Doveva essere un colpo d’ala per mostrare il decisionismo del Governo Meloni sul fronte immigrazione e dare una scossa all’immobilismo dell’Europa. Si sta invece trasformando in un pasticcio internazionale l’accordo per realizzare in Albania un centro di prima accoglienza per migranti. Il primo obiettivo mancato è sul versante comunicativo: l’operazione è ancora confusa e il testo dell’accordo non è arrivato da Roma ma dalle autorità di Tirana. La macchina mediatica di Palazzo Chigi non è neppure riuscita a minimizzare le tensioni interne all’esecutivo, anche se i vicepremier Tajani e Salvini gettano acqua sul fuoco delle polemiche. Però qualche obiezione c’è: il vice di Salvini, Andrea Crippa, ha definito “ottimo” l’accordo, senza però dimenticare che “l’Italia deve fare l’Italia”, cioè fermare l’immigrazione clandestina come fece il leader leghista quand’era al Viminale, e non dirottarla al di là dell’Adriatico.



C’è poi un fronte aperto con l’Europa. Pare che a Bruxelles non fossero stati informati del protocollo per “delocalizzare” i profughi. I primi commenti sono guardinghi verso un’iniziativa che non ha precedenti e che potrebbe violare alcune norme comunitarie, eventualità però smentita dal ministro degli Esteri Tajani. Per le opposizioni ci sarebbe pure un problema con la Costituzione di casa nostra: ragion per cui è stato chiesto di portare il protocollo alle Camere perché sia discusso e votato, ma questo passaggio è già stato escluso dal ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Anche il presidente dei vescovi ha espresso perplessità: secondo il cardinale Matteo Zuppi l’intesa sembra “un’ammissione di non essere in grado. Non si capisce perché non venga sistemata meglio l’accoglienza qui”.



Secondo il patto Roma-Tirana, le navi militari italiane che prestano soccorso nel Mediterraneo si dirigeranno in prima battuta verso le coste albanesi per depositare gli uomini nel nuovo centro di accoglienza, mentre donne e minori saranno portati in Italia. Nell’hotspot saranno identificati gli sbarcati, per separare i richiedenti asilo (che verranno portati in Italia) da quanti saranno rimpatriati. Ma il rimpatrio non potrà avvenire dall’Albania perché, in base ai patti, gli sbarcati non potranno lasciare l’hotspot e mettere piede sul suolo non italiano. Le persone presenti nel centro di accoglienza non potranno superare le 3mila per un periodo massimo di 30 giorni: significa che non potranno transitarvi più di 36mila migranti l’anno. Nel 2022 sbarcarono 89.183 persone, mentre dal 1° gennaio 2023 a ieri siamo a quota 145.883.



Perciò, a quanto pare, la tappa sull’Adriatico orientale appare una sosta intermedia perché tutti, prima o dopo, arriveranno in Italia. Si creerà invece un fitto andirivieni di magistrati, avvocati, forze dell’ordine tra le due sponde adriatiche e il rischio di contenziosi – sul tipo delle eccezioni sollevate dalla giudice Iolanda Apostolico – è elevatissimo. E la capacità di prima accoglienza, se la tendenza non dovesse invertirsi, non sarà comunque risolutiva. Il tutto per una spesa di 82,5 milioni di euro in cinque anni più un fondo di garanzia di altri 100 milioni per le spese che sosterrà l’Albania. Non si potevano investire in Italia? O non c’è nessuna Regione, nemmeno guidata dal centrodestra, disposta ad accettare nuovi campi di prima accoglienza?

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