Sarebbero diverse centinaia gli studenti ancora dispersi o forse rapiti in seguito a un attacco alla Government Science High School nello Stato settentrionale di Katsina in Nigeria. Un college che ospita circa 800 ragazzi. L’attacco, con mitragliatori Kalashnikov, è stato respinto dalle guardie di sicurezza della scuola, aiutate dalle forze di polizia nel frattempo sopraggiunte, ma ha provocato panico e terrore, tanto che centinaia di studenti sono fuggiti nel bosco. Circa 200 sarebbero tornati indietro da soli, ma molti mancano ancora all’appello e potrebbero essere stati rapiti dagli aggressori, che al momento non hanno ancora rivendicato l’attacco. Solo una decina di giorni fa, nello stato di Borno, un centinaio di agricoltori erano stati sgozzati dalle milizie islamiche di Boko Haram, ma oggi, come ci ha detto Marco Di Liddo, responsabile dell’Area geopolitica e analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani presso il CeSI – Centro Studi Internazionali, “potremmo trovarci davanti a un attacco di bande criminali, in quanto in Nigeria i rapimenti a scopo di riscatto sono uno dei business più fruttuosi. Una realtà, quella nigeriana, in cui anche la corruzione delle forze armate e di polizia gioca a far sì che il terrorismo e la criminalità risultino praticamente invincibili”.



Dopo il massacro di più di cento agricoltori, un attacco a una scuola non ancora rivendicato. Secondo lei c’è ancora Boko Haram dietro a questo nuovo episodio?

Indubbiamente quando succedono queste cose la colpa principale, sia per la ferocia che per i trascorsi, va sempre rivolta a Boko Haram, anche se al momento è difficile stabilirlo. È vero che Boko Haram non è nuovo a questo tipo di attacchi contro le infrastrutture scolastiche, ma è anche vero che in Nigeria il business dei rapimenti è uno dei più fruttuosi a livello criminale. Gli indizi per incolpare Boko Haram ci sono tutti, anche se per dovere di cautela attendiamo sempre la rivendicazione, perché esiste la possibilità che a compiere l’attacco siano state bande armate non jihadiste.



Va però detto che Boko Haram ha fatto delle istituzioni scolastiche un suo obiettivo dichiarato, in quanto considerate blasfeme per il tipo di educazione occidentale che vi viene fornita. Le risulta?

Certamente: vi viene impartita un’educazione che loro valutano come peccaminosa. Naturalmente, quando si attaccano le strutture scolastiche, bisogna vedere quale sia il vero obiettivo: gettare panico con un attacco volto a uccidere o al rapimento? In questo caso l’intento potrebbe essere, come già successo nel 2018 con centinaia di ragazze, rapire il maggior numero di ragazzi per poi usarli come merce di scambio con il governo o con le famiglie per ottenere soldi oppure per sfruttarli come manovalanza una volta indottrinati, ad esempio arruolandoli come soldati. La pratica dei bambini soldato è molto diffusa in Africa, come ben sappiamo.



Si sono levate molte voci critiche dopo questo attacco, che accusano il governo nigeriano di non fare abbastanza per proteggere questi luoghi a rischio di attacchi. C’è una mancata volontà da parte governativa di svolgere un’azione di sicurezza?

Mancata volontà no, viene chiesta una cosa diversa. Impiegare l’esercito per fare operazioni contro Boko Haram, andare a caccia dei miliziani, è una cosa. Un’altra è presidiare le infrastrutture critiche come le scuole. In quel caso il governo decide se usare polizia, esercito o milizie civili. In tutti e tre i casi abbiamo a che fare con elementi qualitativamente discutibili, le forze di polizia africane non sono certo conosciute per l’efficienza e in molti casi in Africa ci sono pratiche di corruzione. Elementi delle forze armate vendono informazioni o anche armi e uniformi. È un problema sistemico. Se il terrorismo è ancora così forte, è perché non si interviene sulle cause che lo fanno proliferare e il sistema di contrasto fa acqua da tutte le parti.

La comunità internazionale non fa abbastanza? Potrebbe esercitare maggiori pressioni?

Tutto si può fare meglio. Da quando esiste Boko Haram, è vero che la comunità internazionale ha agito in maniera meno vigorosa rispetto ad altri teatri difficili, perché ha voluto dare altre priorità.

Che cosa intende dire?

Nel Sahel, quando il livello delle minacce è salito a un punto non più tollerabile, si sono attivati Francia, Cina, Germania, Usa e Unione Europea. La stessa cosa non è avvenuta con la Nigeria, un po’ perché c’erano altre priorità e poi forse perché lo stesso governo nigeriano non ha accettato forme di aiuto che avrebbero previsto la presenza di truppe sul proprio territorio o la condivisione di informazioni sensibili.