Le ultime notizie da Niamey hanno dell’inquietante. Nello stesso giorno in cui una folla inferocita ha dato l’assalto all’ambasciata francese nella capitale del Niger al grido di “viva Putin”, i leader dell’Africa occidentale (Ecowas) riuniti in Nigeria hanno dato un ultimatum di sette giorni ai militari golpisti: o il legittimo presidente Mohamed Bazoum sarà liberato e reintegrato, oppure saranno “adottate tutte le misure necessarie per ripristinare l’ordine costituzionale”. Uso della forza incluso.
L’incendio appiccato dal putsch del 26 luglio rischia di allargarsi. I Paesi vicini hanno sigillato le frontiere e tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea minacciano di sospendere gli aiuti umanitari. Il Paese più esposto è naturalmente la Francia, non solo in quanto ex potenza coloniale, tuttora legata al Niger dalla valuta, il franco Cfa, quanto perché nel Paese sono dispiegati più di 1500 militari transalpini nel quadro della lotta al terrorismo jihadista. E, accanto a loro, dal 2018 c’è pure un contingente italiano, circa 350 militari fra istruttori e personale di supporto, impegnato nella formazione delle forze armate nigerine. Ironia della sorte, qualcuno dei golpisti potrebbe essere stato addestrato proprio dagli italiani.
Per tutta l’Unione Europea il golpe in Niger rappresenta una grana grossa come una casa. Il Paese, infatti, l’unico democratico di quell’area, rappresentava uno dei cardini della strategia Ue per contenere i flussi migratori, insieme alla Tunisia. Perdere il Niger come partner rischia di vanificare gran parte degli sforzi europei, perché da qui passano molte piste che poi attraverso la Libia fanno approdare i disperati sulle coste del Mediterraneo.
L’Eliseo ha fatto sapere che Parigi non tollererà “alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi”. Ma quell’urlo dei manifestanti che hanno tentato di assaltare l’ambasciata francese, “viva Putin”, suona sinistro. Per quasi tutti gli osservatori si tratta della conferma dell’ombra del Gruppo Wagner sul golpe, che diventerebbe l’ennesimo effetto collaterale del conflitto scatenato dalla Russia contro l’Ucraina.
È un fatto che la Wagner è da tempo attiva nel vicino Mali, da cui ha sostanzialmente scacciato i francesi. E Putin sarebbe ben felice di espandere la propria influenza sulla regione, potendo regolare i rubinetti dei flussi migratori come arma di pressione sull’Europa. Va detto che non è ancora chiaro se i golpisti si sposteranno verso Mosca o se preferiranno confermare il posizionamento filo-occidentale. Usa e Ue temono fortemente il primo scenario.
Anche la Farnesina segue con preoccupazione l’evolversi degli eventi, perché con il Niger instabile s’indebolisce quella proposta di “Piano Mattei per l’Africa” che Giorgia Meloni ha rilanciato nella conferenza su migrazioni e sviluppo solo tre giorni prima del golpe e che dovrebbe essere esplicitato a novembre nella conferenza Italia-Africa. Da una politica più dialogante con la sponda sud del Mediterraneo passa una bella fetta della credibilità internazionale che la premier si sta costruendo, in particolare nei confronti dei partner europei del nord. Non a caso nel colloquio alla Casa Bianca con Biden si è anche parlato di un appoggio americano a questo sforzo di costruire nuove relazioni. Anche Washington, va annotato, si è affrettata a chiedere il rilascio di Bazoum, che nel dicembre scorso al vertice Usa-Africa aveva avuto il posto d’onore, accanto a Biden. In Niger sono stanziati anche uno squadrone di droni e un reparto di forze speciali a stelle e a strisce.
A Niamey la situazione appare ancora fluida. Non è chiaro se il capo delle guardie presidenziali Abdourahamane Tchiani riuscirà a consolidare la propria posizione a capo della giunta. Nel frattempo i tentativi di mediazione si moltiplicano, quello del presidente del Benin, Patrice Talon, quello del collega ciadiano Mahamat Deby. E poi Ecowas e Unione Africana.
I prossimi giorni saranno quindi decisivi per capire se il fuoco dell’instabilità incendierà l’area subsahariana. Per l’Occidente sarebbe un guaio grosso: per la Francia, per gli Stati Uniti, per l’Europa, ma anche per l’Italia. Nessuno regalo a Mosca è accettabile.
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