I flussi dei migranti, che l’anno scorso riguardavano più la Libia e la rotta balcanica, adesso passano dal Mediterraneo centrale: il punto di partenza più importante rimane la zona di Sfax, in Tunisia, dopo che il Paese ha deciso di espellere gli immigrati subsahariani che si erano trasferiti lì per lavorare. Subito sul posto si sono create delle organizzazioni criminali per sfruttare l’occasione, mettendo a frutto le conoscenze in loco e la capacità di realizzare i barchini improvvisati che vengono utilizzati per la traversata verso l’Italia. Organizzazioni che, dice Alberto Aziani, ricercatore del Centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano, hanno ramificazioni nei Paesi di origine dei migranti e sono in grado di mettere in atto un business con molti margini di guadagni, spesso reinvestiti in attività lecite sempre in Nordafrica. Ecco le caratteristiche delle bande che sfruttano il desiderio di molti africani di raggiungere l’Europa e cosa si può fare per cercare di neutralizzarle.
L’anno scorso la rotta principale dei flussi migratori era quella balcanica, ora si parte soprattutto dalla Tunisia. Come mai questo cambiamento?
L’anno scorso prevaleva la rotta balcanica e l’altro Paese rilevante per le partenze era la Libia. Negli ultimi mesi sono aumentate le partenze dalla Tunisia, tanto che i numeri del 2023 potrebbero superare i famosi picchi del 2015-2016. I fattori che stanno alla base di questo cambiamento sono due. Il primo è che in Tunisia è cambiato il clima sociopolitico, le difficoltà del governo tunisino lo hanno portato a stigmatizzare la presenza di subsahariani nel Paese. Moltissimi migranti africani provenienti da altri Paesi del continente inizialmente si spostano in Nordafrica, solo una minoranza pensa poi di spostarsi in Europa. Preferiscono arrivare fino a lì perché sono in un contesto comunque più conosciuto, il viaggio costa meno, possono rimanere più vicini alle loro famiglie. Adesso, però, la vita in Tunisia per loro è diventata molto più difficile e questo ha fatto sì che abbiano cominciato a pensare a un ulteriore step del loro viaggio, spostandosi verso l’Italia.
La seconda ragione, invece, qual è?
La conflittualità politica e i violenti conflitti armati nella zona subsahariana.
Intende i colpi di Stato come quelli in Niger e Gabon?
L’insieme di tutte le instabilità politiche fanno sì che ci sia un maggior deflusso da questi Paesi.
Come si sono organizzati i gruppi criminali per sfruttare questa nuova situazione?
Se prima c’erano soprattutto gruppi in grado di operare in Egitto e poi in Libia, lo stesso vediamo adesso in Tunisia.
I nuovi trafficati, quindi, sono essenzialmente tunisini che cercano di utilizzare a loro vantaggio questa situazione?
Sì. Anche se non si tratta per forza solo di tunisini: spesso c’è il coinvolgimento di persone che provengono dallo stesso Paese di origine dei migranti, questo per mantenere meglio i contatti. Quasi sempre è così: ci sono persone che parlano la loro stessa lingua, che aiutano i migranti ad assicurare la capacità di pagamento, fornendo garanzie anche a chi organizza il viaggio.
Si tratta di organizzazioni che magari prima si occupavano di altre attività illecite e oggi hanno virato sui migranti?
Può succedere, ma più spesso sono gruppi che si costituiscono per sfruttare questa opportunità. Più facile che siano persone che hanno contatti con la Guardia costiera o con chi, almeno inizialmente, può disporre di imbarcazioni da utilizzare per questa attività.
Hanno però contatti con persone della stessa nazionalità dei partenti, costituendo una rete ben organizzata: come funziona?
C’è una rete di contatti ma non vuol dire che la stessa organizzazione curi lo stesso viaggio ad esempio dal Senegal all’Italia. Ci sono diversi attori che seguono i migranti, ma per un tratto, curano delle sezioni della rotta, non l’intera rotta, anche perché la competenza che hanno sta nella conoscenza di uno specifico territorio e dei soggetti istituzionali che vi operano. Un senegalese conosce la situazione in Senegal ma non in Tunisia o altrove.
Quanto conta in tutto questo la corruzione?
È un elemento importante, per far partire le persone può essere necessario corrompere chi controlla porti, spiagge e mare. È possibile partire di nascosto ma non sono fenomeni così facili da nascondere.
L’ipotesi di azione congiunta italo-francese di contrasto ai trafficanti prevederebbe l’istituzione di una sorta di polizia internazionale che agisca nei Paesi di partenza insieme alle autorità locali. Un’idea che può essere realizzata?
A prescindere dall’opportunità politica il punto che rende poco fattibile questo approccio è che si chiederebbe alla Tunisia, alla Libia o ad altri Paesi di rinunciare almeno in parte alla loro sovranità territoriale. Quasi nessun Paese al mondo è disposto a concedere questo tipo di deroga, destabilizzerebbe il potere locale, a maggior ragione in realtà che hanno funzionamenti democratici molto incerti, dove anche per questo il governo vuole mostrarsi forte.
Nell’ultimo incontro fra il ministro dell’Interno Piantedosi e il suo pari grado tunisino l’Italia si è congratulata per l’arresto di 124 trafficanti. Il contrasto alle organizzazioni criminali è già iniziato ad opera dei governi locali?
Potenzialmente questi Paesi potrebbero contrastare queste dinamiche, perché si tratta di fenomeni relativamente manifesti, non impossibili da osservare. Ma bisogna tenere presente anche altri aspetti. I subsahariani, ad esempio, non sono ben accetti in Tunisia, che sta mettendo pressione perché se ne vadano. Ma ai tunisini, in realtà, ora viene chiesto di bloccare questo flusso.
Secondo un rapporto di Global initiative il traffico degli esseri umani frutta 25,91 miliardi di dollari. È possibile quantificare i guadagni dei trafficanti?
Mentre nella maggior parte dei punti che costituiscono la tratta il margine è molto basso perché si spostano pochi migranti per volta, per l’ultimo tratto della rotta, che richiede l’attraversamento con la nave e non ha alternative, i margini possono essere abbastanza alti. Il singolo migrante arriva a pagare anche migliaia di euro e su una imbarcazione salgono anche centinaia di persone. I costi vivi sono bassi: in Tunisia si stanno usando barche usa e getta costruite all’occorrenza, in lamiera, imbarcazioni di fortuna, realizzate solo per quella traversata. Costano poco e quindi permettono di massimizzare i profitti.
Su cosa bisogna puntare per bloccare queste organizzazioni?
Non sono sicuro che ci sia modo di fermare questo tipo di dinamica. Se si intende fermarla quello che servirebbe è un accordo che coinvolga tutti i Paesi di imbarco, quindi tutto il Nordafrica, con un sistema legislativo comune, mettendo a disposizione risorse per il contrasto al traffico di essere umani. Il problema è che se la domanda di passare al di là del Mediterraneo è così forte qualcuno senza scrupoli, che si presta per garantire l’arrivo in Italia, alla fine lo si trova.
Visto che è un traffico che genera molti soldi, il contrasto a queste bande può passare anche dal controllo dei flussi di denaro?
Tendenzialmente questo è sempre promettente come strumento di indagine. Il grosso di questi soldi viene reinvestito nell’economia locale lecita, in Nordafrica. C’è una sorta di riciclaggio. Inoltre la maggior parte dei pagamenti sono in contanti, la tracciabilità è piuttosto bassa. Servirebbe una grossa collaborazione delle Fiscal investigation unit nordafricane, della “Guardia di finanza” tunisina, libica, egiziana.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI