Un colloquio telefonico tra Mattarella e Macron per ricucire lo strappo tra Francia e Italia. Lo si è saputo ieri, ma il contatto tra i due è avvenuto sabato. I presidenti “hanno condiviso la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell’Unione Europea”, recita il comunicato del Quirinale. Non si sa chi abbia assunto l’iniziativa, ma è noto che Mattarella tiene moltissimo al Trattato del Quirinale, dove – all’articolo 4 – si legge che “le Parti s’impegnano a sostenere una politica migratoria e d’asilo europea e politiche d’integrazione basate sui principi di responsabilità e di solidarietà condivise tra gli Stati membri”. Esattamente i criteri che sembrano essere stati smarriti in questo ennesimo capitolo della crisi migratoria.



Non sarà facile, per il governo Meloni, uscire dal vicolo cieco nel quale la solidarietà europea ha cacciato l’Italia: nessuna riforma del trattato di Dublino, ricollocamenti su base volontaria e con il contagocce. Se poi i governi italiani (Draghi compreso) per convenienza o calcolo erano d’accordo, il gioco era fatto.



Un’altra novità di ieri riguarda un paradosso, a suo modo clamoroso, che ci fa notare Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver esperto del dossier migratorio.

Dunque, “piena collaborazione in ogni settore”. Cosa leggi in queste parole?

Vedo in primis il tentativo di allentare subito la tensione tra Parigi e Roma. Mattarella è stato l’artefice principale del Trattato del Quirinale, che non a caso porta il nome della sede della nostra presidenza della Repubblica pur non essendo stato firmato fisicamente al Colle. Il capo dello Stato ha voluto imprimere il suo input, quasi un altolà politico: al di là degli scontri diplomatici, Italia e Francia non devono allontanarsi.



Ma quella “piena collaborazione in ogni settore” potrebbe voler dire anche lo status quo ante: la gestione Lamorgese, per capirci.

Naturalmente, in che modo l’intervento di Mattarella avrà ripercussioni sulle politiche migratorie è ancora da vedere.

Il Governo sta riuscendo a porre la questione sul tavolo europeo?

L’esecutivo di Meloni si sta giocando le sue carte. Dopo l’iniziale effetto sorpresa dovuto alla reazione francese della settimana scorsa, il Governo italiano aveva tutto l’interesse nel dimostrare a Parigi di non essere isolato in Europa. È quindi nata l’iniziativa relativa al documento sull’immigrazione sottoscritto da altri Paesi dell’area meridionale dell’Ue, circostanza che in qualche modo ha ridimensionato la pretesa francese di imporre la propria visione sulla tematica migratoria. Su queste basi, adesso l’Italia proverà a far pesare la sua posizione in ambito europeo. Anche perché è interesse di tutti, anche della stessa Ue e della Germania, evitare strappi e giungere a un compromesso. La strada è comunque molto in salita.

Ieri la portavoce della Commissione Ue, Anitta Hipper, ha detto che sui salvataggi in mare “non c’è differenza tra le navi Ong e le altre navi”. Che ne pensi?

Bruxelles ha espresso la sua posizione, riconoscendo un ruolo preciso alle Ong e giustificando quindi l’operato delle navi umanitarie. Questo potrebbe portare a un paradosso.

Perché un paradosso?

Le stesse Ong più volte hanno detto di operare in mancanza di un intervento europeo e che le loro navi stanno nel Mediterraneo per sopperire a un vuoto lasciato dall’Europa. Salvano cioè vite umane che dovrebbero essere salvate dai governi europei. Se è la stessa Commissione a riconoscere l’importanza del lavoro delle Ong, allora vuol dire che l’Ue sta dando ragione a chi la critica: riconosce di aver creato un vuoto e che quel vuoto lo stanno colmando quegli attivisti che da anni lanciano accuse contro Bruxelles e tutti i governi europei. È davvero molto difficile comprendere attualmente cos’ha in mente la Commissione.

Non è una presa di posizione che esprime in pieno l’orientamento tedesco? Come ha documentato Repubblica, il Bundestag sovvenziona le Ong e questo avverrà finché esse non diventeranno “superflue”, ha dichiarato Lars Castellucci (Spd).

Sì, la posizione di Bruxelles è in linea con quella di Berlino. Così come con quella di Parigi, solo che l’Eliseo ha reagito in modo poco diplomatico con l’Italia. Ma nella sostanza, Ue, Germania e Francia dicono la stessa cosa: le Ong operano per salvare vite umane e devono sbarcare nei porti più vicini in attesa che un giorno sia una nuova missione europea a rendere superfluo l’operato delle navi umanitarie. Ma una nuova missione europea vorrà significare unicamente che il Mediterraneo centrale sarà pattugliato da navi militari, le quali dovranno portare i migranti nei porti più vicini. E cioè nei porti italiani.

Mi permetto un’osservazione: alla bisogna una nave Ong, meglio se con una “capitana coraggiosa” al timone, non fa solo operazioni di ricerca e salvataggio, fa anche politica.

Certo: dietro una missione umanitaria in realtà si cela un preciso intento politico. Non c’è nulla di male in questo, chi ha un orientamento politico lo manifesta in qualsiasi modo, anche portando delle costose navi in mare. Però indubbiamente non ci sono solo ragioni umanitarie dietro le operazioni delle Ong. Questo è un dato da non sottovalutare.

In questi giorni è stato più volte citato l’accordo sui “ricollocamenti”. A quando risale e che cosa prevede? Non sarà l’accordo di Lussemburgo del 10 giugno scorso?

In realtà è proprio quello. Che, a sua volta, è figlio degli accordi di Malta del 2019, un documento senza alcuna validità giuridica o pratica sbandierato per anni come un’intesa storica e rivoluzionaria. L’Europa si è sempre mossa così sui ricollocamenti: ha annunciato grandi accordi i quali però non hanno espresso nulla di diverso dal classico schema dei ricollocamenti di natura prettamente volontaria. Cioè ricollocamenti attuati soltanto da chi offre propria disponibilità, senza alcun obbligo preciso.

Perché la Spagna si è sfilata dalla Dichiarazione congiunta dei ministri dell’Interno degli Stati di primo approdo?

In primis per ragioni politiche: il premier Sánchez guida una coalizione di centrosinistra, non avrebbe quindi mai potuto, secondo questa ottica, firmare un documento di un governo guidato da un esponente della destra italiana.

E poi?

In secondo luogo, perché la Spagna non ha interessi specifici al momento sull’immigrazione. La rotta del Mediterraneo occidentale, quella che interessa Madrid, è l’unica che sta facendo segnare numeri di sbarchi irregolari in netto calo rispetto al 2021.

Come va valutata la prudenza tedesca di fronte all’esortazione francese a lasciarci da soli?

Berlino prova a mediare. Pur avendo la stessa linea francese, non ha interesse nel vedere animi così accesi in Europa. Il Governo Scholz ha agito in modo pragmatico: ha ribadito il suo orientamento sulla questione migratoria, senza però esacerbare il dibattito e senza chiudere le porte in faccia all’Italia. Al contrario invece del comportamento francese, spinto da mera isteria politica.

Sembra che il Governo intenda reintrodurre i “decreti sicurezza”. Cosa consentirebbero di fare, operativamente parlando?

Poco o nulla. Il problema è che i governi italiani, a prescindere dal colore, si sono sempre mossi guardando unicamente a quanto avviene in mare. Il governo Gentiloni si è limitato a dare soldi ai libici per bloccare le partenze, strategia che nel lungo termine non ha certo pagato. I decreti Salvini hanno mirato a rendere più difficile l’approdo di Ong e migranti. A mio avviso, il governo Meloni dovrebbe andare oltre ciò che avviene in mare.

In che modo?

Occorre combattere i trafficanti e smantellare le loro reti. Questo lo si può fare solo avendo davanti chiari obiettivi politici di lungo termine e solo avendo interlocuzioni più serie con i rappresentanti libici, tunisini, egiziani e turchi.

Non dovrebbe mancare neppure l’apporto dell’Europa.

Sì, servirebbe anche l’Europa. A cui però sta bene l’attuale status quo: un’Italia che si fa carico di chi sbarca.

(Federico Ferraù)

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