In Niger c’erano già state manifestazioni pro-Mosca nell’agosto 2022, era prevedibile che la Russia sostenesse gruppi di protesta nel tentativo di destabilizzare l’ultimo alleato dell’Occidente. Gli osservatori occidentali sapevano tutto questo, ma se ne sono “dimenticati”: “dobbiamo chiederci perché abbiamo consentito ai russi di andare avanti”. È critico il generale Giuseppe Morabito, diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation.



Ora è nell’interesse dell’Italia fare di tutto per scongiurare una iniziativa armata dell’Ecowas, che peraltro non ha ancora avuto luogo, nonostante l’ultimatum sia scaduto domenica.

Il prezzo della crisi per noi sarà comunque alto: assisteremo ad un incremento ulteriore dei flussi migratori con il rischio di infiltrazioni terroristiche.



I Paesi Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) si riuniranno giovedì ad Abuja, in Nigeria.

Generale, l’ultimatum dei Paesi Ecowas non ha avuto seguito. E se invece fossimo in un tempo sospeso che precede l’intervento armato?

Un intervento armato di una organizzazione o alleanza di Paesi deve essere pianificato con cura e deve prima raccogliere il più ampio consenso internazionale possibile. Semplicemente si può supporre che, se le forze Ecowas sono decise ad intervenire, al momento non siano pronte.

Ci sono trattative in corso?

C’è sicuramente anche una pressione interna ed esterna a trattare per evitare spargimento di sangue. A esempio le comunità religiose locali, pur condannando il golpe, chiedono di non combattere e procedere con la diplomazia.



L’uso della forza va evitato oppure è da ritenersi inevitabile, data l’importanza strategica del Niger per gli Usa e l’Europa?

Andrebbe semplicemente evitato per le ragioni appena indicate. Si deve tener conto, inoltre, che il Niger dispone di almeno il 5% delle riserve mondiali di uranio e un conflitto bloccherebbe sicuramente le attività estrattive. Niamey è poi un crocevia fondamentale per due aspetti: la lotta al fondamentalismo islamico e il controllo delle rotte dei migranti.

Cosa accadrebbe in caso di guerra?

Si creerebbero inimmaginabili problemi per la fuga delle popolazioni e a questo si aggiungerebbe sicuramente il pericolo di infiltrazione dei terroristi islamici tra chi fugge e viene conseguentemente ospitato nei Paesi di arrivo.

Se il Niger cadesse in mano russa?

Sarebbe uno smacco enorme per Usa e Ue. La Francia poi perderebbe le forniture di uranio per le sue centrali elettriche, ma questa  è un’altra storia.

Quali errori hanno fatto sì che il Niger rimanesse l’ultimo “avamposto” saheliano sotto il controllo del cosiddetto Occidente?

Sotto controllo sicuramente lo era, ma dobbiamo ricordare che alla fine di agosto 2022 alcune centinaia di persone avevano manifestato davanti all’Assemblea nazionale a Niamey. Il loro scopo era denunciare gli interventi militari stranieri nel Paese ed esprimere la loro rabbia per l’aumento del costo della vita. Bandiere russe erano state appese a un monumento, quindi le manifestazioni pro-Mosca non sono una cosa recente.

Gli osservatori internazionali hanno taciuto?

Avevano espresso preoccupazione, temendo che la Russia sostenesse gruppi di protesta nel tentativo di destabilizzare l’ultimo alleato dell’Occidente – insieme al Ciad – nella lotta al terrorismo nel Sahel.

L’Occidente quindi sapeva dell’attivismo di Mosca?

Sì, sapeva, e se come logico era contrario, dobbiamo chiederci perché ha consentito ai russi di andare avanti. Parrebbe che gli stessi osservatori si siano rapidamente dimenticati di quella prima mossa di Mosca.

Quale tipo di coordinamento strategico esiste al momento tra gli attori contrari al golpe, ossia Usa, Ue, Francia e Paesi Ecowas?

Secondo gli analisti, il successo di un intervento militare dipenderebbe anche dalla capacità dell’Ecowas di coordinarsi tra i suoi membri e con organismi esterni come l’Unione Africana. Ma ci sono già segnali di una mancanza di sinergia e non è chiaro come il blocco possa mettere in atto la sua minaccia, data la mancanza di coordinamento con il Dipartimento di Stato americano in Niger per fornire sicurezza a livello regionale e formale.

E se fosse la Francia a intervenire? I militari francesi dell’ex missione Barkhane sono già stati ricollocati in Niger.

Il contingente Nato sul posto è composto da oltre 2.900 militari di cui 1.500 francesi, 1.100 americani e 245 italiani (erano 350 prima di un parziale ripiegamento). Se i francesi escono dalle loro posizioni per intervenire coinvolgono gli altri contingenti, italiani compresi. Non possono farlo senza un accordo in tal senso con i governi degli altri contingenti.

1.500 francesi sono tanti o pochi?

Anche se ben addestrati e logisticamente organizzati, 1.500 militari non sono in grado di cambiare lo stato dei fatti.

La Russia sta aspettando una iniziativa di Usa, Ue o Francia per muovere a sua volta?

A mio parere Mosca ha già ottenuto un primo risultato con il golpe. Il Niger difficilmente tornerà allo stato dei fatti precedente. Teniamo presente che il grande interesse dell’Europa era mantenere al potere quei governi e regimi che maggiormente si sono dimostrati pronti a favorire bisogni ed esigenze dell’Occidente. Il Niger è uno di questi.

Il Gruppo Wagner?

Continuerà le sue attività illecite e ora supporterà le milizie golpiste.

Uno sconvolgimento del Niger, attualmente attraversato dalle rotte dei trafficanti di uomini, cosa comporterebbe per l’Italia?

Stando così le cose, nel medio termine avremo un incremento del flusso migratorio illegale. Come detto c’è il pericolo evidente di infiltrazioni di terroristi jihadisti tra coloro che lasceranno il Paese e verranno accolti. Quindi la risposta è: aumento dei flussi e della pericolosità sociale di che sarà accolto.

Cosa deve fare il nostro Governo?

Il Governo italiano sta già agendo in modo encomiabile. Il ministro della Difesa Crosetto ha fatto sapere che sta seguendo con la massima attenzione la situazione in Niger e che la sicurezza dei nostri connazionali civili e dei nostri militari lì presenti è priorità assoluta. Il ministero degli Esteri, insieme alla Difesa, monitora costantemente l’evoluzione delle condizioni di sicurezza sul terreno e al momento la situazione del personale militare impiegato in Niger non desterebbe particolare preoccupazione.

Avanti con la diplomazia dunque.

Assolutamente sì. Per il ministro Tajani seguire la via diplomatica è la scelta più giusta per scongiurare una nuova guerra nel continente africano. Il ministro ha ragione: l’Italia è favorevole al ripristino della democrazia in Niger, ma non si può neanche minimamente pensare ad un intervento militare italiano ed europeo nel Paese.

Sul piano operativo?

L’Italia deve perseguire una definizione pacifica e stabile della situazione. Occorre trovare una soluzione attraverso il dialogo.

(Federico Ferraù)

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