Nonostante il notevole impegno, dal punto di vista economico e militare, del governo nigeriano e di paesi alleati come gli Stati Uniti, in Nigeria la guerra civile dura ormai da quasi vent’anni, e non si intravvede alcun segno di pacificazione. Anzi, il gruppo che ha dato origine a questa drammatica situazione, il tristemente famoso Boko Haram – come spiega Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa e del Desk ex-Urss de CeSI e commentatore radiofonico e televisivo per la Rai, Radio Vaticana e TV2000 – si è addirittura diviso in due fazioni, scatenando nel nord-est della Nigeria, a maggioranza musulmana, nuovi attacchi sanguinosi contro la minoranza cristiana, coinvolgendo paesi vicini come Ciad, Camerun e Niger. Dal 2009 a oggi il bilancio delle violenze messe in atto da questo gruppo terroristico parla di oltre 16.500 civili rimasti uccisi, circa 2mila vittime tra militari e poliziotti e quasi 19mila miliziani colpiti. L’ultimo episodio riguarda un attacco sferrato domenica sera in un villaggio nei paraggi di Maiduguri, capoluogo dello stato settentrionale a maggioranza islamica del Borno e città natale del leader di Boko Haram, nel corso del quale sono rimaste uccise almeno 30 persone e sono stati rapiti donne e bambini. La zona prescelta è oggetto di una guerra fratricida tra i due gruppi, ciascuno dei quali mira a diventare, sottolinea Di Liddo, “il gruppo egemone in quella parte dell’Africa che è un bacino di enormi potenzialità politiche ed economiche”.



Da Natale a oggi si osserva un accanimento sempre maggiore verso la minoranza cristiana che vive nella zona nord-est della Nigeria, a maggioranza islamica. Qui imperversa una fazione del gruppo islamista nigeriano Boko Haram, che ora combatte sotto le insegne della cosiddetta Provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico. Sono legati all’Isis?



Assolutamente sì, ma non è purtroppo una novità. Questa è la tragica quotidianità per chi vive nella Nigeria del nord-est e del bacino del Lago Ciad. Nel 2016 Boko Haram si è diviso in due fazioni: una è rimasta fedele al fondatore Abubakar Shekau e ancora si fa chiamare Boko Haram; l’altra invece ha assunto la denominazione di Provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico, guidata da al-Barnawi, che è uno dei tanti figli del fondatore di Boko Haram, ed è ufficialmente legata allo Stato islamico.

I due gruppi sono in conflitto tra loro?

Sì, si combattono perché entrambi vogliono diventare il gruppo egemone di quella parte dell’Africa che è un bacino enorme di potenzialità politiche ed economiche.



Sembra che come un tempo l’obiettivo principale siano i cristiani, che da sempre Boko Haram vuole cacciare dal nord del paese, considerato terra islamica. Ma il governo e l’esercito nigeriano non riescono a fare abbastanza, per quale motivo? Ci sono interessi di parte?

Chiariamo due concetti. La Nigeria, per quanto abbia enormi problemi economici e politici, è la principale economia e il primo mercato africano, esportatore di petrolio. Paragonato ai paesi vicini, è molto ricca. Anche l’apparato militare è uno dei migliori dal punto di vista degli standard africani.

Quindi dove sta il problema?

Il problema è la strategia militare, assolutamente lacunosa e superficiale, priva di visione strategica.

Che cosa intende dire con visione strategica lacunosa?

La loro strategia anti-terroristica consiste solo nel mandare truppe corazzate e nel militarizzare la regione, inviando la polizia a fare rastrellamenti nei villaggi e torturando chiunque sia sospettato senza prove, all’interno di un’ottica di repressione etnica, oltre tutto sbagliata.

I paesi occidentali non possono mandare forze di addestramento specializzate?

Dall’11 settembre 2001 a oggi gli Usa hanno un numero imprecisato di soldati che operano come addestratori e con missioni dirette in funzione anti-terrorismo. Nel 2021 saranno 20 anni esatti che la Nigeria gode di finanziamenti e di supporto logistico, ma non è che in venti anni si rivoluziona la forma mentis di un esercito o di un intero paese. Mantengono una concezione dell’uso della forza profondamente diversa dalla nostra: preferiscono andare a bombardare invece che usare strumenti di promozione economica, sociale o educativa che aiutino a recidere alla radice la radicalizzazione. E fino a quando continueranno così, uccidendo padri di famiglia, i figli si sentiranno spinti unirsi al terrorismo, anche solo per vendetta.