Per la narrazione di Fratelli d’Italia la visita di Giorgia Meloni e di Ursula von der Leyen a Lampedusa costituisce “una grandissima vittoria del Governo”. La verità è che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare (Mediterraneo), e fra le parole e i fatti in tema di freno da porre alla pressione migratoria sull’Italia c’è un salto enorme che non è detto l’Europa sia in grado di fare. Anzi, che abbia voglia di fare.
La presidente della Commissione europea ha provato a rassicurare sul fatto che il nostro Paese può contare sull’Unione e che l’emergenza richiede una risposta comunitaria. Parole mai usate in ambito europeo, ha sottolineato la Meloni. Del resto, la von der Leyen era stata due volte in Tunisia nei mesi scorso con la premier italiana. Ci aveva messo la faccia, insomma. Peccato che, una volta tornata a Bruxelles, nulla si sia mosso: i fondi promessi al presidente Saied sono rimasti impigliati nella burocrazia continentale e nelle indecisioni degli Stati. In una partita in cui molti giocano spregiudicatamente sulle spalle della povera gente, questo ritardo europeo è probabilmente all’origine di un allentamento dei controlli da parte della guardia costiera tunisina, che ha consentito (se non proprio agevolato) questa nuova ultima impressionante ondata di barchini di disperati.
Meloni, quindi, non ha scelta: deve aggrapparsi alle promesse della von der Leyen, sventolandole come un successo. Ma è dagli altri Stati che devono venire i segnali più concreti. Germania e Francia, dopo aver alzato la tensione, sembrano averci ripensato, ma il Belgio ha fatto sapere di non aver spazio per accogliere nuovi richiedenti asilo. Di conseguenza il pressing di Palazzo Chigi si è spostato sul presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, perché il tema migranti torni all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Ue. La sfida lanciata al resto d’Europa è trasformare (finalmente) in fatti le generiche parole di solidarietà che i leaders hanno avuto anche negli ultimi giorni per l’Italia sotto pressione.
A quel tavolo la Meloni intende arrivare dopo aver dato un segnale netto: oggi un pacchetto di misure arriverà all’esame del Consiglio dei ministri, con l’obiettivo di trasformarle in legge molto rapidamente, attraverso emendamenti al decreto Caivano, già all’esame del Parlamento. Negli uffici legislativi è stata una domenica di passione, una corsa contro il tempo. Quando c’è fretta, però, il rischio di commettere errori è alto: norme inapplicabili, oppure soggette alle censure del Quirinale, dell’Unione Europea e, da ultimo, anche del Parlamento.
C’è un messaggio che la premier intende trasmettere: chi non ha diritto all’asilo verrà rimpatriato. Concetto semplice, ma allo stesso tempo difficile da concretizzare. Intenzione del governo è allungare sino al massimo consentito dalle regole europee il periodo di detenzione nei Centri di permanenza per il rimpatrio, portandolo a 18 mesi. Il numero dei Cpr, oggi dieci, è destinato a raddoppiare, in linea di massima almeno uno per regione, con un notevole spiegamento di forze dell’ordine per controllarli. Nelle bozze anche percorsi diversi per gli uomini in età da lavoro rispetto a donne e minori. E controlli più stringenti per verificare chi si dichiara minorenne senza in realtà esserlo più.
Sui rimpatri negli ultimi mesi c’è stata un’accelerazione, +20% rispetto al 2022. Ma 3.200 partenze rispetto a quasi 130mila arrivi sono una goccia nel mare. Il guaio è che serve il nulla osta del Paese di origine, che deve accettare il rientro del migrante illegale. La tela da tessere con gli altri Paesi di origine è allo stato embrionale, contando anche il problema dei Paesi insicuri (come Siria, Afghanistan, Somalia).
Nella sfida a porre argine al flusso dei migranti per la premier c’è anche il problema di tenere a bada gli alleati, il moderato Tajani che invoca una nuova missione Sophia (che finì per attirare migranti, invece di respingerli) e il duro Salvini, che invoca l’uso di tutti i mezzi “democraticamente consentiti per fermare l’invasione”. La partita immigrazione sarà fra le più difficili, sia per la leadership di Giorgia Meloni, sia per il suo Governo, soprattutto in un clima di tutti contro tutti, già in piena campagna elettorale per le europee del prossimo giugno.
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