboliti e bisogna lasciare libertà di circolazione a chiunque voglia arrivare in Europa.
Repubblica ha rivelato che c’è l’opzione di creare degli hotspot direttamente in Libia. Le sembra un’idea praticabile? L’Europa ha già detto di no.
È possibile, ma l’unica possibilità di farlo è con una presenza militare, quindi serve un via libera delle Nazioni Unite, o un ok del governo libico a una presenza di militari sul suo territorio. Senza una di queste due condizioni resta una bella idea irrealizzabile.
Nessuno vuole fare una campagna di aggressione; dunque non succederà nulla.
Per questo la missione Sofia è stata fermata prima della terza parte, che prevedeva operazioni sul territorio libico per sgominare le basi dei trafficanti. Era una buona soluzione per mettere fine al traffico di uomini, ma nessuno ha voluto realizzarla.
Il ministro della Difesa Guerini ha parlato di “creare sinergie con la Francia in Libia”. È fattibile? La Francia sta ancora sostenendo Haftar?
Sarebbe una buona idea, se la Francia volesse davvero queste sinergie. Ma la Francia ha un suo interesse a avere una presenza nella Cirenaica, così come l’Italia lo ha a restare nella Tripolitania. Ma ricordiamoci che i primi a buttare all’aria qualsiasi partnership con l’Italia sono stati i francesi, sin dal 2011, quando iniziarono l’intervento militare che pose fine al regime di Gheddafi, un intervento che puntava anche a estromettere l’Italia dalla sua ex colonia.
L’Italia può fare qualcosa in più in Libia, come muoversi in modo indipendente, magari basandosi sulla forte presenza dell’Eni, o non abbiamo margini di azioni oltre la costa di Tripoli?
È difficile, perché il gioco in Libia si fa sempre più complesso. L’Eni ha una presenza trentennale, quindi è a conoscenza delle logiche di potere. Ma in Libia sono presenti anche la Turchia, l’Egitto, la Francia, gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita. E tutti sostengono una delle parti in causa e contribuiscono a mantenere l’instabilità.
È quello che Serraj denunciò all’Onu: Francia, Egitto ed Emirati sostengono Haftar e la sua guerra sanguinaria.
Si, ma ricordiamoci che la Turchia, che sostiene Serraj come noi, nei fatti ci si oppone.
Quindi in Libia la situazione non si sta sbloccando?
No, anzi. È una situazione che si sta deteriorando, come si vede sul terreno.
(Lucio Valentini)