Caro direttore,
il ricorso del governo al Tar contro l’ordinanza del presidente della Regione Sicilia sugli sbarchi di migranti in tempo di Covid appare grottesco da qualsiasi lato lo si osservi.
Lo è, anzitutto, allorché la notizia è stata veicolata dall’Ansa “da fonti governative”. Chi ha formalmente impugnato l’ordinanza Musumeci: il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese? Il premier Giuseppe Conte? E la questione è stata discussa in Consiglio dei ministri? Nell’era delle dirette social alla nazione, su questo passaggio neppure due righe di comunicato di assunzione di responsabilità istituzionale da parte di qualcuno?
Un anno fa quando il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia impugnò una legge della Regione Friuli-Venezia Giulia il decoro istituzionale fu salvaguardato e l’esecutivo tentò una zampata politica d’esordio nei territori d’opposizione del Nord. Dietro il “fonti governative”, ieri è sembrato invece defilato perfino il portavoce di Palazzo Chigi: in grado, poche settimane fa, di sequestrare tv e web per Conte nel cuore della notte?
Eppure il Conte 2 è nato – giusto un anno fa – su un punto unico di programma: i porti del sud Italia dovevano essere riaperti, senza se e senza ma, a tutti i migranti dall’Africa, subsahariani poverissimi, profughi dalla guerra libica e ora disoccupati tunisini. Chiunque fosse su un gommone o su una nave Ong. A maggior ragione se spondati a Lampedusa o Pozzallo da muri e militari di Spagna, Francia, Malta, Grecia. Anche se con la certezza che i panzer austriaci ne avrebbero sbarrato la redistribuzione verso il Nord Europa. E poco doveva importare – poco ufficialmente importa tutt’oggi – se da settimane una parte delle centinaia di sbarcati quotidiani sono contagiati dal Covid.
Ora – giusto o sbagliato – il governatore della regione dove i migranti sbarcano in larga maggioranza, dice che in tempo di Covid il rischio di accogliere “tutti, subito, sempre e qualsiasi costo” è troppo alto. Dice – a viso aperto – che è potenzialmente in gioco la salute di milioni di cittadini italiani la cui tutela è istituzionalmente sotto la competenza regionale. Avverte che non è più tempo di bravate come quelle della capitana Carola. La Sicilia non può più accogliere migliaia di migranti ogni settimana semplicemente su base umanitaria. E non può più farlo, a maggior ragione, se lo stesso governo centrale che ha raccolto la fiducia sulla politica dei porti aperti comincia a disinteressarsi dall’emergenza a un mese dalle elezioni: quando lo spostamento di migranti dal Sud in Veneto ha fra l’altro acceso un enorme focolaio nella città del governatore Luca Zaia. Con più contagiati di quelli provocati dai giovani di ritorno dalle vacanze in Croazia.
Di fronte alla sfida frontale portata dalla Sicilia alla sua ragion d’essere programmatica, il governo giallorosso – dopo quattro giorni di meditazioni – ha sfoderato una carta bollata presso la magistratura amministrativa, tradizionalmente “amica” dello Stato, anzi del governo in carica. Un protocollo in burocratese – di firma anonima e tenuto riservato ai media – che è plastica rinuncia-abdicazione all’esercizio del potere esecutivo nei termini della Costituzione.
Pur di mantenere il potere formale senza però adempierne le responsabilità, il Conte 2 non trova di meglio che chiedere soccorso giudiziario: sfuggendo naturalmente sempre il vaglio del potere legislativo, nel quale la Carta repubblicana colloca invece il cuore della sovranità. E continuano a chiamarla democrazia.