Tra le roventi polemiche di questi giorni sollevate dalle decisioni del governo Meloni sulle navi delle Ong nel Mediterraneo, c’è un dato di fatto che va riconosciuto. L’esecutivo mostra compattezza e regge all’ondata di vigorose contestazioni. La pressione è fortissima e punta a descrivere la presidente del Consiglio più o meno come una sprovveduta che non è in grado di contenere l’attivismo di Matteo Salvini e si è fatta sfuggire di mano la gestione dei migranti caricati sulle navi delle organizzazioni non governative.



I commentatori dei grandi giornali fanno a gara nel dipingere la premier in difficoltà sul fronte interno e su quello internazionale, dove le cancellerie europee che contano si sarebbero coalizzate per isolare la povera Italia. Con grave preoccupazione del Quirinale, che come al solito si preparerebbe, “per il bene del Paese”, a mettere più di una toppa all’operato di un governo verso cui nutre più di qualche perplessità.



A fronte di un tale scenario, invece, il governo regge. Meloni e Salvini sono in sintonia (l’Esecutivo intenderebbe reintrodurre i decreti varati dall’ex ministro dell’Interno) e nemmeno in Forza Italia ci sono cedimenti sulla nuova linea del Viminale, ben diversa da quella di Luciana Lamorgese. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che è il numero due del partito di Silvio Berlusconi, sostiene il cambio di passo ed è riuscito a mettere insieme i quattro Paesi che rappresentano la frontiera esterna marittima più a Sud dell’Unione Europea: Malta, Grecia e Cipro oltre all’Italia. Essi hanno chiesto più solidarietà all’Ue e una regolamentazione più chiara e stringente per le navi delle Ong. A sostegno delle loro posizioni, i quattro continuano a citare le parole dette da papa Francesco tornando dal Bahrein: l’Italia (e le altre nazioni di frontiera) non può essere lasciata sola dall’Europa a gestire l’emergenza della disperazione.



È un successo diplomatico per l’Italia, che fa il paio con il fallimento del tentativo francese di aggregare i Paesi del Nord contro il governo italiano. La mossa di Parigi non ha avuto l’esito sperato. Emmanuel Macron aveva cercato appoggio perché anch’egli è in difficoltà, ma non per le mosse italiane, quanto per gli equilibri di politica interna. I francesi sono contrari ad accogliere chi sbarca dall’Africa, vogliono un’immigrazione fortemente regolamentata, e il presidente francese è preso in una tenaglia: non può cedere alle posizioni lepeniste ma nemmeno dare troppa corda ai massimalisti della sinistra.

Con lo scontro di questi giorni è riapparso lo spettro dell’accordo fatto dal governo di Matteo Renzi con l’Europa: soldi e benevolenza verso l’Italia in cambio dell’accoglienza. A parte il periodo in cui al Viminale c’era Salvini, le cose sono andate avanti così, in un ipocrita silenzio generale. Finché l’Italia apriva le porte ai disperati riversati dalle carrette del mare, nessuno si lamentava perché faceva comodo a tutti (Germania, Francia e Paesi di Visegrád in testa). Ma in questo 2022 gli sbarcati sono il triplo rispetto al 2020 ed è arrivato un governo che ha deciso di riaprire la questione con Bruxelles: chi si fa carico dei migranti?

Ora la questione è chiaramente all’attenzione della Commissione Ue (oggi si terrà a Bruxelles il Consiglio Affari esteri) e andrà affrontata. Anche questo tavolo europeo va considerato un punto a favore dell’Italia, benché si tenti di minimizzarlo enfatizzando le parole dei diplomatici francesi. La tensione mediatica è forte, ma non tale da avere aperto crepe nel governo Meloni. La partita è solo all’inizio.

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