“Abbiamo agito sin da subito per dare un segnale immediato agli Stati di bandiera: non possiamo farci carico dei migranti raccolti in mare da navi straniere che operano sistematicamente senza alcun preventivo coordinamento delle autorità”, ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi intervistato dal Corriere della Sera. Il nuovo titolare del Viminale, rifacendosi al diritto internazionale, ha voluto così ribadire che la responsabilità della gestione dei migranti a bordo delle navi che si trovano nel Mediterraneo è dello Stato di bandiera.
Un richiamo a quei paesi che per quanto riguarda le navi Ong operative nel Mediterraneo sono soprattutto Germania, Norvegia e Spagna. Il governo di Madrid, poi, è nel mirino dopo l’inchiesta della Bbc che ha mostrato immagini shock sugli scontri e sulle torture avvenuti a Melilla contro immigrati dal Marocco. Sulle parole di Piantedosi e sulle maniere forti usate dalla Spagna per sorvegliare i propri confini abbiamo intervistato Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver esperto di geopolitica e immigrazione.
Il ministro Piantedosi ha dichiarato che le navi delle ong non entreranno nelle acque territoriali italiane, perché la responsabilità della gestione dei migranti a bordo delle navi che si trovano nel Mediterraneo è dello Stato di bandiera. Il principio può anche essere giusto, ma come lo si mette in pratica? Ci sono normative che possono “costringere” gli Stati di bandiera a farsene carico?
Quando si parla di diritto internazionale è difficile trovare norme realmente coercitive. Il titolare del Viminale si rifà ad alcune norme e consuetudini internazionali che assegnano la responsabilità di quanto avviene su una nave in capo allo Stato di bandiera. Ma fino a oggi il rispetto di tale principio è avvenuto in modo molto aleatorio. Tutto quindi dipenderà dalle prossime mosse politiche del nuovo governo. E, in particolare, dalle scelte che il ministro dell’Interno attuerà sulle navi Ong che si troveranno alle porte delle acque italiane e dalle trattative che Roma eventualmente vorrà condurre con i singoli Stati di bandiera e con l’Ue.
L’Italia con questa mossa chiede un maggior coordinamento con le Ong. Come realizzarlo?
Quello del coordinamento con le Ong non è un tema nuovo. Già durante l’era di Marco Minniti al Viminale, durante l’era del governo Gentiloni, era stato stilato un codice di comportamento per disciplinare le attività delle Ong. Possibile che il nuovo titolare dell’Interno riparta da qui.
Porre un freno all’anarchia delle navi Ong può aiutare a gestire meglio il fenomeno dell’immigrazione?
Come ammesso dallo stesso Piantedosi, dalle navi Ong arriva il 16% dei migranti che sbarcano in Italia. L’84% invece approda con sbarchi autonomi. Quindi, sotto il profilo numerico, la limitazione delle attività delle Ong potrebbe avere solo effetti marginali sulla gestione del fenomeno migratorio. Ma c’è un altro aspetto su cui il governo probabilmente vuole scommettere, ossia quello politico. Richiamare alle proprie responsabilità gli Stati di bandiera e limitare l’attività delle Ong, potrebbe dare l’immagine anche al di là del Mediterraneo di un’Italia più attenta nel sorvegliare i propri confini marittimi. L’obiettivo in tal senso potrebbe quindi essere quello di scoraggiare le partenze autonome.
Il report giornaliero degli sbarchi del Viminale, aggiornato al 31 ottobre, dice che in Italia dall’inizio dell’anno sono sbarcati 85mila migranti. Considerando i ritmi di sbarco, non è da escludersi che senza un intervento deciso si arrivi a 100mila entro fine dicembre. Come stanno andando i flussi oggi? Ci sono nuove rotte e nuovi approdi verso l’Italia?
Le rotte principali sono quelle che si conoscono già da anni. Si parte soprattutto dalla Libia, dalla Tunisia e dalla Turchia. Quest’ultima rotta ha due diramazioni: una via mare con le imbarcazioni partite dall’Anatolia che riescono a raggiungere Sicilia orientale e Calabria ionica, l’altra invece via terra e coincide con la cosiddetta rotta balcanica. Tutte e tre queste rotte nel 2022 hanno fatto registrare importanti aumenti nel numero di imbarcazioni salpate verso il nostro Paese. L’unica rotta sotto controllo da questo punto di vista è stata finora quella algerina. A preoccupare maggiormente è comunque la tratta libica, visto che l’instabilità a Tripoli non permette a Roma di avere veri e propri interlocutori.
In 85mila sono sbarcati, ma solo meno di 200 ricollocati. L’Ue continua a essere sorda e insensibile alla redistribuzione dei migranti? La solidarietà europea resta solo una vuota parola?
I numeri in questo caso parlano molto chiaro. Solo una quota molto minoritaria di migranti è stata ricollocata, quindi nei fatti la solidarietà non c’è. Ma non è una sorpresa. Del resto, molti Paesi hanno sempre espresso una certa insofferenza all’idea di farsi carico anche di piccoli gruppi di migranti.
Intanto la Bbc ha condotto un’inchiesta in cui si dimostrano le responsabilità del governo spagnolo nella strage di migranti a Melilla dello scorso 24 giugno: il governo socialista di Madrid “tortura” gli immigrati? Questa odiosa pratica è utilizzata anche in altri paesi Ue?
L’episodio del 24 giugno è oggetto di controversie e ancora molte cose devono essere chiarite. In generale, si può dire che molte volte la Spagna ha usato le maniere forti per sorvegliare i propri confini terrestri con il Marocco. Madrid poi ha fatto anche sovente ricorso ai respingimenti e una sentenza dell’Ue nei mesi scorsi le ha dato ragione per cavilli del diritto interno spagnolo. Anche Malta e la Grecia in passato sono state accusate di aver attuato respingimenti o aver messo a repentaglio la vita dei migranti.
(Marco Tedesco)
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